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Cordelia torna a correre contro il fascismo di ieri e di oggi L’ultimo libro di Antonia Abbattista Finocchiaro
15 maggio 2023

Dobbiamo molto a Tonia Abbattista Finocchiaro, per il suo prezioso libro “Cordelia Controvento”, edito dalla casa editrice Moretti e Vitali e pubblicato grazie al contributo di ANPI Molfetta. Un libro non qualsiasi, che restituisce alla comunità molfettese una storia piena di altre storie e che completa e arricchisce in modo francamente impagabile – pur mantenendo la forma, lo stile, il ritmo del romanzo – la ricerca storiografica sull’antifascismo cittadino e meridionale. Dalla Bergamo nella quale vive e lavora, la giornalista e scrittrice molfettese risponde a una chiamata che arriva da un’altra donna molto speciale: Fiorenza Minervini, presidente di ANPI Molfetta, figlia d’arte nel campo della memoria e dell’impegno civile. Suo padre era Giovanni Minervini, azionista e allievo di Tommaso Fiore, che conobbe al Liceo Classico negli anni Trenta, quando la scuola di Corso Umberto era animata dalle sue lezioni di libertà e da quelle di Carlo Muscetta. Sua madre è Liliana Gadaleta, storica e intellettuale vivace ed eretica, tesista di Gaetano Salvemini e, insieme a Giovanni, riferimento cittadino del socialismo liberale. Da alcuni anni Fiorenza si innamora di una storia che affonda le sue radici nella nostra città. Anche la sezione provinciale dell’ANPI ne riconosce il valore. E Tonia Abbattista Finocchiaro la ricostruisce e la restituisce, con un rigore gentile, una voce ferma e intensa. Pagine che scorrono, scuotono, appassionano, emozionano, disegnano un mondo lontano eppure ancora vitale, vicinissimo ai cuori inquieti e ancora aperti al sogno delle felicità collettiva e della lotta alle ingiustizie, alle disuguaglianze, ai fascismi vecchi e nuovi. Ne nasce una narrazione che è nutrimento e ristoro. Spegne un po’ la sete di imprese esemplari in tempi minuscoli e mediocri. Libera passione e ispirazione. IL LEGAME CON MOLFETTA E COL PADRE ANGELO La storia è quella di una donna fuori dagli schemi, Cordelia Silvia La Sorsa. “Pugliese nelle ossa, anche quando ne è lontana”, scrive Loredana Capone nella sua bella prefazione. È la terza di cinque figli e suo padre, Angelo La Sorsa, la chiama come la terza figlia dell’opera shakespeariana “Re Lear”, secondo il mito destinata alla cura speciale del paterno. La profezia si autoavvera, perché il nodo tra Cordelia e il padre Angelo è parte centrale di questa lucente biografia. Angelo è il fratello del più noto Saverio La Sorsa, storico e antropologo. A differenza sua, non si è laureato, ma è un uomo colto e fa il professore. Le pagine dedicate al suo rapporto con gli studenti (“al mattino insegnava a scuola ai bimbi delle elementari, al pomeriggio, fino a tarda sera, agli allievi delle classi superiori”) sono un ritratto felice di un uomo controverso, a cui Cordelia lega la sua anima a doppio filo. Un uomo protagonista del sindacato agricolo locale: l’alfiere degli olivicoltori di una Molfetta che, al tempo, vive del rapporto con la sua campagna e in cui la produzione dell’olio è motore dello sviluppo economico locale, al fianco dell’economia del mare. Per via della sua attività sindacale, Angelo fa sponda tra Molfetta e Roma. Non trascura né gli studenti, né la famiglia, portata avanti con la moglie Mina Tattoli, che segue con dedizione i cinque figli e sostiene un marito talvolta inquieto e non sempre fedele. Sembra di riuscire a vedere, abbandonandosi al panorama della prosa di Abbattista Finocchiaro, la casa borghese di via Bovio in cui Cordelia cresce con i genitori, le sorelle e l’unico fratello. Il grande giardino, le numerose camere da letto, il grande pozzo nell’atrio da cui tirare l’acqua con i secchi, per riempire le “quartare” e annaffiare le piante. Sullo sfondo, la mamma Mina a cucire o a tirare la sfoglia per le “strascinate”. Tutt’attorno, il quartiere Levante ancora non soffocato dalla speculazione edilizia e la zona di via Bovio poco abitata e chiamata “la nevera” (per via di un deposito di ghiaccio generato dalla neve compressa, che d’estate veniva venduto ai pescivendoli per la conservazione del pesce). Cordelia è sostenuta da un padre che la segue e la incoraggia, soprattutto nel coltivare gli studi e l’autonomia. Nei suoi diari del tempo, scrive delle sue passeggiate al porto alla “lanterna” (il faro), testa nel vento. Angelo è un grande sportivo e Cordelia anche in questo lo segue, appassionandosi all’atletica leggera. Le pagine su Cordelia