Tra le persone che sono state più vicine a don Tonino, accompagnandolo in macchina ad Alessano e poi nei suoi viaggi all’estero, c’è mons. Luca Murolo, all’epoca, nominato dal Vescovo Bello, Direttore dell’Ufficio Pastorale Diocesano e oggi uno dei membri della Postulazione e del tribunale per la canonizzazione del Vescovo. Abbiamo raccolto da lui qualche suo ricordo con episodi inediti o sconosciuti della vita di don Tonino. Quando hai conosciuto don Tonino? «Ho visto per la prima volta don Tonino la mattina del 24 ottobre 1952 in occasione del mio ingresso nel Seminario Regionale di Molfetta. Quel giorno, ricorreva la festa liturgica di S. Raffaele Arcangelo e nell’Istituto si festeggiava l’onomastico del professore di Filosofia, mons. Raffaele Greco. Devo precisare che io avevo conseguito la licenza liceale presso il Liceo Classico di Molfetta e, pertanto, entrando in Seminario, prima di essere ammesso a frequentare il corso teologico dovevo frequentare un anno, cosiddetto “propedeutico”, di lezioni di filosofia scolastica che erano tenute da quel professore nelle tre classi di liceo. Quel giorno l’aula della terza liceo era addobbata per l’evento perché, invece di far lezione, si trascorreva tutta l’ora di lezione a “fare gli auguri” all’insegnante. Il capoclasse era Tonino Bello che, dinanzi alla cattedra, con tono semiserio, a nome di tutti i compagni aveva il compito di porgere i dovuti omaggi. In quella occasione l’ho visto e l’ho conosciuto per la prima volta, con il suo stile spigliato, scherzoso, ma anche garbato; poi l’ho rivisto negli altri giorni durante le lezioni di filosofia, ma non c’erano occasioni per frequentarci da vicino. Egli era con i cosiddetti “filosofi” ed io ero ospite nella camerata dei seminaristi che frequentavano il primo corso teologico. Dagli altri seminaristi della terza liceo della mia diocesi di Molfetta sentivo dire che Tonino Bello era bravo in tutte le materie e quando poteva aiutava quelli che erano in difficoltà. Le nostre strade si sono separate, ma entrambi siamo diventati sacerdoti: don Tonino è stato ordinato l’8 dicembre 1957, io alcuni mesi prima: il 7 luglio dello stesso anno. Nonostante vivessimo in città differenti, ero aggiornato su di lui perché mi giungevano notizie del suo impegno presbiterale, e soprattutto in merito al ruolo di educatore che ricopriva nel Seminario minore di Ugento. Ha acquisito maggior notorietà grazie alla partecipazione come segretario del suo vescovo al Concilio Ecumenico Vaticano II. E’ stata la sua nomina a Vescovo di Molfetta che ha stabilito e consolidato il nostro rapporto di amicizia e di collaborazione in piena sintonia». Quando e come hai saputo della nomina del tuo compagno di seminario a vescovo di Molfetta? «Don Tonino fu eletto vescovo di Molfetta,Giovinazzo e Terlizzi il 10 agosto del 1982 e la sua nomina fu resa pubblica nei primi di settembre dello stesso anno. Ricordo questo particolare: quando S.E. Mons. Aldo Garzia, Vescovo di Molfetta, fu nominato vescovo di Nardò-Gallipoli, tutti eravamo in attesa di conoscere chi doveva essere il suo successore. Un giorno recandomi da Mons. Garzia chiesi (forse mostrando una certa apprensione): “chi sarà il nuovo Vescovo?” Egli mi rispose: “Non ti preoccupare, sarà un vescovo giovane e bello”. In quel momento la risposta non mi soddisfece, ma dopo, quando si seppe ufficialmente il nome del nuovo vescovo, capii che Mons. Garzia ... in fondo, in fondo non mi aveva ... mentito. Il giorno della nomina ufficiale lo stesso don Tonino ci tenne a far sapere al clero della diocesi che non ci si doveva preoccupare di recarsi in commissione per l’incontro con lui, ma che, dopo qualche giorno, sarebbe stato lui stesso a venire a Molfetta a “conoscere la sua fidanzata”. Intanto poiché nel 1982 tutti i compagni di corso che eravamo stati ordinati sacerdoti nel 1957, compivamo il 25mo di