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“Briganti” al Cineteatro Odeon di Molfetta: l'incanto del teatro in uno scorcio storico di brigantaggio
28 marzo 2012

MOLFETTA - Poche volte il teatro supera la sua forma, diventando metafora del mondo e della storia in interpretazioni. Gianfranco Berardi, attore, regista e autore pugliese, è riuscito a trasformare il palco del Cineteatro Odeon in un luogo magico con lo spettacolo «Briganti», scritto, diretto e interpretato dallo stesso Berardi, con la supervisione di Marco Manchisi (assistenza alla regia e luci Gabriella Casolari).
L’evento, promosso dal Centro Internazionale Promozione e Produzione dello Spettacolo CIPS, con il patrocinio del Comune di Molfetta e della Provincia di Bari, aderisce all’iniziativa dell’Istituto Internazionale del Teatro in occasione della Giornata Mondiale del Teatro (27 marzo) con lo scopo di diffondere l’amore per il teatro e valorizzarlo.
Il brigantaggio meridionale post-unitario, il leit motiv del monologo di Berardi, miscelato di tradizione orale popolare e restituzione fedele di vicende storiche documentate (con qualche spunto fantastico). Il progetto teatrale, nato nel febbraio 2000 racconta le scorribande del ribelle Carmine Crocco (Ciccio) e dei suoi uomini nelle campagne lucane, testimoni di ribellione come reazione e non rivoluzione. Si delinea, perciò, quella storia italiana ancora negata, quanto mai attuale e universale. Del resto, lo spettacolo della Compagnia Berardi-Casolari, prodotto da Corte dei Miracoli, in collaborazione con il Teatro Stabile di Calabria, è stato premiato al Festival Internazionale del Teatro di Lugano nel 2005.
Tra luce e buio, la scena è una cella delle carceri del Regno delle Due Sicilie, in cui Ciccio, giovane brigante caduto prigioniero, rivive negli episodi della sua vita personale gli avvenimenti che hanno segnato il periodo post-unitatrio del Mezzogiorno d’Italia, caratterizzato dallo scontro fra il nuovo ordine costituito e i briganti, rappresentanti di un popolo conquistato, sfruttato, illuso e mai ricompensato.
Berardi-Crocco si rivolge alla madre spiegando passo passo chi è stato e cosa lo ha animato, recuperando le motivazioni di chi si difende, di chi preferisce morire in piedi piuttosto che prostrarsi, di chi lotta per contrastare il potere costituito. Un vortice teatrale descritto con coraggio, amara ironia e bruciante delicatezza, soprattutto nel raccontare lo stupro della sua donna: Berardi-Crocco raccoglie ciò che ne resta, balla con lei, la corteggia fino al matrimonio (non secondaria la metafora della terra del Meridione italiano stuprata dai conquistatori).
Una sedia, il supporto di Berardi, sostegno e rifugio. Con passione e sofferenza, ma anche ironia e flessibilità (si passa tra numerosi toni vocali), l’attore salta sul palco, si cattura e si libera nei panni dei conquistati e dell’invasore, cammina, fa correre il suo cavallo, spara tra una rima e una canzone, trasmettendo al pubblico una molteplicità di verità che rivestono la nostra stessa società. Il vigore profuso nello e dallo spettacolo esplode quando il giovane Crocco invita l’uomo a non far finta di niente avere, ad avere coraggio, a reagire, a lottare, a chiedere e farsi giustizia in un mondo ipocrita che non ne garantisce.
È come un viaggiatore verso un viaggio senza ritorno, Gianfranco Berardi che nasce dal nulla, che si è innamorato del teatro per l’amore di una ragazza. Che si è formato al teatro attraverso i laboratori diretti da Mauro Maggioni e Marco Manchisi. Oggi lavora con La Dama Bianca del Manchisi, ma in passato anche con la Compagnia delle Vigne in diverse produzioni, ed è direttore artistico della rassegna musicale e teatrale Sonarìa di Crispiano (Ta). È stato anche coature, con Gaetano Colella, dello spettacolo «Il Deficiente», vincitore del Premio Scenario 2005 e di «Popeye s.r.l.».
Gianfranco Berardi, giovane non vedente, è l’ospite speciale del teatro: il padrone del palcoscenico, capace di rotolarvisi senza esitazione e di fronteggiare il pubblico. L'incanto di una scenografia povera, giocata sull’alternanza luce-buio e vitalizzata dall’espressività di Berardi si trasforma in ammirazione.
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Marcello la Forgia
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