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Franco Cives: un “capopopolo” che credeva nei giovani
15 dicembre 2011

Sandro Fiore, senza dubbio, è stato un esponente, brillante per la sua oratoria e capace per le sue competenze, della generazione dei comunisti “capipopolo”, di estrazione operaia e contadina, che negli anni Sessanta del secolo scorso ha guidato in Puglia le grandi lotte popolari del tempo (a Molfetta con i braccianti, i netturbini, gli edili, i laterizi, i pescatori), e che ha radicato il partito comunista di massa e sostenuto la crescita delle leghe operaie e contadine. La elezione di Fiore, prima a consigliere provinciale e successivamente a consigliere regionale del P.C.I., al pari della elezione di altri dirigenti comunisti di quella generazione (penso al deputato Sicolo, operaio delle ferriere di Giovinazzo, al senatore Gadaleta di Ruvo, ed al deputato Lops di Corato, braccianti, solo per citarne alcuni), fu il naturale riconoscimento popolare di una militanza politica. Ho un ricordo indelebile, allora studente del primo liceo classico, svezzato dalle prime assemblee studentesche del 68, della intensità delle assemblee che si tenevano nella sezione del partito (in corso Dante), nelle “leghe” (le sezioni sindacali di categoria), e nei nascenti comitati di quartiere; dei comizi in piazza, dei cortei affollati e non rituali del 25 aprile e del 1° maggio, delle manifestazioni operaie per difendere il lavoro nelle fabbriche esistenti. Affascinava la matura partecipazione a quegli eventi di persone comuni, determinate per il cambiamento della società, a partire dalle concrete condizioni di vita e non dalla utopia. Sandro Fiore, sempre in prima fi la, amava dire che quelle iniziative e quell’agire erano la palestra della conquistata democrazia. Citava continuamente Gaetano Salvemini come simbolo dell’antifascismo. Fiore era il protagonista della piazza, e, con la sua oratoria assolveva anche ad una funzione di informazione dei cittadini sui fatti nazionali e municipali, oltre che di formazione politica e culturale dei lavoratori, sempre presenti in gran numero ad ascoltarlo prima, ed a colloquiare con lui dopo il comizio. Negli anni Settanta vi fu l’irruzione nella vita sezionale di energie studentesche e giovanili, portatrici di nuove idee e nuovi bisogni collettivi (in materia di cultura, di territorio ed ambiente, di diritti civili, di critica del socialismo reale, di nuovi strumenti di partecipazione democratica). Questa nuova presenza scompaginò il modello organizzativo del partito, sottopose a critica la condotta del gruppo consiliare, e in defi nitiva metteva in discussione gli assetti rappresentativi ed organizzativi della sezione, oggi si direbbe la leadership. In quella occasione Fiore diede prova di essere “uomo di partito”: non si arroccò, come altri pure fecero, ma coinvolse i giovani nella direzione della sezione. Egli colse la sfi da della innovazione come opportunità di apertura del partito a categorie sociali della città fi no ad allora estranee al suo tradizionale insediamento. Questa scelta diede i suoi frutti di rinnovata autorevolezza dei comunisti a Molfetta. Ma, in quegli anni maturava anche una mutazione della identità della città. La dismissione e il ridimensionamento di fabbriche ed attività che erano connaturate al territorio e all’hinterland (pastifi ci, sansifi ci, laterizi, commercio di legnami, pesca), erano il segno di un declino. Nei comizi del tempo Fiore denunciava i rischi della perdita di identità della città, e ripeteva che Molfetta, che aveva meritato l’appellativo di “Manchester delle Puglie”, era diventata una “città che consuma ma non produce”, una “città dormitorio” sempre più svuotata con la emigrazione delle sue energie migliori, e sempre più mantenuta dalle rimesse dei marittimi. Quei fenomeni sociali ebbero rifl essi anche sul piano politico-elettorale: perdeva consistenza il lavoro insediato nelle fabbriche e nei campi, che era stato protagonista delle grandi lotte di popolo guidate da Fiore, e si ingigantiva il lavoro del pubblico impiego, vincolato ad una gestione clientelare del potere, e alla mediazione politica degli uomini e dei partiti di governo. La pesante sconfi tta elettorale alle elezioni amministrative del 1980, con il dimezzamento della rappresentanza consiliare (dopo che i comunisti avevano sostenuto il sindacato di Finocchiaro), segnò di fatto l’esaurimento di una grande esperienza di partecipazione civile, di cui Fiore era stato grande protagonista. La crisi del partito a Molfetta anticipò il più generale declino elettorale del partito comunista nel corso del decennio craxiano, e si avvitò fi no alla sua scomparsa, dopo il crollo dei regimi del socialismo reale. Gramsci ha scritto che quando vi è la crisi strutturale di un partito e della sua classe sociale di riferimento, allora, quei dirigenti che vi avevano aderito solo per attrazione egemonica lo abbandonano, e si insediano nella formazione politica connaturata alla propria classe di appartenenza. Sandro Fiore, dirigente comunista organico alla sua classe, ha mantenuto anche da semplice iscritto e da semplice cittadino il suo legame con i valori della sinistra.

Autore: Francesco Cives
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