Don Tonino presto Beato Ma il Sud ha bisogno solo di un nuovo Santo?
Ricordo del nostro amato vescovo nel 14° anniversario della morte
Pare sia prossimo l'annuncio dell'avvio del processo di beatificazione di don Tonino Bello, di cui il 20 aprile ricorre il 14° anniversario dalla morte. Il Sud avrà un nuovo Beato e Santo. Piuttosto che chiederci se ci sia effettivamente bisogno di un nuovo Santo, rubando le parole a don Tonino, ci chiediamo invece quale Sud lui immaginava e auspicava, cogliendo l'occasione di una recente pubblicazione della casa editrice edizioni la meridiana (A. Bello, Sud a caro prezzo. Il cambiamento come sfida) e proponendo ampi stralci della postfazione di Franco Cassano. Beati gli uomini del Sud Nell'opera e nell'esperienza di don Tonino Bello il Sud non è presente come un oggetto tra gli altri, da reperire scorrendo l'indice analitico dei suoi libri. Il Sud, infatti, ha nel pensiero e nella testimonianza di don Tonino un ruolo cruciale, perché s'identifica con il fulcro stesso di quel pensiero e di quella testimonianza. (…) Il Bello del sud Che cosa è Sud? Sud è la straordinarietà di una condizione che pone tra gli ultimi, che getta tanti uomini nel cuore delle difficoltà e delle sofferenze, ma proprio per questo li avvicina alla possibilità di essere i primi. I sud sono coloro che non hanno dalla loro parte il potere e sono profondamente e dolorosamente segnati da questa distanza, non solo il nostro sud, ma il sud del mondo. Si pensi allo splendido brano dell'85 sul Calvario, che don Tonino avrebbe voluto chiamare l'internazionale della croce, in cui cerca di far fare a tutti un salto, per guardare al di là di se stessi, verso le pendici del colle, dove “croci enormi ondeggiano, sospinte da folle sterminate di oppressi”. Il Sud è questo grado zero del potere, questa distanza da esso. Ma proprio questa distanza fa del Sud, del nostro Sud, dice don Tonino, un luogo paradigmatico. È proprio questa condizione di ultimi, questa marginalità rispetto ai luoghi dove batte il cuore dell'economia e del potere, che fa dei sud del mondo anche i luoghi più vicini a Dio. Essi sono oppressi e sfigurati, ma proprio questa loro condizione, li rende potenzialmente più liberi, più vicini a Cristo, li mette nella condizione di poterlo incontrare prima e più facilmente. È qui, nel sud del mondo, che il cardinale Romero, illuminato dalla morte di un altro sacerdote, padre Rublio Grande, è stato ucciso, lasciando la scia di un luminoso insegnamento. È qui che la teologia della liberazione ha mosso i suoi passi. Anche nel nostro Sud, mentre lo sviluppo “normale” arriva tardi e male, la militarizzazione del territorio arriva subito, e con lucida efficienza. Ma la militarizzazione è una violenza fatta ad un territorio che, chiamato dal papa, ad essere “un ponte verso l'Oriente”, viene invece sussunto dentro la logica del potere, dentro l'economia bellica. Diventando bersaglio per gli altri o strumento per aggredirli, il nostro Sud subisce anche una violenza nei riguardi della sua vocazione, della sua storia. Gli si impone di diventare nemico dell'altro, di diventare frontiera militare in contraddizione con la sua vocazione all'ospitalità. Progettando il proprio sviluppo in modo violento verso gli altri, il Sud opera anche violenza su di sé, si tiene lontano da quella fraternità con gli altri sud, che potrebbe nascere dalla sua “istintiva disponibilità all'accoglienza del diverso”. Esso potrebbe federarsi con loro, ma gli si impone di pagare il suo privilegio di essere appendice del mondo più ricco con la militarizzazione del territorio. Il riscatto del Sud Nel 1992, annus horribilis delle stragi di mafia, la condizione del Sud viene letta sulla filigrana di Gioacchino da Fiore. Nel Sud d'Italia sono ancora visibili i segni dello “stato degli schiavi”, ma “è già in fermento lo stato dei liberi” e si “colgono frattanto nell'aria i segni premonitori della comunità di amici”. I tre stati definiti da Gioacchino sono tutti contemporaneamente presenti, facendo del meridione d'Italia “un luogo paradigmatico dove si svelano gli stessi meccanismi perversi che, certamente, in modo più articolato, attanagliano tutti i sud della terra”. L'età “degli schiavi e dell'erba” è quella in cui sono saltate le regole di condotta che governano ogni società: esse sono state soppiantate dalla forza, che prevale sulla giustizia, dall'arbitrio che prevale sul diritto, dal “fai da te” sugli articoli di legge, dal “self service normativo sulle istanze del bene comune”. Tutti ricordiamo quegli anni, che purtroppo sono ben lontani dall'essere alle nostre spalle, sono gli anni in cui sembra di essere ormai di fronte all'eclisse della legalità. Ma il Sud non è solo questo, e, se lo si guarda con attenzione, si possono cogliere anche i segni dell'età “dei liberi e delle spighe”. Di fronte all'illegalità sistematica, alla prevaricazione da parte dei più forti la società non rimane inerte. C'è un grande slancio del volontariato, un dinamismo nuovo della società civile, che comprende che la cittadinanza va esercitata continuamente. C'è quindi una richiesta forte di rinnovamento della politica, una coscienza pubblica che mette in discussione il clientelismo, l'appropriazione privata di risorse pubbliche per il consenso politico. C'è infine un nuovo dinamismo della Chiesa che finalmente, di fronte alle stragi, si schiera, “pentita dei troppo prudenti silenzi”. Ma don Tonino non si ferma qui e intravede i primi segni dell'età “degli amici e del grano maturo”. Si affacciano esperienze che vanno oltre la battaglia per i diritti e per la giustizia. Si affaccia la convivialità delle differenze, che non è solo giustizia, ma anche comunità: “C'è nel Sud, oggi più che mai, un'ansia profonda di solidarietà. Si avverte il bisogno di uscire dalle vecchie aree dell'individualismo per aprirsi a orizzonti di comunione. C'è un'istintiva disponibilità all'accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastanti con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio e vi si oppone con forte determinazione”. È molto interessante il riferimento a questa terza fase, ad una fase che trascende il semplice esercizio dei diritti. Nel Sud ci sono esperienze che non si limitano solo a voler rimontare lo scarto rispetto ai paesi più sviluppati, ma si affacciano sull'idea di una società più giusta ed uguale. Esse sono portatrici dell'idea di un mondo diverso, di una nuova solidarietà, che sa trasformare la posizione di frontiera, il contatto tra diversi, in un grande vantaggio. È solo a partire dal nostro Sud che può farsi strada l'idea di una pace più ricca, di una solidarietà al di là sia dell'individualismo barbarico e distruttivo del sud dell'età degli schiavi e dell'erba, sia di quello gelido e competitivo dei paesi più ricchi. Il Sud è una straordinaria opportunità per tutti coloro che amano la pace. Ecco perché tocca ad esso passare dall'icona della subalternanza alla icona del riscatto. (…)