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e la vita continua di Jole de Pinto
15 ottobre 2011

Si conclude con ...E la vita continua la “trilogia di memorie” della poetessa molfettese, Jole de Pinto, inaugurata dal delizioso Una bambina e proseguita, a ripercorrere i sentieri dell’adolescenza, con La bambina cresce. Un percorso catartico di scrittura, teso alla riappacifi cazione con se stessa – come precisa l’autrice stessa nella Premessa; un itinerario pregno di poesia, nella misura in cui la de Pinto riannoda i fi li del passato, intrecciando, nella struttura prosimetrica, gli eventi esistenziali alle liriche che hanno cadenzato lo scorrere del tempo. Il volume sarà presentato da Francesco Bellino in data 18 novembre; il ricavato sarà devoluto in benefi cenza per gli immigrati. Il fi l rouge del terzo libello, come già svela la bellissima scultura di Maria Addamiano riprodotta in copertina, è il tema della Maternità, moto d’amore che si traduce, nel primo capitolo, nella cura, al contempo delicata e orgogliosa, dei fi gli, Gianluigi e Fabrizio; nella seconda sezione, in premurosa e libertaria dedizione alla nobile arte della didattica; nel terzo segmento narrativo, infi ne, nel parto creativo di un’“aristocratica” (secondo la defi nizione di Daniele Giancane) e raffi nata scrittura poetica. Di estrema dolcezza la sezione dedicata ai propri fi gli, in cui Jole ripercorre le tappe della loro educazione, lieta “d’aver cesellato due gioielli”: rivivono i sacrifi ci piccoli e grandi; le ansie di chi acquisisce l’amara consapevolezza di non possedere lance “a spezzare i nodi / del labirinto”; l’orgoglio per le conquiste intellettuali e sentimentali dei ragazzi ben presto divenuti adulti; il delicato e inebriante affetto di nonna per il piccolo Davide. L’io narrante mostra di prediligere un’educazione fondata sulla libertà e sul culto della bellezza, che si traduce nell’attitudine a circondarsi di oggetti d’antiquariato e di dipinti d’alto profi lo estetico. Il microcosmo familiare è celebrato anche nei loci e nei versi dedicati agli animali della casa, come l’elegiaco componimento In morte della gatta Soraya, in cui la voce del dolore e il senso della fi nitudine vibrano con accenti di struggente nitore: “L’arcobaleno attraversa il cielo / verrà il sole ma non per te”. La seconda sezione ricorda le esperienze scolastiche della docente, dagli anni del “De Sanctis” di Trani a quelli del “Da Vinci” di Molfetta. Segnaliamo soprattutto i versi, già pubblicati ne L’ora di dentro, che eleggono a interlocutrice privilegiata Daniela de Gennaro, vittima – giovanissima – di un tragico incidente stradale: Daniela/Ebe diviene icona della giovinezza che non mantiene le promesse, dell’opera avvolgente e impietosa del “gorgo dell’ignoto”, a cui non si può reagire se non con l’offerta votiva, al tenero fi ore reciso, di “steli di fresie (...) stuprate del profumo”. L’ultima sezione narra l’affi orare della poesia nella biografi a della scrittrice, ne rammemora i successi attraverso i numerosi premi letterari vinti, ma ammonisce anche sull’ipocrisia e le invidie che animano un mondo, quello letterario, che, in nome dell’Arte, dovrebbe essere animato da ben altri ideali. Concludiamo rilevando la presenza di alcuni pregevoli inediti dell’autrice. Se la vena della de Pinto conferma le proprie caratteristiche di eleganza stilistica e doctrina, possiamo ravvisare l’approdo a una chiarezza e a una comunicatività, che non sono indizio dell’opzione per una facile cantabilità, ma spie di una nuova, bella, stagione della poetessa molfettese. La stagione dell’agonismo maturo (“Ti sfi do autunno / con la tua luce brumosa / con la tua sera rapace”), dell’acuirsi della tensione metafi sica (“mi tenta l’altrove / mi seduce l’oltre / e irretita rimango”), dell’insorgere di una nuova speranza (“lontanerà l’accidia / che uccide la linfa / complice il gelo”)... E così nel fl utto di una melanconia persistente si insinua l’uso di verbi come “s’ingrazia”, effetto che la ragione riscopre nel dialogo con Le voci della natura, e, se sembra ormai trascorso il tempo in cui “i sogni indiavano certezze”, la luce può ancora colorarsi di azzurro e l’accorata preghiera può schiudere all’io lirico e ai suoi cari l’alba di Nuovi voli.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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