Giorgio Latino: il teatro per me è passione, cuore, vita
L’INTERVISTA. Riflessioni con l’autore, attore e regista del Collettivo Dino La Rocca
Avere 50 anni e non dimostrarlo o meglio non saperlo e non sentirlo, perché l’entusiasmo e la passione sono quelli di sempre. A cinquant’anni, soprattutto nel teatro, si fa un bilancio e ci si ferma a riflettere sul tempo passato e a immaginare quello futuro. E’ quello che abbiamo provato a fare con Giorgio Latino, autore teatrale, attore, regista, fondatore del Collettivo teatro popolare Dino La Rocca, ancora oggi anima del gruppo e sognatore instancabile e osservatore attento della realtà del passato, ma anche contemporanea. Una conversazione al caminetto o meglio, di questi tempi, su una terrazza sul mare, durante la quale Giorgio ci ha sorpreso per la sua autenticità, la sua semplicità, ma soprattutto la sua umanità, che traspare anche dalle sue commedie in vernacolo, che registrano sempre il tutto esaurito, perché parlano al cuore della gente, scavando nei sentimenti e risvegliando ricordi, tradizioni, immagini del nostro passato. Il vissuto che ciascuno di noi si porta dentro. Allora Giorgio, 50 anni sono un bel traguardo, quanto è costato questo risultato? «Certo i nostri primi 50 anni. Quando abbiamo iniziato nessuno pensava che saremmo arrivati così lontano e ancora oggi stento a crederci. Una vita. Ma se lo fai con passione e cuore non te ne accorgi». Chi sono i protagonisti di questo successo, dai fondatori agli attuali partecipanti? «Questo successo non nasce all’improvviso, ma lo si costruisce lentamente. Quando siamo “nati” eravamo un gruppo di ragazzi a cui piaceva fare “qualcosa”! Era il tempo dei complessi, alcuni suonavano altri no ed allora grazie a Felice Altomare ci siamo ritrovati sul palco del Cineteatro Supercinema ad interpretare la prima commedia in vernacolo. Poi pian piano abbiamo preso coscienza e abbiamo incominciato ad organizzarci. Ci siamo costituiti presso un notaio come associazione – eravamo in 9 soci fondatori – ed abbiamo eletto il primo presidente del gruppo Pino Sasso il quale ha dato la prima impronta teatrale al gruppo». Qual è il rapporto con il vostro pubblico? «Il rapporto con il nostro pubblico è sotto gli occhi di tutti… o almeno di quelli che lo vedono e comprendono. Non voglio essere polemico, ma da 50 anni avere sempre sold out in qualsiasi posto facciamo spettacolo ci fa comprendere come il legame col pubblico, con le persone, sia un legame che parte forse dal sorriso ma trova il cemento nella riflessione che cerchiamo di trasmettere con le nostre commedie. Il nostro motto resta Ridere… sorridere… riflettere». Perché Giorgio Latino ha scelto di fare teatro? E cosa rappresenta per lui? «Che bella domanda direttore. Perché ho scelto di fare teatro. Forse il teatro ha scelto me. Nasco come un piccolo nuotatore, ho fatto tante gare. Poi il basket mi ha rapito, ma nello stesso momento anche il teatro. Quando per la prima volta ho interpretato Mèest Adème, davanti ad un pubblico di circa 2.000 persone, mi tremavano le gambe, ma al contempo mi piaceva che fossi lì su quel palco. Ora il teatro per me rappresenta passione, cuore, vita. Ma devo dire grazie a mia moglie Flora che mi ha permesso di coltivare questa mia passione, sacrificando tempo certe volte gli affetti. Questo glielo devo. Ho scoperto che il teatro fa bene alla salute… per cui…». Hai mai pensato di lasciare per stanchezza o altro? «Ogni giorno penso di lasciare e smettere. Ma poi il cuore prende il sopravvento. Il teatro è come l’amore ti svuota il cervello e ti riempie il cuore». Qual è il segreto per tenere insieme un Collettivo teatrale per tanti anni? «Non esiste un segreto per tenere unito un gruppo. Esistono persone che si rispettano e che condividono i progetti e le idee. Certo non abbiamo tutti la stessa idea nel creare personaggi. A volte ci sono idee diverse e ma alla fine il risultato lo vedete sul palcoscenico». Quanto ha contribuito l’eventuale sostegno dell’amministrazione comunale al successo del Collettivo? Certo, col teatro non si diventa ricchi, ma almeno riuscite a coprire le spese? «Il rapporto tra il teatro e la pubblica amministrazione avrebbe bisogno di una tavola rotonda almeno di tre giorni… scherzo!... ma non troppo. A Molfetta si sente la mancanza di un