atleta e sul suo rapporto con Giosuè Poli sono davvero un “salto in lungo” in questa biografia magica che è anche un viaggio nel tempo, per ritrovare una Molfetta civile la cui centralità nel panorama antifascista meridionale e nazionale è troppo spesso dimenticata e, con questo libro, erompe e dirompe con grazia e con forza. L’ATLETICA COME ESERCIZIO DI LIBERTÀ E L’INCONTRO CON GIOSUÈ POLI Cordelia adolescente esplode di incandescenza e di energia. L’atletica si disegna in questa storia come un bisogno di quiete eppure, al tempo stesso, un esercizio di libertà. Più di tutto, nel cuore del libro, l’atletica è un incontro e ha un nome: Giosuè Poli. E apre una storia nella storia, un romanzo nel romanzo. Quasi una fiaba nostrana, che illumina le pagine oscure della Molfetta del Ventennio. Nello sport del XX secolo, Giosuè Poli è una figura da copertina. Negli anni Venti è campione di atletica leggera. Pratica con successo marcia, salti, lanci, corse di velocità (e anche nuoto e pugilato). La sua carriera, però, si interrompe nel 1931, quando si ammala di tubercolosi. Giosuè si reinventa come giornalista sportivo e dirigente. Negli anni Quaranta fa carriera nel CONI e nel 1960 è il capo della nazionale di atletica leggera ai Giochi Olimpici di Roma, fino a diventare presidente della Fidal dal 1961 al 1969, anno della sua morte. Poli allena Cordelia dal 1936 al 1939. La segue con molta cura, nell’atletica e nella vita. Figlio di imprenditori, cresce in un ambiente familiare nettamente a sinistra: il padre Gianbattista era stato compagno di Giorgio Amendola, uno dei fondatori del partito comunista. In una Molfetta che a fine Ottocento fu definita da Umberto I “la Manchester del Sud”, Gianbattista Poli ha avuto tante industrie, tra cui una grande vetreria che venne abbattuta quando il figlio Paolo morì, alla fine della Prima Guerra Mondiale. In suo onore venne costruito lo stadio cittadino, ancora oggi denominato “Paolo Poli”. La sorella di Gianbattista Poli aveva sposato Ferdinando Landolfi, erede di una fabbrica barese produttrice di saponi. A Villa Landolfi, a via Madonna della Rosa, i Poli e i Landolfi condivideva no giornate e ideali, nel cuore di un tempo di guerra. Nella bella intervista a Fiorenza Minervini, che Abbattista Finocchiaro usa come fonte, la figlia di Giosuè, Vera, racconta di come spesso in Villa passassero i soldati in cerca di cibo e ospitalità. Una pagina straordinaria di una Molfetta operosa, colta, accogliente. In cui questi imprenditori appassionati di atletica e impregnati della cultura progressista e solidale disegnavano un campo di libertà in un’Italia in doloroso declino tra due guerre, erosa dal nazionalismo fascista e dalla povertà. Cordelia entra a casa Poli come una di famiglia. Diviene anche amica della moglie di Giosuè, la pianista e compositrice Olga Ribeira, membro dell’Orchestra Vitale, la grande orchestra sinfonica voluta da Radio Bari, che dal 1943 trasmetterà concerti e opere liriche dal Teatro Piccinni. Si lega molto anche alla figlia Vera. “Anche da loro, oltre che dal contesto familiare la giovane deve aver acquisito sensibilità a quegli ideali di democrazia e rispettoso umanitarismo che le famiglie Poli e Landolfi andavano praticando”, ne deduce Abbattista Finocchiaro. E da qui si spalancano le pagine più sorprendenti di questo piccolo libro che all’improvviso si fa grande: quelle su Castelrotto, la località in Trentino Alto Adige dove Giosuè Poli va a curare la sua tubercolosi e dove Cordelia La Sorsa va a imparare l’antifascismo che farà di lei, da lì a qualche anno, una giovane partigiana. IL “BUEN RETIRO” DI CASTELROTTO E LA SCALATA ANTIFASCISTA A est di Bolzano, al confine con l’Austria, in luoghi che hanno nomi di santi – San Candido, San Virgilio, San Valentino – c’è una località che ha un ruolo chiave in questa storia: Castelrotto. In quest’area montana, nei pressi dello Sciliar, Giosuè Poli trova conforto alla sua tubercolosi (che a Molfetta aveva un centro di cure eccellente, ma dedicato perlopiù ai bambini: il “preventorio” voluto da Edoardo Germano). E proprio qui, Poli conosce un gruppo di intellettuali che frequenta regolarmente la cittadina. Vera Poli lo chiama “il gruppo di Castelrotto”, che aveva due perni legati all’intellighenzia antifascista dell’Università di Padova: Concetto Marchesi e Manara Valgimigli. Cordelia accompagna Giosuè Poli e la sua famiglia in quei viaggi e frequenta queste altezze, della montagna e del pensiero. Fiorisce in lei un desiderio di impegno. L’atletica l’ha portata molto lontano. Fuori da