ordinazione, don Salvatore Mileti, (che era stato il prefetto di camerata della IV Teologia), organizzò un incontro di tutti i compagni a Castro Marina (Le). Fu una buona occasione per incontrare don Tonino. Era già stato eletto vescovo, ma non aveva ancora ricevuto la ordinazione episcopale. Il dono che noi compagni di corso volemmo fare al confratello, neo vescovo, fu l’anello episcopale. Fu egli stesso a dire a don Mileti che aveva scelto, come anello episcopale, l’anello nuziale della mamma sua. Infatti lo stesso don Mileti si preoccupò di farselo avere e, portandolo da un orefice, lo fece ripulire e incidere una crocetta. Glielo offrimmo in quella occasione in cui tutti gli amici di corso ci eravamo incontrati a Castro. Ricordo che don Tonino venne con la sua 500. Egli indossava maglioncino e pantaloni neri e aveva con sé una busta di plastica contenente il camice, la stola e la casula. Appena vide me e don Nunzio Palmiotti, ci venne incontro e ci abbracciò con tanta cordialità. Dopo un incontro di riflessione in una sala d’albergo di Castro, nello stesso albergo concelebrammo. Naturalmente presiedette don Tonino, vescovo eletto. Per quella circostanza furono invitati a partecipare anche gli ex-seminaristi che avevano frequentato il liceo e la teologia con noi a Molfetta, ma non avevano proseguito per il sacerdozio. Don Tonino durante l’omelia, mettendo in evidenza le “fedi nuziali” dei compagni ex seminaristi che erano sposati, sottolineò il valore nuziale della ordinazione episcopale che lo avrebbe reso sposo della Chiesa particolare affidatagli dal Signore, tramite il Papa». Cosa ricordi del suo insediamento? «Il giorno della ordinazione episcopale io fui presente tra i concelebranti nella piazza di Tricase, adiacente alla parrocchia della Natività. Volli andare a salutare don Tonino in sacrestia prima dell’inizio e lo vidi con la talare filettata, con i bottoni rossi e in quel momento, prima di indossare il camice, Mons. Mario Maglietta, all’epoca Vescovo di Ugento, gli stava facendo indossare la fascia rossa. Don Tonino mi guardò e mi disse: “Don Luca, vedi, questa è la prima e l’ultima volta che mi vedi bardato così”. Intanto gli fecero indossare il camice, ma nel frattempo la fascia rossa, forse involontariamente (?) si sganciò e cadde per terra. Fu raccolta e riposta sul “bancone” della sacrestia. Quindi in processione si uscì verso la piazza. La piazza era gremita di popolo commosso. I parrocchiani di Tricase erano orgogliosi per il loro parroco divenuto vescovo, ma dispiaciutissimi di perderlo. La cerimonia dell’ingresso in Diocesi fu il 21 novembre e tutto si svolse con solennità e grande “semplicità”. Fu una festa di famiglia. Tantissimi furono i fedeli della diocesi di Ugento che erano presenti. Essi piangevano e alcuni dicevano: “beati voi”. Sul sagrato della Cattedrale, il sindaco sen. Beniamino Finocchiaro, lesse un discorso “molto formale” a cui rispose don Tonino il quale con chiarezza mise in evidenza le priorità a cui egli ci avrebbe tenuto nella collaborazione con le autorità civili della città. Dopo sentii che il sindaco commentò tra i vicini: «Quello che dovevo dire io l’ha detto lui e a me avete fatto dire delle parole un po’ “ingessate”». Quando don Tonino è entrato in Diocesi, io ero già parroco della Parrocchia Madonna della Pace, da 5 anni. Per la precedente conoscenza, da subito si è creato tra di noi un ottimo rapporto di amicizia e stima che non poteva che agevolare notevolmente il nostro lavoro». I temi della pace, degli ultimi, dei poveri, sono stati molto a cuore a don Tonino. «Don Tonino ha sentito molto il tema della pace, ma in modo molto profondo. Nelle linee programmatiche, anche a livello diocesano, ha messo in evidenza come l’impegno pastorale della Chiesa doveva esprimersi nella Parola annunciata, celebrata e testimoniata. In particolare ha puntato la sua attenzione alla