teatro nel vero senso della parola, quello con il tavolaccio e l’odore inconfondibile che avverti quando entri in un vero teatro. Ma forse si chiede troppo. Servirebbe un teatro con almeno 350/400 posti a sedere (comodi). Fittare pseudo teatri, che poi sono auditorium parrocchiali è un ripiego. Noi siamo un gruppo affiliato alla Federazione Italiana Teatro Amatoriale. Abbiamo una sede (via Gaetano Salvemini, 80), paghiamo tutte le spese annesse e connesse. Attori e pubblico sono assicurati ad ogni nostro spettacolo. Il nostro bilancio è sottoposto al controllo dell’Agenzia delle Entrate. Siamo una Associazione di promozione sociale (Aps). In verità da alcuni anni il Comune ci viene incontro con bandi a cui noi partecipiamo. Ma siamo consapevoli che una amministrazione non può fare da bancomat. Faccio una riflessione: 17 anni fa il costo del biglietto era di 10 euro. Dopo 17 anni il costo è rimasto invariato… Riusciamo a coprire quasi tutte le spese con una oculata gestione economica ed anche grazie ad alcuni imprenditori innamorati del nostro teatro che ci aiutano». Il teatro è una vocazione: attori si nasce o si diventa? «Attori né si nasce né si diventa. Scherzi a parte, devi solo scoprire il talento che hai dentro. Crederci studiare, vedere i grandi, armarti di pazienza e umiltà, non demordere mai, e soprattutto sognare. Penso che chi sogna di giorno sa molte più cose di chi sogna di notte. Io sogno spessissimo di giorno….» Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un giovane che vuole intraprendere la difficile strada del teatro? «Proprio in questi giorni lanceremo una campagna per ricercare giovani ambosessi dai 18 anni in su che vogliono avvicinarsi al teatro tradizionale in vernacolo. Ci piacerebbe incontrarli e comprendere il loro approccio al nostro teatro. Faccio un appello a tutti i ragazzi e ragazze che volessero almeno “dare un’occhiata” al ns teatro di venirci a trovare in via Gaetano Salvemini 80 o contattarci sulla pafina Fb “Colledino larocca” o tefefonando al 3772824900, saremmo veramente lieti di prenderci un caffè». Fare teatro dialettale vi ha fatto mai sentire in secondo piano a chi fa teatro di impegno? «Caro direttore, una bella domanda che merita una risposta sincera. Il teatro è uno e solo. Nel teatro ci sono tanti generi: dialettale, sociale, comico, ecc. sono tutti, ripeto tutti, impegnati perché gli attori ci mettono impegno e passione. Il teatro è come un diamante. Dipende dalla luce che lo colpisce. Brilla sempre. Diffido da chi pensa che il teatro in lingua sia di serie A e il resto sia di serie B. Chi pensa questo ha dei limiti culturali. Io credo quale che sia il genere teatrale, debba avere il dovuto rispetto. Noi facciamo teatro, poi che sia di serie A, B, C, non importa. Se dopo 50 anni è sempre sold out… è il pubblico che ci dà la serie di appartenenza». Ogni commedia ha la sua morale: come nasce l’idea e come si sviluppa? «Ogni commedia ha una sua genesi. Quando ci arriva un copione cerchiamo di comprendere la struttura interna. I vari personaggi e l’ambientazione storica. Per quanto concerne le mie commedie, nascono dalla visone della realtà e dai ricordi che mi sono stai tramandati. La storia deve avere una attualità morale. Amore, amicizia, famiglia. Poi ci si costruiscono i personaggi, che il più delle volte sono presi dalla strada o da ricordi personali. Il momento più difficile è la costruzione del momento comico. E’ come un gioco di prestigio, tutti si aspettano che… invece accade altro…». Quale ricordo vorresti lasciare di questa bella esperienza e quale messaggio daresti ai giovani? «Ti ringrazio per questa bellissima intervista. A questa domanda ti rispondo che questi 50 anni hanno offerto a me e ai miei compagni di viaggio emozioni che non si possono descrivere, ma che sono nel cuore di ognuno di noi. Alcuni ci hanno lasciato materialmente, ma sono sempre presenti nei nostri cuori, e prima o poi ci ritroveremo. Lasciamo alla città, 65 opere in vernacolo, monologhi, atti unici che credo sia un patrimonio culturale che non ha eguali. Basta solo… comprenderlo. I giovani o chi per loro dovrebbero conservarlo e tramandarlo. Noi cerchiamo di farlo». “Benvenuti a teatro dove tutto è finto, ma niente è falso” (Gigi Proietti)
© Riproduzione riservata
Autore: Felice de Sanctis