Molfetta. Per disputare gare, tornei, campionati: eccelle nel salto in lungo e nella staffetta e vince molte competizioni. Ma anche per seguire il suo allenatore in un percorso che va ben oltre lo sport. E così nel 1938 decide di studiare Lettere a Roma, dove si laurea nel 1942. Senza trasferirsi da subito nella capitale, poiché ancora molto impegnata negli allenamenti sportivi, Cordelia è ormai una “molfettese expat”. Una giovane donna anticonformista, indipendente, autonoma, che si divide tra allenamenti, gare, esami. Spesso in partenza per recarsi a Roma per i suoi studi o, in gruppo, a disputare gare che diventavano sempre occasioni di incontro, scambio, crescita, evoluzione. Come i Littoriali di Milano del giugno 1939, l’anno prima della morte del padre, nel 1940, evento che la traumatizza profondamente e che avviene a giugno dello stesso anno, a poche ore dall’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. BANDIERA ROSSA, LA BANDA CIAVARELLA E CORDELIA MAMMA-PARTIGIANA Papà Angelo muore e la famiglia di Cordelia cade in disgrazia, perdendo presto anche la casa di via Bovio. Cordelia, la madre Mina e la sorella minore Maria attraversano un periodo difficile, strette tra il dolore del lutto e le asperità economiche. Cordelia, intanto, rimane incinta. Evento descritto in pagine delicate, in cui l’autrice di “Cordelia controvento” dismette i toni del romanzo storico e passa a una delicata narrazione in soggettiva, dove l’io narrante accompagna il lettore nell’angolo della storia in cui si stringe l’obiettivo, fino al fuoco della Cordelia partigiana dei mesi a venire. Sarà una mamma sola, ma non sola fino in fondo. Sarà sua madre Mina a seguire Cordelia incinta a Roma, lontano dal pettegolezzo atroce che talvolta inferocisce la provincia davanti all’amore libero che diviene subito amore scabroso, lasciando la figlia minore Maria alle cure della sorella maggiore Lina e della sua famiglia. E sarà a Roma che Cordelia diventerà madre di una bambina “illegittima” e cioè non riconosciuta dal padre, che nasce il 20 aprile 1943. Rifugiandosi con la madre e la figlia in uno stanzone di via Po. Senza perdere, però, l’ardore politico e l’ardire che dall’inizio ha accompagnato la sua storia. La storia di una giovane donna anticonformista, piena di interessi e relazioni, ormai vicina alla cultura progressista e antifascista. E mentre il ventennio fascista finisce, Cordelia si unisce agli ambienti di Bandiera Rossa e al gruppo romano “Scintilla” e diventa staffetta partigiana, nella banda Ciavarella, attiva in Abruzzo. Guida i camion, lasciando la sua bambina Anna Maria, di pochi mesi, a casa con nonna Mina e affrontando pericoli reali, descritti con precisione da Tonia Abbattista Finocchiaro, che alle pagine della militanza partigiana romana dedica un’attenzione storiografica particolare e ammirevole, con note ampie e rigorose che attestano e documentano anche l’appassionata fatica di questo straordinario lavoro di scavo. Alla Cordelia militare, addetta al servizio di collegamento nella zona di Palena, in provincia di Chieti, lungo la linea denominata Gustav, l’autrice affianca sempre la Cordelia figlia e la Cordelia madre, in pagine particolarmente riuscite di un lavoro che, in alcuni punti, stringe davvero un nodo alla gola. LA SCELTA DEL CAMPO 109 E L’EREDITÀ DI CORDELIA CONTROVENTO Non mancano ultime pagine che ci raccontano la Cordelia del dopoguerra, che a Roma sceglie di insediarsi, diventando funzionaria pubblica e poi dirigente della PA. Una donna che nonostante le ferite della vita, collettiva e personale, resta gioiosa, relazionale (tra le tante amicizie, quella conviviale con Beniamino Finocchiaro), creativa (fino a misurarsi con alcuni esercizi di scrittura) fino all’onorificenza di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana (nell’ottobre del 1980) e all’incontro-scontro con la malattia che la spegne nel febbraio del 2003: il morbo di Alzheimer. Prima di morire, chiede a sua figlia Anna Maria di essere sepolta al Verano, a Roma, nel campo 109. Riposare per sempre “con i partigiani” è l’ultimo desiderio di una molfettese vibrante e libertaria come fu Cordelia La Sorsa. Ritrovarla a vent’anni dalla morte, in una sorellanza vivida ed emozionante, utile e consolatoria, è un regalo di quelli che talvolta solo i libri speciali e ben riusciti sanno fare. Bentornata a casa, Cordelia. Che Molfetta sappia darti finalmente quell’abbraccio che in vita fatica a riconoscere alle creature di fuoco. © Riproduzione riservata

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