Parola testimoniata riconoscendo che l’evangelizzazione non poteva ridursi alla sola espressione orale, ma deve scendere sul terreno dei fatti e pertanto andava proposta una linea tematica di fondo quale: “Una Chiesa che si fa ultima, alla sequela di Gesù, per stare con gli ultimi e per lottare con loro”. Egli si raccomandava che fosse “la periferia” il luogo dove le scelte pastorali si trasformavano in evento, perciò alla “mia” parrocchia dedicata alla Madonna della Pace, ha guardato con particolare attenzione perché si vivesse la comunione a tutti i livelli sullo stile della comunione della comunità trinitaria. Ci ha chiesto un impegno molto forte ma, attingendo dalla Parola e alimentandoci con l’Eucarestia, ci proponemmo come primo obiettivo la pace nei condomini». Ha qualche ricordo particolare di episodi insoliti per un vescovo, che lo hanno visto protagonista? «Il giorno di Pasqua del 1983 don Tonino tornava a Molfetta da Terlizzi, dopo aver celebrato la Messa vespertina. Alcuni giovani che facevano l’autostop gli chiesero un passaggio. Egli, che accoglieva tutti, li fece salire in macchina. Essi non riconobbero che il conduttore era il Vescovo e alla domanda dove erano diretti, risposero che andavano a Molfetta per scherzare con delle ragazze. Nella chiacchierata don Tonino chiese loro: “Oggi che è Pasqua siete andati a Messa?” Ebbe come risposta una sonora risata: “Ah! Ah! La Messa! perché tu a Messa ci sei andato? Don Tonino riferendomi l’episodio mi commentava: “il colmo chiedere al Vescovo se il giorno di Pasqua sia andato a Messa”! Don Tonino allora si presentò come il loro vescovo ed essi si mostrarono meravigliati come mai fosse cambiato il vescovo (da notare che don Tonino era venuto in diocesi già dal 21 novembre del 1982!). Don Tonino commentava con me: “Noi ci illudiamo che con le celebrazioni e le parate la gente entri nella vita della chiesa! Ci vuole ben altro!”. Allora si era agli inizi... Il giorno del suo funerale erano presenti oltre 50.000 persone. Un altro episodio è accaduto il 17 settembre (giorno in cui si ricordano le stimmate di S.Francesco) del 1990, don Tonino fu invitato a La Verna a presiedere un convegno interconfessionale a cui parteciparono ebrei, protestanti. Egli andò molto volentieri. Raggiunse la Verna dopo un viaggio faticoso e si svolse al meglio. Al termine del convegno don Tonino pregò gli organizzatori di accompagnarlo a Fiumicino, poiché aveva urgenza di tornare in giornata a Molfetta. Aveva anche prenotato l’aereo. Quando arrivarono a Fiumicino alle 21,30 gli accompagnatori lo salutarono e andarono via e don Tonino si recò a fare il biglietto. L’aereo sarebbe partito alle 22. Don Tonino sapeva che il biglietto Roma-Bari costava 97.000 lire e invece l’impiegato gli disse che, a motivo della Fiera del Levante, in quel periodo il prezzo era aumentato e pertanto costava 132.000 lire. Don Tonino contò il denaro che aveva con sé e si accorse che disponeva solo di 126.000 lire. Gli mancavano 6.000 lire. Manifestò il suo disagio al bigliettaio e questi gli rispose: “si arrangi”. Don Tonino quando mi raccontò l’accaduto mi disse che non volle dire all’impiegato che egli era un vescovo altrimenti avrebbero pensato: “Che razza di vescovo è questo!”. Allora si decise a provare a “chiedere l’elemosina”. Si piazzò vicino al bar e quando vide un signore che aveva offerto il caffè agli amici, lo avvicinò con i soldi in mano e gli disse: “Guardi, mi dovrebbe fare una grande cortesia: mi mancano 6.000 lire per pagare il biglietto di aereo. Questi lo guardò e gli disse: “Non sono affari che mi riguardano!”