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Franco d'Ingeo dona alcune opere alla città
15 maggio 2005

Presentato sabato 7 maggio alle 19 presso la Fabbrica di S. Domenico il catalogo della donazione di Franco D'Ingeo alla cittadinanza. Una mostra permanente di 25 dipinti, che coprono un arco di tempo compreso tra il 1959 e il 2000. Una seconda donazione, successiva, è quella della compianta Anna Rita Spezzacatena con i suoi suggestivi volti del potere. A introdurre la serata il saluto del sindaco, Tommaso Minervini, che esprime l'auspicio che la Fabbrica possa progredire ogni giorno di più nel suo proporsi come vero e proprio 'crocevia della vita culturale cittadina', precede la densa ed elegante prolusione della dottoressa Christine Farese Sperken, critico d'arte della Pinacoteca Provinciale e docente dell'Università di Bari. Oltre a fornire notizie tecniche sul catalogo (edito da Mezzina, presenta brevi saggi di Vittore Fiore e Michele Campione, intelligentemente tradotti anche in inglese), la Farese Sperken delinea un suggestivo tracciato dell'iter artistico del D'Ingeo. Punto di partenza dell'analisi è la ritrattistica, 'nitida', 'sobria', 'realistica'. Evocata a confronto la figura di Antonio Donghi, con le sue donne, giovinette e canzonettiste, da un'immagine di donna bruna (vagamente simile a Liz Taylor) con cagnolino l'obiettivo si focalizza sull'ossessione della pietra. Filo rosso della produzione del D'Ingeo i muretti a secco, chiodo fisso un po' come le architetture e cattedrali del Gentilini o gli strumenti musicali e le note di Braque. La Farese Sperken chiama in causa Francesco Netti e il De Nittis, ma per segnalare come, negli abbeveratoi del primo, i muretti non costituiscano l'oggetto primario del comporre e, nel secondo, l'essere 'sensibile interprete del paesaggio pugliese' si traduca più che altro (e abbia il suo fulcro) nel culto dell'Ofanto. In D'Ingeo, invece, pare vibrare, per citare Vittore Fiore, 'il dolore delle pietre pugliesi'. Poi riferimenti al soggiorno romano e all'adozione della sabbia e dei collages. Notevole, in questa scelta, che sa di ricerca di un effetto più 'reale', l'influsso del faentino Gentilini. A D'Ingeo la Farese Sperken riconosce il merito di una apertura culturale notevole, che lo ha condotto a lunghi soggiorni di là dalla provincia, come nel caso del fecondo periodo parigino, durante il quale egli conobbe il marchigiano Orfeo Tamburi, pittore di interni di Parigi, di caffé tristi, nonché ritrattista (con esiti profondamente differenti dal D'Ingeo), e soprattutto Georges Braque, che D'Ingeo preferiva a Picasso. Braque con le sue doti di decoratore, coi collages e i papiers collés... E il percorso critico prosegue, segnalando l'amore sempre crescente per la pittura informale da parte dell'artista molfettese, la sua infaticabile ansia di aggiornamento, e la recente acquisizione di certe peculiarità paragonabili a quelle dell'artista americano Rauschenberg. Il ricordo della donazione fatta da D'Ingeo anche alla Pinacoteca Provinciale di Bari, dimostrazione di “grande cultura” e, con quella a Molfetta, “di autentico senso civico”, presta il destro alla Farese Sperken per ricordare la necessità che gli artisti pugliesi, non esenti i più giovani, facciano donazione di loro opere ai luoghi istituzionalmente deputati alla trasmissione del patrimonio artistico (spesso privi di cospicui fondi e impossibilitati ad ingenti acquisti), in virtù dell'alto valore testimoniale che nei suddetti è riposto. Gianni Antonio Palumbo
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