Ci sono più cose…
Il racconto
“Alta, solenne, vestita di nero, parvemi riveder Nonna Lucia …” (Carducci “Davanti a san Guido”), così rivedo la mia nonna Maria, la madre di mio padre, in un ricordo confuso, avevo due o tre anni quando morì. Era stata maestra elementare, – Medaglia d’oro della Pubblica istruzione – allevando cinque figli maschi praticamente da sola, perché mio nonno Vincenzo era spesso in viaggio per lavoro. Tutti i figli si son fatti onore, due sono andati in Marina, uno nella Marina Militare, dove ha raggiunto il grado di Ammiraglio, l’altro nella Marina Mercantile come Direttore di macchina. Mio padre è stato il primo pediatra di Molfetta e ha salvato tante piccole vite. Anche gli altri due fratelli si sono distinti nelle loro attività. Completava la famiglia Carmela, la ragazza tuttofare che aiutava mia nonna nelle faccende, docile, affezionatissima a mia nonna che si impegnava con senza troppi risultati a insegnarle a leggere e scrivere, e al di sopra di qualunque tentazione per i maschi di casa che la prendevano affettuosamente in giro. La ricordo bene a distanza di anni, veniva qualche volte a casa mia per badare con me ai due fratelli più piccoli le rare volte che nostri genitori uscivano senza di noi e ci raccontava storie senza capo né coda che risultavano perciò estremamente divertenti. Tutto procedeva tranquillamente, i cinque fratelli si erano sposati e abitavano in case vicine, tranne, ovviamente, i due in Marina. Un giorno, che è rimasto nella storia familiare, mia nonna, persona forte ed equilibrata, già pronta per andare a scuola, ha cominciato ad accusare un gran freddo, ha detto a Carmela di correre a scuola e dire che non ci sarebbe andata – cosa rarissima – e ha detto a marito e figli, che erano ancora a casa, di darle scialli e borsa dell’acqua calda. L’hanno costretta a mettersi a letto nonostante le sue proteste, poi, vedendo che continuava a tremare e battere i denti dal freddo nonostante coperte e scialli, hanno chiamato il medico, che, dopo averla visitata, non avendo riscontrata alcuna patologia, si è stretto nelle spalle e ha raccomandato di tenerla al caldo il più possibile. Dopo tre giorni, inspiegabilmente, così come era cominciato, il freddo scomparve, lo strano episodio fu dimenticato e tutto riprese a scorrere con i normali ritmi quotidiani, ma la spiegazione giunse alcuni mesi dopo. Mio zio Nunzio, il secondo dei fratelli, mi era molto simpatico, anche avendolo incontrato poche volte perché aveva la famiglia a Genova e qui veniva di rado, soprattutto per vedere suo padre, finché era vivo: il volto piuttosto rotondo, di carnagione chiara che gli dava un che di eterno ragazzo, i capelli castani e due incredibili occhi azzurri sempre ridenti per cui non si capiva mai se parlasse sul serio o se scherzasse. Aveva volato con D’Annunzio su quei primi aerei che sembravano fatti di tela e cartone e aveva girato praticamente tutto il mondo. La povera zia Olga e il figlio lo vedevano molto molto di rado. Poi arrivarono i terribili giorni di quella che poteva diventare una tragedia, quando la sua nave, nell’ Oceano Indiano, si trovò stretta fra due iceberg: le due montagne di ghiaccio si avvicinavano sempre di più l’una all’altra stringendo la nave in una morsa che sembrava non desse via d’uscita nonostante i frenetici S.O.S. che venivano lanciati senza risposta. Finalmente… la salvezza: un rompighiaccio russo riuscì a penetrare l’enorme blocco di ghiaccio e la nave poté riprendere la navigazione. Questo inferno era durato tre giorni. Quando in famiglia appresero la sconvolgente avventura, uno dei fratelli ebbe l’idea di confrontare le date: gli stessi giorni della avventura di mio zio erano quelli dell’inspiegabile freddo di mia nonna. Ho rivisto mio zio Nunzio poche volte, ma il suo volto sempre sorridente, gli occhi azzurri luminosi, l’ironia che minimizzava sempre le sue imprese, le poche volte che le raccontava, mi sono rimaste nel cuore. “There are more things in heaven and earth, Horatio, / Than are dreamt of in your philosopy”. (“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia” W. Shakespeare, Amleto) © Riproduzione riservata