MOLFETTA - Grande successo e scroscio di applausi per la rappresentazione teatrale del poema, che a buona ragione può considerarsi epico, «Dos lid funem oysgehargetn yidishn folk»(Canto del popolo ebraico massacrato) del poeta polacco Yitzhak Katzenelson, rappresentato al cinema Odeon in occasione della Giornata della memoria.
Il poema è stato portato in scena dall’associazione culturale Teatrermitage che si sta occupando di sensibilizzare i giovani: educare al rispetto degli altri e recuperare il senso civico nonché il senso di giustizia, come ha spiegato la coordinatrice Eugenia Spaccavento. Proprio per questo motivo, hanno partecipato come spettatori gli studenti di alcune scuole medie di primo e secondo grado di Molfetta e di Terlizzi che, nonostante la tematica complessa e molto seria, hanno mostrato rispettoso silenzio e attenzione.
Il regista, il prof. Vito d’Ingeo, prima dello spettacolo, ha tracciato in breve la biografia del poetaKatzenelson (1886-1944) utile per inquadrare storicamente il poema.
Scampato alla prima deportazione, dopo aver perso la moglie Hanne e i figli Yomele e Benzion che furono deportati da uno dei tanti “treni della morte”, tra il 1939 e il 1943 fuggì da un ghetto all’altro fino a quando giunse in quello di Varsavia. Nell’aprile del 1943 scoppiò una rivolta nel ghetto, alla quale partecipò insieme al figlio maggiore Zvi ma in maniera particolare: il comitato della resistenza gli commissionò la stesura di un poema che avrebbe testimoniato in futuro lo sterminio degli ebrei polacchi. Di nascosto insieme al figlio fuggì dal ghetto e in quei mesi concepì il Canto del popolo ebraico massacrato.
Riuscì a metterlo per iscritto solo mentre si trovava nel campo di concentramento di Vittel, in Francia, e da qui verrà condotto ad Auschwitz dove morirà nella camera a gas il 1° maggio del 1944.
La scenografia dello spettacolo è povera. Un enorme telo nero ricopre lo sfondo al cui centro è posizionato un monitor nel quale sono proiettate sequenze cinematografiche significative che interrompono la narrazione per sottolineare i momenti più toccanti: cadaveri ebrei posti l’uno sull’altro ammucchiati, bambini ebrei orfani nei lager, ebrei fucilati in massa o impiccati in bella vista, partigiani ebrei che aiutano nella liberazione, scene di guerriglia e distruzione nei ghetti e infine dipinti policromi con case ebraiche ed ebrei in diversi mestieri che sottolineano una quotidianità pacifica ormai distrutta.
Sul palco sono presenti tronchi d’albero spezzati e qualche pneumatico. Sulla destra sono presenti i tre musicisti che eseguono molto bene le struggenti melodie yiddish che accompagnano il canto: Sisto Palombella alla fisarmonica, Eugenio Tattoli al clarinetto e Francesca Faleo al violino.
Il poema diviso in quindici canti, dei quali lo spettacolo ne presenta una selezione, è recitato da due attori professionisti: Giordano Cozzoli nel ruolo di Nathan Eck, amico di prigionia del poeta che subito dopo il ritrovamento del poema lo farà pubblicare, e Tiziana Gerbino in quello di Miriam Novitch, che aveva contribuito a seppellire il testo per salvarlo (su sei copie del manoscritto sono state rinvenute solo due: una in tre bottiglie sigillate e sepolte nel campo di Vittel sotto un albero e l’altra nascosta nel manico di cuoio di una valigia).
La recitazione dei due attori, ricca di pathos, ha permesso di evidenziare i momenti più salienti e terribili del massacro che il poeta ha vissuto in prima persona: si va dall’invasione tedesca della Polonia (in cui c’è la consapevolezza da parte degli ebrei dello sterminio dato che un tedesco afferma che alla popolazione civile non verrà torto un capello, mentre agli ebrei si), alle prime deportazioni che vedono protagonisti i vagoni dei treni che come “spietati criminali reclamano vittime”, poiché partono pieni e ritornano vuoti in numero sempre più elevato (da 6.000 al giorno diventano 15.000).
Si passa al ruolo ricoperto dalla selezione dei deportati dal Consiglio degli ebrei e della polizia ebraica del ghetto di Varsavia ai viaggi di deportazione, allo sterminio dei bambini orfani che a causa del freddo, della fame e dei pidocchi sono stati i primi a morire: una bimbetta di 2 anni che dallo sguardo così serio e cupo dimostra di averne 100, una bambina di 5 anni che imbocca il fratellino col pane, un bambino che piange per la paura poiché un tedesco gli urla in faccia chiedendogli chi fosse suo padre: questo bambino guarda negli occhi il padre ma non parla per non tradirlo.
Questi comportamenti dimostrano come a questi piccoli sia stata stappata con forza l’infanzia e sono diventati presto adulti. È cantato l’eccidio di via Milà stracolma di ebrei che si trovava nel ghetto di Varsavia: tutti furono uccisi, persino i malati furono costretti a venir fuori dalle case come se fossero in salute. I partigiani ebrei di rivoltelle e di fucili sparavano contro i tedeschi per distruggere il ghetto e liberare gli ebrei imprigionati.
Nella scena finale il poeta urla tutto il suo dolore e il suo rammarico nei confronti degli uomini che fanno finta di dormire con gli occhi socchiusi ignorando ciò che sta accadendo e soprattutto nei confronti di Dio il quale ha lasciato che il suo popolo eletto venisse sterminato rimanendo impassibile e indifferente: «Come Saul, il mio re, nella mia pena cercherò la maga, troverò la strada disperata e scura per Endor, e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti e tutti implorerò: guardate, guardate in alto ai vostri chiari cieli e sputate loro in faccia: “che siate maledetti, maledetti!».
La rappresentazione si è conclusa con applausi di apprezzamento e l’esecuzione di una musica yiddish più allegra. Il prof. d’Ingeo ha ringraziato attori e musicisti e si è commosso nel ricordare l’eccidio ebraico. È opportuno, quindi, ricordare utilizzando le parole di Primo Levi che: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario» (Se questo è un uomo).
© Riproduzione riservata