. Don Tonino mi riferì che in quel momento si era sentito un verme e c’era rimasto male a quella risposta. In quel momento pensò a quante persone aveva dato tante 6.000 lire. Aggiunse. Allora ho capito cosa si prova quando qualcuno ti viene a chiedere una cosa e tu gli rispondi di non aver tempo per stare... dietro a lui, come rimangono male le persone che hanno veramente bisogno e chiedono e, non credute, a loro si risponde con il rifiuto. Quella sera da Fiumicino prese il pullman per la Stazione Termini e riuscì a prendere il treno che il mattino seguente lo portò a Molfetta». Lui aveva la porta dell’episcopio sempre aperta a tutti, c’è stata qualche volta che è rimasta chiusa? Perché? «Un giorno verso le 12,30 mi recai in Episcopio e poco dopo il mio arrivo sentimmo bussare alla porta. Andammo insieme io e don Tonino ad aprire. Era un uomo in uno stato evidente di ubriachezza che chiedeva del denaro per mangiare. Don Tonino lo riconobbe e gli disse: “Ma tu sei già venuto stamattina e ti ho dato già 10.000 lire. Ora sei brillo… evidentemente le hai sciupate bevendo. Se vuoi pranzare vai alla sede della Caritas e là troverai... Quello insisteva, a dire la verità notai che don Tonino era piuttosto “seccato” e contrariato. Io mi misi a collaborare perché quell’uomo si convincesse ad andare alla mensa della Caritas e lo sollecitavo ad allontanarsi... fino a chiudergli la porta. Don Tonino rimase in silenzio e, dai finestroni del corridoio con le piante, seguì quell’uomo fin quando uscì dal portone di ingresso. Poi si rivolse a me (sembrava che si volesse confessare) e mi disse: “così oggi abbiamo mandato via Gesù Cristo. Con quale coraggio stasera andrò a Terlizzi a predicare che nel prossimo c’è il Signore, io che l’ho mandato via”. Io volevo rassicurarlo dicendogli che avevamo fatto bene a mandarlo via perché quell’uomo doveva imparare a non abusare della bontà. Ma don Tonino non si mostrò convinto. Io imparai una grande lezione!». Cosa ricordi dell’aggressione che subì da parte dell’ubriaco? «Un giorno don Tonino fu aggredito da un uomo, molto probabilmente ubriaco il quale pretendeva che gli desse 25.000 lire tanto quanto, quello diceva che don Tonino dava agli albanesi. Don Tonino in quel momento era solo. Quell’uomo non voleva accontentarsi di quanto don Tonino gli aveva dato e pertanto gli sferrò un pugno per colpirlo. Don Tonino con la mano parò il colpo, ma ebbe la frattura del polso e alle dita. Intanto l’aggressore subito si allontanò e don Tonino da solo con la sua macchina si recò in ospedale. Quel giorno, come al solito, tornando da Bari, mi recai in episcopio per far visita a don Tonino e mi informarono dell’accaduto. Poiché mi dissero che in ospedale si era recato da solo, io volli raggiungerlo. Ricordo che passai prima dal “Pronto soccorso” ma mi dissero che il Vescovo di lì non era stato. Allora andai al piano del reparto di ortopedia. Appena giunsi don Tonino usciva dalla sala gessi, tutto sorridente. Mi salutò e con la solita cordialità mi raccontò come erano andate le cose: terminati gli ultimi controlli io mi offrii di accompagnarlo con la mia macchina a casa sua, facendogli notare che col braccio e la mano ingessati non poteva guidare agevolmente. Mentre dall’ospedale si andava verso la città, don Tonino mi disse che con la sua forza, quell’uomo l’avrebbe potuto stritolare benissimo, ma per la coerenza con la “non violenza” non aveva reagito. Allora io gli proposi almeno di recarci alla caserma dei carabinieri per denunciare l’aggressore, visto che solo lui lo conosceva. Egli mi rispose: “Può un padre denunziare un figlio?”. Io non feci altro che dirigere la macchina verso l’episcopio. Capii perché don Tonino non era passato dal “Pronto soccorso”, perché allora avrebbe dovuto per forza dichiarare chi era stato l’aggressore. Dopo alcuni giorni seppi che quell’uomo, dopo che gli era passata la sbornia, era tornato in episcopio in compagnia della moglie per chiedere perdono a don Tonino e manifestando la volontà di costituirsi ai carabinieri. Don Tonino accettò le scuse ma lo dissuase dall’andare a costituirsi. Così per 40 giorni don Tonino si portò il braccio e la