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Gaetano Salvemini papà: una felicità distrutta tre giorni dopo il Natale 1908 Una pagina di vita, a ricordo dell'anniversario
15 gennaio 2004

Sposatosi a 24 anni in Firenze, il 21 ottobre 1897, con la ventenne conterranea Maria Minervini, Gaetano Salvemini informava Carlo Placci il 28 agosto '98: "Io a novembre sarò babbo; (...) il marmocchio nasce in tempi non molto favorevoli. Ma! sarà quel che sarà”. Insegnante allora nel Liceo “Torricelli” di Faenza, Salvemini aveva chiesto il trasferimento in una città vicina a una sede universitaria, per far studiare agraria al fratello ventenne Mauretto, dopo la licenza liceale conseguita nel Seminario vescovile di Molfetta. Ottenuto il Liceo “Pietro Verri” di Lodi, vicino a Milano, Salvemini vi si trasferì nell'ottobre '98, portando con sè, oltre al fratello e a una sorella, anche la moglie per attendere insieme la nascita del primo figlio. Il 4 novembre comunicava a Cesare Paoli: "Io non sono ancora papà, ma aspetterò poco a diventarlo”; e a pochi giorni dal fausto evento informava Arcangelo Ghisleri: "Io sto per avere il primo figliolo: nasce in buon punto!”. L'attesa cessò il 17 novembre, quando nacque, il bambino che Salvemini chiamò Filippo, in onore di Filippo Turati il quale era stato, coi suoi scritti, uno dei suoi primi e più efficaci maestri. Nel dare la notizia a Ugo Guido Mondolfo, Salvemini gli espresse anche la sua prima speranza di padre: “che alla identità di nome si unisse la somiglianza di ingegno e di cuore”. Nei mesi successivi alla nascita Filippetto, Salvemini non mancò occasione per far conoscere ai suoi più cari amici i progressi della crescita del figlio. "Sta per delle ore intere a tartagliare e già ci riconosce - scriveva al Placci il 25 febbraio '99 -, riconosce la bottiglia del latte, e si tiene in piedi per qualche minuto senza sostegno. Per tre mesi non c'è male. Chi sa che cosa sarà quando avrà trent'anni”. Verso i sette mesi d'età, “il mio piccino - scriveva Salvemini allo stesso Placci il 5 giugno '99 - vien su benino e finora non ha dimostrato nessuna idea politica; si vede che desidera tenersi indipendente da ogni partito, per ora”. A poco meno di un anno dalla nascita del figlio, il 28 ottobre egli scriveva a Cesare Paoli: "Il mio bamberottolo vien su grasso e allegro che non sembra neanche figlio di un professore: e questa non è poca consolazione”. Contemporaneamente confidava a Ernesta Bissanti, moglie di Cesare Battisti: "Filippetto cresce benissimo e mi sembra molto intelligente dice mamma, sa fare il gioco delle ombre, e pesa 13 chili”. Alla stessa amica annunciava anche: "in primavera avrò le spese del secondo rampollo”. Tale notizia egli l'aveva anticipata il 4 ottobre '99 al Ghisleri, scrivendogli preoccupato: "Con otto fratelli, padre, madre, moglie e figlio - anzi e figli a momenti - centosessantasei lire al mese non bastano (...) Sono obbligato a buttarmi ad altro lavoro per guadagnare purchessia tanto da sfamare tutta questa caterva di bocche”. La morte della nonna di Maria, nel mese di dicembre, lasciò un migliaio di lire di rendita, con cui Salvemini pensava di poter ristabilire l'equilibrio del bilancio, che fu compromesso ulteriormente dalla bocciatura al concorso che egli aveva tentato per l'Università di Pavia. Nel febbraio del 1900, Salvemini ottenne il trasferimento al Liceo “Galilei” di Firenze, dove risiedeva la famiglia di Maria, ma fece restare la moglie a Lodi. "In marzo ritornerò pel parto di mia moglie”, egli scriveva il 6 febbraio all'amico Ghisleri, al quale, il 10 marzo, annunciava da Firenze: “Io fra qualche giorno sarò babbo per la seconda volta e aspetto un telegramma da Lodi per accorrere a salutare la buona fortuna. Sono qui in istato vedovile fino a maggio, e questo mi rende nervoso e incapace al lavoro”. Il 18 marzo nacque a Lodi il secondogenito, al quale Salvemini mise il nome del suocero, Corrado, presso cui abitò a Firenze, in via Dogali, 3, dove, nel 1901 nacque il terzogenito, che Salvemini chiamò Leonida, in segno di affetto verso Leonida Bissolati. Dopo questa nascita, egli ebbe anche la nomina a straordinario nell'Università di Messina, nella quale città “emigrò con la tribù” nel marzo 1902, dopo essere stato impegnato a Molfetta nelle elezioni amministrative. Da Messina, Salvemini scriveva al Placci il 21 agosto 1903: "Nella seconda metà di settembre (...) la mia piccola moglie mi avrà regalato il quarto o la quarta erede dei miei estesissimi latifondi”. Tale arrivo non impedì tuttavia a Salvemini di essere a Molfetta nel mese di ottobre, ospite di Francesco Picca, al quale, dopo essere tornato a Messina, scrisse preoccupato per la indisposizione in cui aveva trovato il suo Leonida: "Che sarà stata prodotta - lo rassicurava il Picca (in una lettera del 31 ottobre) - forse da cambiamento di denti o da abuso di cibo: credo bene sia cosa da nulla e da non impensierirti”. Una infausta esperienza di padre colpi invece Salvemini nel settembre del 1904, quando gli morì, ad un anno di età, la sua ultima nata, come egli stesso ci fa sapere, scrivendo a Carlo Placci il 17 settembre 1904: “Mia moglie ed io non sappiamo come