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Commercianti sull’orlo di una crisi di nervi A colloquio con un negoziante “depresso”
15 gennaio 2001

Siamo a gennaio. E’ sera, ora di punta. In un negozio di corso Umberto il titolare, accovacciato sul bancone in compagnia di gonne, pantaloni e maglioncini che invano attendono acquirenti, non ha trovato niente di meglio da fare che perdersi nella lettura di una rivista. Devo intervistarlo. Entro nel negozio accolto dalla sua aria dolente e disincantata; per lui potrei rappresentare l’illusione o il miraggio di un cliente, ma con il mio blocknotes accoppiato al registratore non gliela do a bere. Mi chiedo se il mio “buonasera” ha avuto risposta o se è il mio udito, invece, che già mi gioca brutti scherzi. Non mi scoraggio. Nel locale non ci sono commesse, né clienti, né musica. Il negoziante rimane affacciato alla rivista e il modo con cui mi punta sembra volermi gridare “e tu chi altro sei? Che altro vuoi?”. Ma ancora non ho sentito la sua voce. Mi presento facendo appello a tutta la mia cordialità possibile e recito la filastrocca del “sto conducendo un’inchiesta sul commercio: potrei farle un paio di domande?”. Avrei voluto aggiungere “se non disturbo” ma considerando che in questo momento le riviste hanno preso il posto dei clienti, la mia potrebbe essere scambiata per una battuta di cattivo gusto. E invece sì che disturbo. “Mi dispiace ma questa sera non mi sento bene; venga un’altra volta”, è la preghiera che mi viene fatta. Allora realizzo due cose: una è che chi mi sta di fronte forse non sta così male; la seconda è che non è nemmeno una persona scortese. Semplicemente è che da queste parti non c’è molto per stare allegri: i negozi sono tutti vuoti, per strada non gironzola nessuno e uno che vuol fare un paio di domande è l’ultima persona che vorresti avere fra i piedi. Se l’inizio dei saldi non fosse stato spostato all’inizio di febbraio, ci sarebbe stato tanto da lavorare... altro che leggere riviste. Tuttavia all’uomo con cui sto parlando prometto che il disturbo durerà solo per cinque minuti e che mi sto occupando di una questione che può interessargli. I saldi. Colpito e affondato. All’improvviso divento il suo miglior confidente, qualcuno a cui raccontare tutto il proprio disappunto. “Da questa storia ne usciremo con le ossa rotte; è un disastro... mi raccomando non dimentichi di scrivere che è un disastro”. Parla a ruota libera, si accalora e non mi molla più anche se sa bene che alla fine della sua arringa c’è sempre la rivista che lo aspetta. Mi rifugio in un altro negozio e anche qui lo scenario è disarmante. Commessa, titolare... zero clienti, zero sorrisi. Non è la mia giornata giusta perché anche questo commerciante mi dice di non stare bene. Sarà la sindrome dei saldi fantasma, penso io. Mi concede le due domande. “Non stiamo vendendo nulla, fuori non c’è movimento e anche se facciamo prezzi da saldi la gente non lo sa” mi racconta mentre va avanti e indietro con l’aria stanca e impotente di chi non ne può più nemmeno di lamentarsi; “fissare i saldi a febbraio è stato un errore: è troppo tardi e la gente non avrà più voglia di fare acquisti”. Forse è la mia faccia intontita, come di chi non ha colto bene il dramma, a convincerlo a ricorrere a un improbabile accostamento: “è come nell’atto sessuale - mi spiega - se perdi il momento giusto non c’è più niente da fare”. Però, che poeta! Continuo il mio vagabondare da un negozio all’altro nell’infruttuoso tentativo di raccogliere un po’ più di ottimismo. Cosa ne pensa dei saldi a febbraio? La risposta di quest’altro commerciante avrebbe bisogno di uno di quei provvidenziali biip televisivi. Da qualche parte, poi, la radio, più spietata che mai, sputa le note di una nota canzone “...chi non lavora non fa l’amore...”: “se fosse davvero così - dice sorridente una commessa - andremmo in bianco in tutti i sensi”. Vado avanti ma il copione si ripete. Si respira aria di sfiducia impastata a rassegnazione. Mi arrendo. E mentre me ne ritorno indietro, la mia mente è inseguita dall’eco di una vocina: “non si dimentichi di scrivere che un disastro”. Be’, almeno così sembra. Cosimo de Gioia
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