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Applausi per “Dreite a Nu Uaste Veine nu Aggiuste”, commedia in vernacolo del collettivo La Rocca di Molfetta
01 giugno 2011

MOLFETTA – Molto applaudita al Teatro Odeon la commedia farsesca in 3 atti in vernacolo molfettese “Dreite a Nu Uaste Veine nu Aggiuste”, tributo a Dino Regina del Collettivo popolare molfettese “Dino La Rocca”.
Il Gruppo teatrale più noto e forse più antico della città ha sottotitolato il lavoro “La commedia della speranza” per sottolineare come questo sentimento alla fine degli anni ’50 rappresentasse l’ancora di salvezza della povera gente costretta a fare salti mortali per sbarcare il lunario.
Nell’opera, scritta dallo scomparso Dino Regina (al quale il Gruppo ha voluto rendere omaggio) intorno agli anni ’80 ritroviamo, infatti, tutte le peculiarità della nostra cultura di quei tempi: la credenza nell’aldilà, il barbiere “tuttofare”, i sogni, “u bancolotto”, la famiglia, i vincoli familiari, l’ironia della vita, e l’amore della stessa.
Il tutto ruota nella speranza che la vita ci riserva, “ci deve riservare” una seconda possibilità: trarre da un fatto negativo il meglio della vita.
La trama: una famiglia alle prese con sogni, speranze, e dure realtà, ma che alla fine troverà negli affetti della vita, la forza e la voglia di “ricominciare”.
L’abile regia di Giorgio Latino mette insieme personaggi tipici della cultura popolare molfettese dal barbiere, meste Peppe (il convincente Michele Ruggiero) confidente dei suoi clienti, al punto da essere considerato un amico al quale non si paga una prestazione professionale, ma si va per raccontare i propri fatti e raccoglierne le confidenze, alla casalinga squattrinata Colettine (la brava caratterista popolana Mena Pischettola) costretta ad arrangiare il pasto quotidiano tra sacrifici e rinunce.
Anche le gag nascondono realtà amare di una condizione di bisogno: raccontano la verità della vita attraverso il sorriso per renderla più accettabile. Ne viene fuori tutta la psicologia dei personaggi, figuranti compresi, la cui presenza non appare causale, ma studiata per introdurre la scena successiva: lo stesso Latino (Carlucce, cognato realista), Franco La Rocca e Nicolò Lucivero (superstiziosi clienti del barbiere), Daniela De Pinto (messo comunale) e il piccolo Dodo Bufi. Non poteva mancare, come in tutte le commedie farsesche in vernacolo, il garzone di bottega scemo e combinaguai, interpretato dal bravo Franco Todisco, ormai un caratterista collaudato.
Molto credibile e persuasiva anche la sorella di Colettine (Isa Sgherza) sempre prodiga di consigli e consolatrice delle frustrazioni familiari.
Il personaggio principale, nel quale si è ben identificato Giovanni Saltarelli, è un uomo sconfitto dalla vita, costretto con scarsa voglia a rimediare lavori saltuari, uno scansafatiche più per rassegnata necessità che per convinzione e a sperare nell’aiuto celeste di zia Bettina (la originalissima Caterina Tattoli) che gli appare in sogno a ricoprirlo di insulti per la sua indolenza, ma inutilmente generosa con i numeri da giocare al lotto.
Un tocco di incisiva efficacia è offerto da Mariella Facchini nel personaggio dell’assessore comunale, generosa ricercatrice di consenso in cambio di false adulazioni. Tutti personaggi che hanno il sapore della tradizione nella quale gli spettatori si riconoscono e ritrovano comportamenti ed espressioni gergali dei loro nonni.
Una commedia divertente che ci fa pensare e ricordare come eravamo poveri e semplici negli anni Cinquanta, ma forse più veri e più felici dell’effimero contemporaneo.
 
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Autore: Q
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