Finis Europae
Il tramonto dell’occidente
L’inferno è sceso su Gaza e sui suoi trentamila morti. E i nostri bravi esperti, i commentatori, i “geopolitici”? Balbettano, esitano, si sdegnano, si accapigliano, non osano elaborare un discorso onesto sulle reali responsabilità politiche ed economiche che da settant’anni sono all’origine dei fatti di Palestina. E la stampa? Lasciamo da parte quella di destra per motivi di decenza. E quella sedicente indipendente? Prudenza, tracce evidenti di atlantismo, miserabile silenzio dell’Europa sulle possibili alternative alla guerra. Non una rivolta morale, non una critica radicale. L’attenzione volta unicamente alla curva dei profitti. Duemila anni di sbandierata tradizione giudaico- cristiana si prostrano agli argomenti glaciali che furono di Tucidide e di Tacito. La cosiddetta civiltà occidentale, il cosiddetto mondo libero sono giunti al capolinea. Mi tornano in mente le parole di Nino Oxilia, giovane poeta crepuscolare, caduto nel 1917 sul monte Tomba: “Sull’orlo dell’abisso senza fondo, ove caddero ad uno ad uno infranti i vecchi altari, m’accomiato da voi. Rulla il tamburo!”. La dilagante indifferenza contrasta con le parole pronunciate più volte da papa Francesco, dalle quali traspare una profonda tristezza: ma è una voce nel deserto. Molti furono in Europa gli scrittori che, prima del 1914 e del 1939, percepirono l’incombere delle due catastrofi. Tra di loro numerosi ebrei, doppiamente oppressi: dalla guerra e dal razzismo. Alcuni non ressero alla distruzione della ragione, e si tolsero la vita, lasciandoci testimonianze tragiche di un’umanità perduta. Ne ricorderemo qualcuno. Ernst Toller nacque in Germania nel 1893 in una famiglia di origine ebraica. Pur pacifista, aderì al fallito moto comunista bavarese del 1919. Arrestato, scontò cinque anni di carcere duro. Partecipò attivamente alla vita politica tedesca fino al 1933. Profugo in Inghilterra Francia e Spagna. Avvilito dal crollo della Repubblica spagnola, ridotto in miseria e ossessionato dall’avvicinarsi della nuova guerra, si impiccò nel 1939 in un albergo di New York. Scrisse diversi lavori teatrali e altri in prosa, tra i quali un’amara autobiografia, “Una giovinezza in Germania”. Seguono alcuni brani tratti da quest’opera. GUERRA E RIVOLUZIONE “Il 4 agosto del 1914, il primo giorno della guerra, la seconda Internazionale crollò. Non aveva più con se né i capi né le masse: soltanto piccoli gruppi rimanevano fedeli alle sue idee. La coscienza internazionale non resse di fronte all’ubriacatura nazionalista, lo sciovinismo trionfò, i proletari di tutti i paesi scordarono i giuramenti di fratellanza e spararono gli uni contro gli altri: e la patria non fu più l’umanità, bensì lo sta- to capitalistico, il nemico non fu più il borghese ma il compagno di là dalla frontiera; gli ideali del passato si rivelarono più forti degli ideali del futuro, gli istinti coltivati dalla classe dominante più forti delle nebulose convinzioni degli intellettuali. Ora i naufraghi della seconda Internazionale si incontrano a Berna: non hanno il coraggio di riconoscere la loro bancarotta e d’indagarne i motivi politici, molari e psicologici; discutono per intere giornate sulla questione della responsabilità della guerra, ciascuno cerca e trova le colpe degli altri e dimentica le proprie. Eisner, Friederich Addler, e pochi altri che durante la guerra avevano fatto professione di socialismo, tentano di salvare l’Internazionale. Ma i manifestini unità non riescono a nascondere l’insanabile frattura. Questi partiti, che realmente potevano conquistare un mondo, hanno fatto fallimento e continuano a fallire: una grande fede, una grande speranza umana, si infrangono, verità e menzogna si separano. Bisogna gettare nuove fondamenta, cercare forme nuove, vie nuove. Il discorso pronunciato a Berna da Eisner contro l’imperialismo e contro i criminali di guerra ha acceso contro di lui l’odio accanito della reazione tedesca. Kurt Eisner è stato ucciso. Chi oggi vuole lottare su un piano politico nel tumulto degli interessi economici ed umani, deve rendersi chiaro conto che le leggi e la portata della sua lotta sono determinate da ben altre potenze che dalle sue buone intenzioni; e che spesso gli verranno imposti modi di offesa e di difesa ch’egli potrà giudicare tragici, modi che potranno farlo sanguinare nel più vero senso della parola”. 1933. CATASTROFE No: in quindici anni non hanno appreso nulla: hanno dimenticato tutto e nulla appreso. Una volta di più hanno fallito allo scopo, una volta di più hanno fatto naufragio e sono stati fustigati e vilipesi. Trionfa la barbarie; nazionalismo, odio di razza, statolatria abbagliano occhi, cervelli, cuori. Dappertutto la stessa pazzesca smania di trovare il colpevole che porti la responsabilità per il passato, a cui si possa addossare la colpa dei nostri mancamenti, dei nostri errori, dei nostri delitti: nulla di strano, è l’agnello sacrificale dei tempi antichissimi, solo che ora non sono più bestie, ma uomini che vengono destinati al sacrificio. Le conseguenze sono spaventose. Il popolo impara a dir di sì ai suoi più bassi istinti, al suo bellicoso prurito di violenza. Valori morali e spirituali, conquistati in millenni di fatica e di martirio, sono abbandonati allo scherno e all’odio dei più forti. Libertà umanità fratellanza giustizia: tutto un frasario pestifero da gettare all’immondezzaio! Impara la virtù dei barbari, impara a sparare a ferire, a rubare, opprimi il più debole, eliminalo, disabituati dall’essere sensibile alle sofferenze altrui. Impara che solo il sangue può formare e forgiare e innalzare un popolo. Non interrogare, credi! Il solo fatto che tu interroghi è sospetto; e bada che non finiamo per sospingerti nei ranghi di quelli che devono essere cancellati dalla faccia della terra! Poiché siamo noi a decidere chi può vivere e chi deve morire per la nostra salute. E l’Europa? L’Europa insiste nel suo cammino di rovina. Perché migliaia di speculatori guadagnano miliardi con le bombe e con le granate, con i gas asfissianti e coi bacilli della peste; e questi miliardi di sangue si chiamano valori nazionali. I popoli tacciono. Nel ciclone della guerra, che si preannunzia minaccioso col salire delle azioni delle officine belliche, l’Europa si getta a capofitto nell’abisso del suicidio. Dov’è la gioventù d’Europa? Dove siete, miei compagni di Germania? Vedo folle che applaudono, festanti e rumorose, alla perdita della libertà, all’ostracismo dell’intelligenza. Dove siete, compagni? Non vi vedo: eppure so che voi vivete. Durante la guerra mondiale, da un uomo, uno solo tra milioni, venne la voce della verità e della pace; e la tomba del carcere non riuscì a soffocare la voce di Karl Liebknecht. Oggi voi siete i suoi eredi. Quando ci opprime il giogo della barbarie, bisogna lottare, e non si può tacere. Chi tace in un tempo come questo tradisce la sua missione di uomo. Nel giorno del rogo dei miei libri in Germania. © Riproduzione riservata