Giù giù all’inferno
“Deve avere la febbre altissima”, disse l’Assistente giovane. “Non è il caso di chiamare il medico?”, intervenne dubbiosa la più anziana. “Ma no, tanto non muore… – replicò con un risolino la più giovane –, quella non la vuole nemmeno il diavolo!”. Gliela avrebbe fatta pagare a quella vipera, avrebbe trovato il modo di ridurle lo stipendio. Le due donne uscirono lasciando aperte le tende della finestra, guai se le avessero chiuse, odiava il buio. La luce della luna piena illuminava in un angolo della stanza ammucchiati su una poltrona, gli orsacchiotti, i peluche, le bambole, i pupazzi di pezza che aveva sequestrato ai bambini e sembrava la guardassero con i loro occhi di vetro, di plastica, di stoffa. Ma che andava a pensare! Effetto della febbre. Nuvole scure avevano coperto la luna, era buio nella stanza, l’interruttore della luce sul comodino non funzionava, il cordone del campanello che aveva sul letto era irraggiungibile, solo gli occhi dei peluche brillavano nel buio. Si sentì prendere dal panico quando si accorse di sprofondare, cercò di chiamare aiuto ma non riusciva a gridare, andava giù, sempre più giù a velocità vertiginosa, poi atterrò, su quella che sembrava sabbia. Si guardò intorno: nell’aria un leggero lucore giallastro e la totale assenza di vita. Era sola. Poi, lontano, sembrò materializzarsi una collina scura, con grande fatica, camminando come gli astronauti sul suolo lunare si avvicinò faticosamente e sulla superficie glabra cominciò a distinguere piccole sporgenze che luccicavano. Si fece più vicina tremando: erano occhi, occhi di vetro, occhi di plastica, occhi di pezza, gli occhi degli orsacchiotti, dei peluche, delle bambole, dei pupazzi che aveva sequestrato ai bambini. Ripensò ai bambini che le erano stati affidati per educarli, per averne cura, per dare loro quell’affetto che era stato loro negato e ripensò alle punizioni ingiuste e sproporzionate, alle privazioni a cui li aveva sottoposti per intimorirli, allo stanzino buio in cui li rinchiudeva “per domarli”, diceva lei, togliendogli i loro amici e al loro terrore al loro pianto desolato e si vide come in uno specchio, e quel che vide le fece orrore. Allora l’inferno era questo, non c’erano demoni ghignanti e fiamme che bruciavano senza consumare, c’era il deserto, il vuoto assoluto, il vedersi per quello che si era stati. Cadde sulle ginocchia singhiozzando: dov’era la donna superba e arrogante che si faceva detestare dai dipendenti, che abusava della sua autorità, che infieriva sui più deboli? Ripensò a Petruccio, il bambino che le teneva testa, guardandola con i suoi grandi occhi grigi e non diceva una parola e non gli sfuggiva una lacrima anche quando lo richiudeva nello stanzino buio per futili motivi. I suoi occhi si riempivano di lacrime solo quando gli toglieva il suo inseparabile orsetto. Smise di singhiozzare e vide con immenso stupore che nella caduta aveva portato con sé l’orsetto a cui pendeva una zampetta che si era in parte scucita quando glielo aveva strappato di mano. “Perdono! – disse con voce rotta, e ripensò alle preghiere della sua infanzia – Mi pento con tutto il cuore…”. “È sfebbrata!”, sussurrò la voce della Assistente anziana vicino a lei. “Te lo avevo detto che…”. “Zitta, cretina!”, la interruppe la prima. Aprì gli occhi, erano vicine al letto, e le “vide”, due povere donne che sopportavano le sue sfuriate, i suoi rimbrotti spesso immotivati, perché non potevano perdere anche il magro stipendio che dava loro. Erano vicine al suo letto, si levò faticosamente e si alzò, interrompendo le proteste preoccupate delle due donne. “Sto bene, – disse con voce pacata – andate a prendermi Petruccio”. Le due donne si guardarono. “Ma non ha fatto niente”, disse la giovane, facendo appello al suo coraggio, anche lei voleva bene a Petruccio. “Lo so – disse lei – voglio solo parlargli”. Lo portarono da lei e li lasciarono soli. Si inginocchiò davanti a lui che la guardava serio, con i suoi grandi occhi grigi che esprimevano una domanda. “Volevo restituirti questo, – disse porgendogli l’orsetto – scusami, si è scucita una zampetta ma domani te la ricucio”, e una grossa lacrima le rigò il volto. La mano di Petruccio si alzò lentamente e si posò sul suo viso a cancellare la lacrima. “Andiamo a restituire i loro amici ai tuoi compagni”, sussurrò lei mettendo i peluche, le bambole, i pupazzi in una coperta del suo letto che prese con una mano a mo’ di sacco. Petruccio le prese l’altra mano, e sorrise. © Riproduzione riservata