Il tema ricorrente in questi giorni è quello di una nuova crisi che potrebbe ulteriormente colpire un sistema economico, nazionale e internazionale, già duramente provato da una prima crisi nel 2008 a cui non è seguita alcuna sostanziale ripresa.
Il problema principale risulterebbe non tanto nell’analizzare alcuni indici anche perché, guardando ad esempio le altalene delle Borse negli ultimi giorni, ci sarebbe ben poco da comprendere e sarebbe veramente astruso affidare a delle spiegazioni logiche delle variazioni così rapide e di segno opposto nel giro di poche ore. È bene ricordare ancora che, nelle intenzioni, il meccanismo della “Borsa” doveva rappresentare una opportunità per le imprese per finanziarne lo sviluppo. Nelle attuali transazioni la vera intenzione è quella, forse, della sola speculazione.
Tuttavia sarebbe utile riflettere su un elemento ancor più preoccupante e drammatico di questa vicenda, ovvero comprendere se esista o meno una reale prospettiva di lavoro per chi dovrebbe divenire parte attiva di un sistema sempre meno definito.
A fine agosto Confartigianato ha diffuso i dati sulla disoccupazione giovanile in Italia e i numeri sono allarmanti. Si parla per il 2010 di 1.183.000 disoccupati sotto i 35 anni. Nella classifica per regioni la Puglia è al 6° posto con una disoccupazione giovanile al 23%. Inoltre, considerando la fascia d’età tra i 15 e 24 anni, quella relativa a chi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro, la percentuale nazionale è del 29,6% nel primo trimestre 2011, ovvero quasi un giovane su tre è disoccupato.
Questi sono i veri numeri di una profonda crisi che ormai perdura da tre anni e che, sempre secondo le elaborazioni di Confartigianato, ha causato nel triennio la perdita di quasi un milione di posti di lavoro per gli under 35.
Di articoli sulla crisi, sulle sue motivazioni, sulle conseguenze, nonché sulle strategie per uscirne, ne sono stati pubblicati a iosa. Sono state individuate negatività nelle regole dell’economia, in un approccio poco etico alla finanza per non parlare poi, osservando la situazione italiana, della mancanza di riforme strutturali, di politiche per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e di programmi di sviluppo.
Lo scopo del presente articolo non è quello di soffermarsi sulle tematiche sopra esposte, in quanto sicuramente ci sono molte fonti più autorevoli che hanno dibattuto la questione con analisi e contributi interessanti.
La riflessione si spinge invece su un interrogativo molto semplice ma allo stesso tempo preoccupante: esiste una reale prospettiva di lavoro? Ed in particolare per un giovane del nostro territorio che a 24 anni ha magari conseguito una Laurea Magistrale?
La risposta, guardando la situazione odierna, potrebbe essere drammaticamente negativa. L’uso del condizionale è giustificato però da una flebile possibilità che potrebbe invece consegnarci un futuro con una visione migliorativa. Tale possibilità può essere legata solo ed esclusivamente ad un cambio di pensiero a cui deve seguire obbligatoriamente un cambio di atteggiamento.
Per oltre mezzo secolo il nostro territorio si è troppo affidato, e direi consegnato, ad una gestione pubblica clientelare che non è stata in grado di curare l’interesse collettivo mediante una seria ed attenta programmazione degli interventi. Se ci troviamo ancora a discutere di infrastrutture, formazione, sviluppo del turismo, dell’agricoltura, dell’industria, significa che poco o nulla di importante è stato fatto, divenendo la politica un centro di potere per pochi “eletti” e non un servizio alla cittadinanza. Negli ultimi giorni sono stati quasi “santificati” il governatore Vendola e il ministro Fitto per la pace fatta in occasione dell’inaugurazione della Fiera del Levante.
Quasi fosse un evento fuori dal comune. In un altro paese civile un avvenimento del genere sarebbe stato considerato del tutto “normale”, poiché il mandato consegnato dagli elettori, indipendentemente dall’area politica di appartenenza, è un compito di responsabilità, in cui alle idee e agli interessi personali bisogna anteporre l’interesse per la “res pubblica”, nei fatti e non solo nelle intenzioni. In definitiva ai giovani spetta il cambiamento, sradicando le logiche di chi ha costruito le regole attuali, in particolar modo quelle regole non scritte. E per cambiare bisogna intervenire su pochi ma sostanziali punti. È necessario comprendere che:
non è dalla politica che arriva la soluzione al problema del lavoro;
occorre essere propositivi rischiando in proprio;
è necessario favorire il confronto con altre realtà, sia a livello nazionale che soprattutto a livello internazionale;
bisogna valorizzare le nostre ricchezze, da intendersi come “vantaggi produttivi del territorio”.
È mai possibile che sulle nostre spiagge i lidi chiudano a metà settembre con una temperatura esterna che supera ancora i 30 gradi? Sarà pure un problema di concessione ma bisogna rimanere immobili ed essere perseguitati di una miope regolamentazione? Pertanto, senza giungere alle pesanti conseguenze dei recenti moti del Nord Africa (a cui molte volte siamo paragonati), occorre veramente contrapporsi a quell’immobilismo di cui siamo stati per troppi anni artefici e vittime. La speranza è quella che questo periodo di crisi possa servire invece da risveglio per una nuova ripartenza, con quelle capacità umane, prima ancora che economiche, che nel nostro ambiente non mancano. Ripartire dal basso senza attendere la classica soluzione calata dall’alto. Il Giappone è un chiaro ed evidente esempio di questa filosofia. Autostrada ricostruita sei giorni dopo gli eventi catastrofici di inizio anno. Da noi magari si discute da decenni per realizzare un sotto passaggio che elimini gli inutili e pericolosi passaggi a livello.