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Club UNESCO Molfetta: ora si che sarà la città della pace!
25 giugno 2010

MOLFETTA - Dalla giornata di ieri anche Molfetta è annoverata tra le città sede del prestigioso Club U.N.E.S.C.O. . La serata inaugurale si è tenuta presso la sala Finocchiaro della fabbrica di S.Domenico e ha visto la partecipazione (nella foto,da sinistra) del moderatore Vincenzo Camporeale, Presidente del Club tranese; del Dott. Antonio Loveccho, magistrato - presidente della Sezione GIP - GUP del Tribunale di Bari; del vescovo Mons.
Luigi Martella; del presidente Betty Camporeale;  del Vicesindaco di Molfetta Pietro Uva pronto a sostituire il romano Primo cittadino Molfettese e del Vicepresidente della Federazione Italiana dei Centri e Club UNESCO Ing. Antonio Ruggiero.
E' stato il nostro Vicesindaco Pietro Uva a proclamare la nostra città "Capitale", e non solo centro ha tenuto a precisare, della cultura. Come se la fondazione di un nuovo Club U.N.E.S.C.O. nella nostra città sia sinonimo di estrema civiltà e cultura, quasi fosse un deus ex machina che cancelli ogni sozzura della nostra ridente cittadina.
Il vero significato di questo Club infatti si concretizza in un incremento della cultura e della solidarietà in una missione di pace che accomuna la Chiesa e che dovrebbe vedere la cooperazione intellettuale e non solo economica tra gli Stati e la gente. Perché è proprio nella mente degli uomini che presidia l'idea di guerra, di proprietà dell'uomo sull'uomo, della schiavitù.
E di ciò sentita testimonianza è proprio il magistrato Lovecchio, che porta la nostra lucida attenzione su questo problema  valutato tanto lontano quanto in realtà tangibile a pochi chilometri da Molfetta, nel foggiano, dove operai ucraini e polacchi erano ridotti in schiavitù, quasi come in un "ergastolo" dell'epoca romana. Ciò sta a prova della necessità della schiavitù nella economia, anche in quella che noi riteniamo "dei lumi", quella occidentale, una economia da circa 10 miliardi di dollari l'anno, favorita dagli inarrestabili quanto naturali flussi migratori e causata principalmente dalle diverse politiche migratorie tra i vari Paesi e dalla mancanza di un Sistema Giurisdizionale transnazionale che riesca ad individuare e a punire queste attività criminali.
Per realizzare ciò c'e bisogno appunto di un Club, ovvero della collaborazione di tanti, per arrivare a tutti, poiché il concetto di pace è plurale, a differenza di quello di tranquillità personale, e si identifica nel  riconoscimento dei Diritti Fondamentali dell'Uomo.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza" recita il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani letto da Stefania Papagni, accompagnata dalle note del flauto. In maniera più semplice e diretta lo stesso messaggio è arrivato anche tramite L'"Inno alla Pace" del tranese Vincenzo Sotero, cantato dal coro di voce bianche di S. Andrea Apostolo di Bisceglie.
La pace è un concetto così facile che pochi sono in grado di realizzarlo. E non basta una insegna "Molfetta città della pace" per testimoniarla.
 

Autore: Saverio Tavella
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Di quale pace si tratta? La città o una città della pace dove si colloca? Se oggi si parla tanto di pace, è perchè non si può darla per scontata. Si direbbe che non sia possibile trattare pacificamente il problema della pace. Lo si tratta con tremore e angoscia, oppure con superficialità senza nessun collegamento, quasi isolato. Così come una città della pace. Come si può parlare di pace in Palestina, Afghanistan, Colombia, Iraq, Medio Oriente? E molti temono che la situazione possa ancora peggiorare. La pace non è un problema puramente accademico. Già nel 44 d.C., Cicerone chiedeva a Cassio: "Quod enim est, quod contra vim sine vi fieri possit?" (Che cosa si può fare contro la forza senza la forza?). Ricordando Vimalakìrti, che "teoria senza prassi è schiavitù". Non fu Marx ma San Francesco d'Assisi a dire: "Tanto un uomo sa, quanto fa". Un'autentica meditazione sulla pace non dev'essere solo pacifica ma anche portatrice di pace. Non pensiamo in vacuo. Occorre procedere a un disarmo della cultura bellica nella quale viviamo. Una cultura fatta di arroganza, di brama di potere, di interessi economici, di complessi di superiorità. Perchè ci sia pace in terra dobbiamo compiere una rivoluzione interiore per vincere l'inerzia della mente e accettare di guardare la realtà da un altro punto di vista, di porci domande differenti. In questo senso non riguarda esclusivamente la politica, l'etica o la religione: è un compito integralmente umano al quale, come uomini, siamo chiamati.

L'atto con il quale si riceve un premio per la pace è di per sé un gesto simbolico. Innanzitutto la pace, come con questo premio, la si riceve. La pace non si dà. Sappiamo per esperienza di oggi e di ieri che, fatte salve tutte le buone intenzioni, la lotta per la pace è controproducente. La lotta per la pace crea in genere un'altra guerra e, quindi, origina uno squilibrio che, prima o poi, sarà causa di un'altra destabilizzazione, ancora più profonda, della prima. La pace, forse, la si merita ma è certo che non la si conquista. La pace si riceve. E per riceverla, è necessario un atteggiamento “femminile”. La nostra civiltà dominante ha relegato il femmineo a una posizione d'inferiorità. E nel dire “femmineo”, non mi riferisco esclusivamente alle donne della nostra società, ma piuttosto all'atteggiamento femminile che le donne della nostra società, evidentemente conoscono molto più dei maschi. Mi riferisco all'atteggiamento ricettivo nei confronti della vita, delle cose, della realtà. Ciò che si riceve, lo si deve ricevere col corpo e con l'anima. Ricevere un premio con tutte e due le mani, con tutto il nostro essere è anche la forma più appropriata per ricevere la pace e, ricevendola, ricrearla. Non è questo il luogo per una disquisizione sulla schizofrenia culturale prodotta dalla separazione tra il corpo e lo spirito, ma non sarebbe forse inopportuno ricordare che l'ipocrisia (quella esistenziale e non solo quella morale) è il peccato capitale della nostra civiltà: la mancanza di coerenza tra l'anteriore e l'esteriore, tra ciò che si dice e ciò che si fa, in sanscrito, la parola “menzogna” ci fa memoria che essa non consiste in una inadeguatezza e neppure nella soggettività, quanto nella distruzione stessa dell'ordine cosmico: disordine. Siamo diventati tutti “artificiosi” e, in un simile mondo, anche la pace e la cultura che tanto presentiamo, sembrano poter essere solo artificiale.

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