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Castagne d’autunno Miti, leggende, sacralità
15 settembre 2024

Scrivo queste note, quando ancora il caldo non accenna a diminuire da intere settimane. Ma l’estate è finita. Da alcuni giorni, infatti, siamo a settembre e ci informano che, se quest’anno l’equinozio d’autunno arriva il 22, già dal primo di settembre è iniziato l’autunno meteorologico. Nella memoria tornano, allora, negli anziani come me, i tanti ricordi legati appunto all’arrivo di questa stagione. Le giornate che ridiventavano miti e gradevoli e che si potevano vivere con l’animo pieno di calma e serenità. Molti sostengono, tuttora, che l’autunno sia stagione triste, ma non è proprio così. Cambiano solo i rumori e i colori. È sufficiente camminare in un parco cittadino, o in un bosco, perché presto è possibile udire un concerto di foglie secche che crepitano allegre, sotto le nostre scarpe, in compagnia dei pensieri. Stagione viva, per gli abiti dai diversi colori indossati dagli alberi che, con una esplosione di gialli, rossi e marroni, svelano il proprio carattere. E a questo si aggiunge il foliage che è evento di vera grande bellezza, paragonabile all’ hanami giapponese, in primavera. Autunno, trionfo di funghi, crochi, ciclamini, melograni, uva e vino, zucche, castagne e nuvole, accompagnate da “violini suonati dal vento” (Domenico Modugno). “Autunno è più una stagione dell’anima che della natura”, dice Nietzsche e Van Gogh aggiunge: “Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo”. Una delle regine dell’autunno è certamente la castagna. Frutto al quale è legato un caro ricordo della mia gioventù a Molfetta. Ma andiamo con ordine! E facciamolo tornando alla poesia: alla filastrocca di Gianni Rodari che ha appunto titolo “La castagna”. I suoi versi: “C’è un frutto rotondetto, / di farina ne ha un sacchetto: / se lo mangi non si lagna, / questo frutto è la castagna. / La castagna in acqua cotta / prende il nome di ballotta. / Arrostita e profumata / prende il nome di bruciata. / Se la macino è farina: / dolce, fina e leggerina: / se la impasto che ne faccio? / un fragrante castagnaccio”. A ben vedere, ogni verso contiene le proprietà di questo frutto autunnale che nasce dal castagno. Albero che ha, neldo avuto la capacità di sopravvivere alle grandi glaciazioni, per giungere fino a noi carico dei suoi doni. Albero munifico: ha soccorso la povera gente quando ha avuto fame per le tante carestie, e le molte guerre, dalle quali è stata afflitta. Infatti, è dalla fine del Quattrocento che si documenta il ricorso alla farina di castagne in mancanza di quella da cereali: utile, anche perché esente dalla tassa sul macinato, se fatta in ambito domestico. Ma si può anche risalire a secoli precedenti, se è vero che la castagna era chiamata dai latini “Ghianda di Giove” (Teofrasto in “Storia delle piante”, IV sec. a.C). O, come racconta, nel suo De Rustica, Marco Terenzio Varrone, vissuto nel I sec. a.C., quando dice che la castagna veniva offerta come dono d’amore da parte di un giovane innamorato alla ragazza amata. Un vero e proprio “albero del pane”. E tanto umile e democratico, che tuttora chi, camminando, si imbatte nelle castagne cadute per caso dall’albero a terra, magari ancora avvolte nei suoi verdi ricci, può raccoglierle senza dover pagare nulla per averle. E’ vero che alle castagne si sono attribuite altre caratteristiche, passate in varie espressioni gergali non sempre tutte positive. Ad esempio, per dire di qualcuno o di qualcosa che non vale niente, si dice che vale meno di una castagna, o di qualcuno che ha commesso un reato ed è stato scoperto che è stato preso in castagna, o ancora che abbiamo tolto le castagne dal fuoco, se ci siamo dati da fare per togliere qualcuno o qualcosa da situazioni quanto meno imbarazzanti (espressione quest’ ultima derivante da una favola di La Fontaine, La singe et le chat, in cui una scimmia e un gatto decidono di cibarsi di alcune castagne trovate in un bosco e messe ad arrostire sulla brace. Quando si tratterà di toglierle dal fuoco, la scimmia persuaderà il compagno a toglierle lui con la sua zampa per poi non dividerne nemmeno una con il gatto credulone). E mi piace a questo punto citare quello che sosteneva un medico di Siena, un certo Mattioli, nel Cinquecento, in un suo studio sul cibo e il rapporto con la medicina, a proposito delle castagne: frutto, secondo lui che, se consumato in grande quantità, può causare cefalee e ripienezza aerea gastrointestinale e improvviso incontrollato soddisfacimento sessuale. Ma allora, forse, offrire e vendere caldarroste all’entrata dei tabarin di Parigi nella Belle Epoque aveva questo scopo? Quello che è certo, tuttavia, è che alle castagne è stata attribuito anche un carattere di sacralità. Presso i romani, le sacerdotesse, cultrici del mito di Cibele, avevano il divieto di mangiare pane o focacce fatte con cereali e potevano usare solo farina speciale ottenuta dalle castagne. E questo ci riporta a Molfetta. Per anni, la parrocchia di Santa Teresa e i suoi parrocchiani si radunavano nella piazzetta antistante la chiesa per consumare castagne arrostite e accompagnarle con vino novello e, successivamente anche con gustosissime pettole. Si ricordava così non solo l’autunno, che ormai era alle porte, ma il miracolo della moltiplicazione delle castagne fatto da San Giovanni Bosco una domenica del 1849, fatto per dare un premio ai ragazzi del suo oratorio, che lo avevano accompagnato a pregare per i defunti. Come per molti anziani, anche negli occhi della mia memoria, ho questo tenero e forte ricordo. È stata la prova della assoluta sacralità di questo frutto (che tra l’altro, se tenuto in una mano, e osservato con occhi di poesia, ha forma di cuore). La poesia, già!

Ode a una castagna in terra
di Pablo Neruda.
Dal fogliame eretto
cadesti
completa,
di legno lucidato,
di splendido mogano,
veloce
come un violino
appena nato sull’altura,
e cadi offrendo i tuoi doni rinchiusi?
La tua dolcezza nascosta, finendo segretamente
tra uccelli e foglie,
la scuola della forma
lignaggio di legna e di farina,
strumento ovato custodisce
nella sua struttura
delizia intatta e rosa commestibile.
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