Come scegliere il candidato sindaco
INTERVENTO - Riceviamo e pubblichiamo
Questo articolo è il sunto di un documento letto ed approvato durante l'assemblea cittadina degli iscritti ai Democratici di Sinistra. L'incontro ha avuto luogo giovedì 10 luglio.
La vera sfida degli anni a venire è assicurare la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle scelte politiche, in poche parole ampliare la democrazia sostanziale: per questo le primarie sono irrinunciabili.
In un quadro che ha visto da un lato mutare profondamente l'identità sociologica e antropologica dell'elettorato e dall'altro assurgere a un rilievo senza precedenti il ruolo degli strumenti di comunicazione di massa, il mutamento delle leggi elettorali e la conseguente inevitabile ricerca e mantenimento di alleanze politiche stabili con gli altri partiti del centro sinistra ha richiesto e ancora richiede un mutamento profondo della forma del partito e una capacità nuova di cogliere e rappresentare le istanze che vengono dalla società.
L'urgenza di questi adeguamenti non può essere attenuata dalla crisi sempre più evidente del centro destra. Non si può semplicemente aspettare “la fine della nottata”: se non si sarà capaci di dare risposte alla voglia di contare da parte dei cittadini una volta che si dovesse ritornare a governare la città, questa incapacità si torcerebbe ancora una volta contro di noi, così come è già accaduto dopo il '98.
Bisogna riuscire non solo a cogliere la nuova voglia di partecipazione che sta finalmente tornando a montare nella città, ma anche a dargli forme capaci di andare al di là della competizione elettorale.
A cominciare dalla consapevolezza che il maggioritario, privato di un valido sistema di primarie, è un sistema ingiusto, che riduce i cittadini da protagonisti – quali dovrebbero essere – a ultima ruota del carro, costretti spesso ad esprimersi su scelte premasticate, eppure indigeste.
La democrazia comincia dalle periferie
La questione della democrazia e della partecipazione è ancora e più di prima la questione cruciale italiana.
Soprattutto dopo il cambiamento delle leggi elettorali che hanno portato prima all'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle provincia, del capo del Governo e dei governatori regionali.
Queste leggi sono state applicate spesso a realtà con scarse tradizioni e propensioni alla partecipazione democratica di base, che la nuova concentrazione di poteri ha, di fatto, ulteriormente ridotto.
Invece obiettivo della legge 81/93 (elezione diretta dei sindaci) era certamente quello di assicurare maggiore durata ed efficacia alle amministrazioni locali ma anche e soprattutto aumentare la partecipazione dei cittadini.
A dieci anni di distanza si può dire che il primo obiettivo è stato raggiunto, ma non il secondo.
Molti degli elementi che contribuivano a rendere organica la riforma sono stati via via dimenticati man mano che i presupposti che avevano ispirato mostravano la corda alla prova dei fatti.
La legge separava nettamente – è il caso di ricordarlo – la funzione amministrativa, che spettava al sindaco, da quella di indirizzo politico e di controllo propria del Consiglio comunale. La giunta era vista come un organo tecnico: era il Consiglio comunale il luogo deputato al dibattito politico; una sede che veniva vista fortemente ispirata dalla voglia bipartisan di fare scelte nell'interesse della collettività rappresentata.
Recuperare lo spirito del maggioritario
L'idea che il Consiglio comunale dovesse essere il vero cuore politico della comunità è stata spazzata via dall'idea di troppi sindaci di essere i soli veri depositari della volontà popolare. E d'altra parte il personale politico che entrava nella aule consiliari si era formato con altra mentalità o era decisamente inesperto per poter pretendere e effettivamente svolgere quel ruolo.
Man mano che il consiglio decadeva dunque al ruolo di votificio, la giunta si trasformava invece in un luogo politico con gli assessori che rappresentavano all'interno della giunta il rapporto di forze fra i partiti di maggioranza.
Il presidente del consiglio, invece del ruolo di garante delle parti e di animatore del dibattito politico alto, assumeva quello di notaio degli interessi della maggioranza.
Il programma avrebbe dovuto essere la base di discussione per un ampio dibattito precedente le elezioni e avere la funzione di delimitare la delega, sul cui rispetto il Consiglio avrebbe dovuto vegliare. Il sindaco non riceve infatti una delega totale e illimitata, questo va sottolineato.
Purtroppo i programmi si sono trasformati in quattro parole messe in croce, spesso così generiche da risultare indistinguibili fra quelli proposti dalle varie parti politiche.
Così come si è andato modificando, l'assetto istituzionale appare dunque gravemente monco nella sua incapacità di convogliare le istanze provenienti da parti importanti della società, anche se è innegabile che la nuova efficienza delle nuove giunte sia un bene importante e ormai irrinunciabile. Il maggioritario va bilanciato con strumenti di partecipazione di base.
È necessario a questo punto recuperare lo spirito della legge e rilanciare alcuni suoi aspetti impliciti: le primarie.
Come scegliere il candidato sindaco
“Tavoli” o primarie.
È persino inutile elencare quali siano i limiti della scelta attraverso il sistema dei tavoli, sistema che in realtà appare come l'inevitabile conseguenza dell'impraticabilità delle primarie nel contesto italiano.
Il modello che si ha presente quando si parla di primarie è, infatti, quello americano dove gli iscritti al partito e in regola con le quote possono votare.
In Italia la cosa è complicata da due fattori:
1. Non esiste un unico partito democratico, ma una costellazione di partiti.
2. Esiste una parte della società civile che vuol restare fuori dai partiti.
Il risultato è che non appare chiaro chi possa legittimamente votare, l'idea di doversi impegnarsi in lunghe e costose campagne elettorali primarie spaventa tutti e l'idea che "gli altri partiti" facciano trucchi sul numero delle tessere non facilita le cose.
D'altra parte se il candidato viene scelto da movimenti che si sciolgono il giorno dopo la campagna elettorale, viene tagliato il rapporto con pezzi importanti della società civile ed è una sconfitta per l'intera città. E se invece i movimenti si fanno partito allora è una sconfitta per i partiti che non sono riusciti a farsi veicolo delle istanze provenienti dalla città e, l'abbiamo visto, nasce inevitabilmente per la nuova compagine il problema dei riferimenti provinciali, regionali e nazionali.
Come conciliare dunque la necessità di dare spazio ai movimenti con la necessità di creare canali stabili di comunicazione fra la società e gli eletti e il sindaco?
Un modello di primarie
Proponiamo un sistema di primarie basato su «grandi elettori» che vengono segnalati dai i partiti in ragione dei risultati delle ultime tre consultazioni elettorali.
Il numero dei grandi elettori deve essere sufficientemente grande da costringere i partiti ad uscire dalla propria cerchia e a pescare nella società civile.
Questi grandi elettori godono del solo voto attivo. Candidato alle primarie può essere chiunque, senza alcun vincolo o limitazione se non quello di un modesto versamento che andrà poi a finanziare la successiva campagna elettorale.
Il voto avviene attraverso l'espressione di un numero di preferenze eguale al numero degli aspiranti candidati. L'ordine in cui sono espresse le preferenze attribuisce il punteggio agli stessi.
Vince il candidato che raccoglie più punti.
I grandi elettori non si dovranno limitare a votare, ma dovranno animare il percorso politico che porterà alle primarie. Un percorso sufficientemente lungo (un anno?) ad attivare consultazioni, incontri, dibattiti. Per far incontrare insomma la società civile, i movimenti e i partiti.
Il comitato di reggenza
Sezione DS – Molfetta