MOLFETTA – Continua lo scambio epistolare attraverso “Quindici” tra il prof. Lazzaro Gigante e il vicario vescovile mons. Domenico Amato, sulle celebrazioni per il ventennale della morte di don Tonino Bello.
Alla replica di Amato risponde oggi Gigante, al quale diamo il diritto di replica. Se mons. Amato ritiene di controreplicare accetteremo ben volentieri il suo scritto, col quale, però, chiuderemo la polemica pubblica su “Quindici”.
Ecco la lettera di Gigante al direttore di “Quindici”:
«Caro direttore,
la replica, carica di livore, di Mons. Domenico Amato ha bisogno di brevi pacate precisazioni da parte mia.
- Io e il Vicario condividiamo l’essenziale, cioè la stessa opinione, quella che lui ha definito come “processo involutivo” ciò che io ho chiamato “privatizzazione” di don Tonino.
- Tutti sanno, basta leggere i molti libri su don Tonino, che alla curia romana giungevano dalla diocesi dettagliate informative e denunce degli “scantonamenti” di don Tonino.
- Confermo il mio parere che negli ultimi anni la presenza della chiesa a Molfetta è stata meno attenta alle gravissime emergenze della nostra città (tra l’altro: sicurezza, gravi fatti di malcostume, indagini della magistratura che hanno gettato pesantissime ombre sulla gestione di taluni aspetti della vita amministrativa) ma più compiaciuta dei restauri delle chiese con i fondi pubblici. È un parere parziale? Me lo auguro.
- Non mi nascondo per nulla dietro don Tonino; non l’ho mai fatto. Don Mimmo, infatti, non ricorda che per molti anni ho scritto interventi anche di contestazione, mai anonimi ma firmati con il mio nome e cognome, proprio sul settimanale diocesano “Luce e Vita”, da lui diretto.
- Il Vicario è male informato se si chiede di me: “Ci (a chi?) piacerebbe sapere, poi, se in quel «disinteresse per la cosa pubblica da parte degli uomini di cultura», dobbiamo annoverare pure lui”.
- Don Mimmo ricorda anche male quando scrive: “il sig. Gigante si lancia in personalissime ricostruzioni … Ebbene, sappia il Sig. Gigante che chi ha passato tutta la notte a vegliare la salma di don Tonino sono stato io. Davanti alla salma si sono avvicendati i giovani di Azione Cattolica con turni di un’ora ciascuno e chi apriva e chiudeva la porta della sagrestia ero io.” Invece, chiamato da amici, io vi partecipai con altri della Caritas e di Pax Christi. Ad ora tardissima, fu proprio lui ad aprirmi il portone di accesso in cattedrale dalla parte dell’atrio vescovile. Tutti, anche ACR, cantammo pure “We Shall Overcome “. Bellissimo, tutti insieme, prima della spartizione delle vesti del padre! Fu una nottata triste, e la memoria ne ha risentito. Caro direttore, vuole che nomini chi con me ha udito quella notte le voci di una vecchietta che bussava con altri il portone della cattedrale per entrarvi? Se l’ho riferito è per dire che don Tonino è stato Vescovo di un popolo, quello di Dio, non solo della curia o di chi sa quale privilegiato. Ma perché porre questa inopportuna rivendicazione protagonistica?
- Riguardo alle modalità di fare memoria della presenza di don Tonino, Don Mimmo sa che oltre ad essere signore, sono pure un infimo pedagogista che, tra l’altro, è stato fino a due anni fa docente di pedagogia generale e sociale in un’università cattolica. Per questo ho posto l’argomentazione secondo cui una cosa è ricordare altra è ri-vivere, una cosa è partecipare ad una eucarestia scambiandosi la pace faccia a faccia altra è vedere una trasmissione televisiva, una cosa è assistere altra è essere accompagnati a esistere!
- Finalmente, don Mimmo, conclude con il mio stesso interrogativo “Si poteva fare di più? Si poteva fare diversamente?”. Bene, io penso di sì. E credo che lo pensi anche lui, perché è intelligente e grande operatore. E non solo io e lui, visto che molti mi hanno chiamato per esprimere il loro consenso alla mia mail che lo ha provocato, rendendolo irriconoscibile.
Stimato de Sanctis, non tornerò più su questo argomento. E mi scuso se, per queste doverose precisazioni, a conferma della correttezza dei fatti e del dialogo, le chiedo di sospendere la prassi della sua rivista di evitare ripetute repliche e controrepliche. Così almeno, riducendo il conflitto e liberandolo dalla polemica, si possa riprendere a camminare riconoscendo la responsabilità di ognuno a fecondare l’eredità diffusa lasciata da don Tonino, che resta un santo, mentre noi cerchiamo di sfuggire alla nostra pochezza, grazie a lui.
Lazzaro Gigante»
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