esprimere la gratitudine intensa, che sentiamo verso la Sua famiglia, per tutte le manifestazioni di benevolenza, che ci hanno inviate nella nostra sventura. La sua buona lettera, caro amico, è parte di tutta una serie di attestati di pietà, di affetto, di umana simpatia, con cui la sua famiglia ci ha fatto coraggio nella nostra desolazione. Certi dolori purtroppo non si leniscono. Nè è vero che il tempo li addormenti: divengono più nascosti, ma più consapevoli di se stessi e più sconsolati. E nemmeno è vero che l'amore degli altri figli serva di riparo al dolore dell'unico perduto: questi miei figli, che una volta io baciavo con un senso di fierezza e di dominio, oggi invece non posso guardarli senza pensare alla povera piccolina, che non seppi difendere contro il dolore e contro la morte, e mi sento impotente a difendere anch'essi, e una tristezza disperata mi stringe il cuore. Ma l'amicizia delle anime buone come la Sua, come quelle di tutti i Suoi, se non vale a consolarci, ci fortifica: ci fa sentire il dovere di resistere, di non lasciarci spezzare; ci vieta di abbandonarci del tutto alla disperazione, ricordandoci come in questo angoscioso mistero che è la vita non manchino grandi correnti di bontà e di amore. Grazie, caro e buono amico. Il ricordo di questi giorni di passione non ci abbandonerà mai; e insieme con essi ci seguirà l'immagine delle persone buone, che ci hanno offerta una mano fraterna e ci hanno aiutato a sopportare il nostro affanno”. Dopo questa tragica perdita della figlioletta, ben si comprende perché il 6 novembre seguente, trovandosi a far concioni a Trieste, Salvemini fu subito chiamato a Messina da un telegramma che gli comunicava che Filippetto era malato con febbre molte alta. "Non si trattava che di una indigestione solennissima”, egli scriveva sollevate a Ernesta Battisti Bittanti il 7 dicembre 1904, tanto che “giunto a Messina, mi chiusi in casa - egli dice - e per circa un mese lavorai disperatamente a mettere insieme il discorso inaugurale dell'università su Mazzini”. All'inizio del 1906, scrivendo da Roma a Carlo Placci, Salvemini gli annunciava la prossima nascita di un nuovo erede. Scriveva infatti in data 21 gennaio: "Io voglio approfittare di quei dieci giorni di riposo, che mi procurerà la mia dimora a Messina per la nascita del nuovo erede, per dire qualche corbelleria sulla conferenza di Algesiras”. Al nuovo nato maschio Salvemini diede il nome di Ugo, come testimonianza di affetto verso il cognate Ugo Minervini, mentre alla notizia del lieto evento avvenuto, Francesco Picca gli scriveva da Molfetta (in una lettera medita del 12 febbraio 1906): "Che altre vuoi di meglio? Una bambina, che ti colmi il vuoto di quella bellissima che perdesti così barbararnente? L'avrai di sicuro; tua Moglie è disposta a regalarti un figlio l'anno, siete giovani e quindi c'è tutto da sperare secondo i vostri desideri”. Infatti, il 2 ottobre 1907, Salvemini scriveva tutto contento al Placci: “La piccola moglie stamattina ha messo al mondo felicemente una bambina, che ha una bocca grande come un forno e un appetito corrispondente. Ambedue stanno benissimo dopo che l'operazione è finita: e mi ci metto dentro anch'io perché anch'io ho avuto le mie legittime doglie. Ma oramai al passato non ci si pensa più: e occorre preoccuparsi dell'avvenire, cioè della dote e del marito”. A quest'ultima sua bambina Salvemini mise il nome di Elena, per gratitudine verso la baronessa Elena Cini French (n.1844), la quale si era a lui affezionata come una madre. Il 24 giugno 1908, Salvemini manifestava all'amico Carlo Placci le sue lamentele per aver avuto “un giugno poco allegre perché tutti i cinque miei bambini - egli scrive - si sono ammalati a due o tre giorni di distanza l'uno dall'altro con febbri di ignota origine, che duravano un paio di giorni e poi sparivano senza lasciar tracce. Sono state circa tre settimane di preoccupazioni poco desiderabili”. Allo stesso amico, il 20 novembre seguente, scriveva invece tutto contento: “I miei stanno tutti benissimo. Oggi è la nascita di quella pettegola della regina madre: perciò hanno tutti vacanza. E la casa mia è una vera casa del diavolo”. A Messina egli risiedeva allora in Piazza Cairoli, 104, e il mese dopo, un terribile terremoto distrusse la città, dove, sotto le macerie della sua casa, Salvemini perderà tutta la sua famiglia. “Se io avessi dovuto una volta immaginare una sciagura orribile che mi colpisse - scriveva a Giovanni Gentile il 1° aprile 1909 -, non avrei mai pensato à quel che è avvenuto. Me ne fosse rimasto almeno uno di quei bei figlioli, di cui io dicevo per burla e un po' sul serio che sarebbero stati il bastone della mia vecchiaia. Mi fosse rimasto, almeno Filippetto! Io vado avanti, lavoro, faccio discorsi, preparo conferenze, tiro sassate a chi mi pare non sia onesto e sincero. Insomma vivo. E la gente mi crede un forte, perché continuo a fare meccanicamente ciò che facevo quando ero forte. In realtà sono un povero disgraziato, senza tetto e senza focolare, che ha visto distrutta in due minuti la felicità di undici anni”. Pasquale Minervini (Centro Studi Molfettesi)
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