Analisi del Biopotere
Lettere persiane
Una delle categorie filosofiche emerse negli ultimi anni è quella di biopotere, a cui intellettuali e filosofi hanno dedicato numerosi studi. Fra questi ricordiamo M.Foucault, G. Deleuze, F. Guattari, J. Baudrillard, J. L. Nancy, G. Agamben. Il biopotere è il controllo che il potere esercita sulla vita dei soggetti dalla mattina alla sera; il controllo dei corpi anche di notte per chi ancora riesce a dormire. Quelle notti insonni a pensare cosa sarà dei nostri figli; quali saranno le condizioni di vita del Sud del mondo nel prossimo millennio, se l’uomo riuscirà a liberarsi per sempre dalle guerre e dal cancro, se ancora verrà esercitata violenza sulle donne, se nel pianeta e nell’ecosistema non si presenteranno altre catastrofi come quelle di quest’anno. Prerogativa del biopotere è che gli uomini non devono pensare a queste cose perché è lo stesso potere che risolverà questi problemi e che bisogna avere fiducia nelle istituzioni. Negli ultimi tempi il biopotere ha usato per tenere buoni i soggetti i discorsi pastorali, come li chiamava Foucault, che vengono impartiti attraverso i talk show. Partiti e sindacati, giornali, opinion makers, pensatori della domenica utilizzano le televisioni per tenere buoni i soggetti perché il peggio può sempre accadere e Grecia e Spagna sono esempi di decisioni drastiche che i governi possono adottare per far regredire i livelli di vita del popolo. Negli ultimi tempi i più gettonati nei talk show e nei notiziari televisivi sono stati i monetaristi, gli esperti di mercati finanziari, quelli che sostengono che bisogna incoraggiare gli investitori ad impegnare risorse nel nostro paese e che bisogna liberare il mondo del lavoro da lacci e lacciuoli; da un po’ di tempo sono diventati tutti monetaristi e il governo Letta con il compromesso varato dalle due forze antagoniste (Pd e Pdl) è la più coerente espressione del monetarismo. Io a questo gioco non ci sto, la mia banca è diversa, è la banca che vuol investire sulla sovranità dei soggetti, che è il problema con cui si sono misurati gli intellettuali citati precedentemente e che nel secolo scorso hanno avuto illustri predecessori in A. Camus e G. Bataille. Albert Camus entrò in polemica con J. P. Sartre e con la rivista Les Temps Modernes che interpretava come espressione del biopotere, il potere letterario, il potere delle umane lettere; G. Bataille ebbe un’aspra polemica con A. Breton che chiamava l’Icaro castrato, voleva volare ma non sapeva volare come molti sedicenti politici di sinistra che vogliono emancipare le masse ma non sanno fare altro che autolegittimarsi. Il dibattito interno al Pd e alla rottamazione può essere letto anche in questa chiave. Camus e Bataille, due intellettuali che hanno condiviso le domande dei battuti, dei vinti; di quelli a cui viene negato il diritto di parola, gli umili, i diseredati. Per questo bisogna ispirarsi ancora una volta a L’uomo in rivolta di Camus; bisogna ribellarsi e interrogarsi su che cosa rappresentano nel nostro paese tutta l’area dell’antagonismo sociale, i no Tav, il dilagante astensionismo, il movimento delle 5Stelle. Bisogna tenere alta la guardia e rilanciare l’idea di democrazia partecipata: la nuova compagine politica di Molfetta deve almeno interrogarsi su che cosa hanno rappresentato nel recente passato della città esperienze come Linea 5 e le Macerie. Se la débacle delle 5Stelle a Molfetta non è dovuta anche all’esistenza di questi due punti di osservazione dell’antagonismo sociale. Sto per chiudere e vedo in televisione Ferrara e la Santanché che difendono Berlusconi, li metto in relazione agli intellettuali citati e sempre più mi vien voglia di essere un uomo in rivolta. Albert Camus in un disegno di Petr Vorel Il primo matrimonio di Camus con Simone Hie nel 1934 finisce dopo due anni a causa della dipendenza della donna verso gli psicofarmaci. Sei anni dopo sposerà Francine Fauré. L’attività professionale lo vede spesso impegnato all’interno di redazioni di giornale dove è critico letterario e specialista nei resoconti dei grandi processi e nei reportage: il lavoro nel quotidiano locale algerino Alger-Républicain, poi “Soir-Republicain” (fondato da Pascal Pia) finisce con il licenziamento a causa di un articolo contro il governo che si adopererà poi per non fargli più trovare occupazione come giornalista in Algeria.Camus si sposta così in Francia dove nel 1940 è segretario di redazione al Paris-Soir grazie all’aiuto di Pascal Pia: sono gli anni dell’occupazione nazista e lo scrittore, prima da osservatore e poi da attivista, cerca di contrastare la presenza tedesca ritenendola atroce. Negli anni della resistenza si affilia alla cellula partigiana Combat per la quale curerà numerosi articoli per l’omonimo giornale che circola clandestinamente. Finita la guerra, il suo impegno civile rimane costante e non si piega di fronte a nessuna ideologia, criticando tutto quello che poteva allontanare l’uomo dalla sua dignità: lascia il posto all’UNESCO a causa dell’entrata nell’ONU della Spagna franchista così come è tra i pochi a criticare apertamente i metodi brutali del Soviet in occasione della repressione di uno sciopero a Berlino Est. Pubblica svariati articoli su alcune riviste dell’anarchismo francese, di cui condivide idee e finalità, pur criticandone il “nichilismo romantico” che l’ha caratterizzato storicamente. Nel 1953 sostiene la rivolta degli studenti anticomunisti di Berlino[1]. Nel 1960 le sue condizioni di salute sono molto precarie (ormai da tempo entrambi i polmoni sono intaccati dalla tubercolosi). Il 4 Gennaio di quell’anno Camus muore in un incidente d’auto a bordo di una Facel Vega (nel quale perde la vita anche il suo editore Michel Gallimard) presso Villeblevin vicino Sens (Yonne). In una scatola tra i rottami venne trovato un manoscritto di centocinquantaquattro pagine, dalla cui rielaborazione filologica la figlia Catherine ricostruisce il romanzo Il primo uomo. Nelle sue tasche fu trovato inoltre un biglietto ferroviario non utilizzato, probabilmente aveva pensato di usare il treno, cambiando idea all’ultimo momento. In passato aveva più volte sostenuto che il modo più assurdo di morire sarebbe stato proprio in un incidente automobilistico. La sua tomba è nel cimitero di Lourmarin, in Provenza, dove aveva da poco acquistato un’abitazione. L’opera filosofica e il pensiero Camus analizza l’assurdo dell’uomo come condizione alienante e reale, non come necessità o unica via. Egli opera una diagnosi di tale problema esistenziale per risolvere il quale serve una cura che solo la solidarietà umana è in grado di produrre. L’uomo scopre la sua inconsistenza e la sua assurdità intuendo che solo attraverso la presa di coscienza di questo stato di cose si aprono nuovi orizzonti, il difficile è entrarci. L’assurdo è penoso e la presa di coscienza di esso frustra e macera, ma è uno stimolo intellettuale importante ed è nel Mito di Sisifo che viene posto in maniera chiara il problema. Ma la soluzione nella solidarietà umana appare solo nel 1943-’44 e trova nel romanzo La peste, pubblicato nel 1945. La peste rappresenta perciò un superamento del senso tragico e assurdo dell’esistenza umana. Di questo vi erano già i primi segni positivi nelle Osservazioni sulla rivolta, scritte nel 1945, e Lettre à un ami allemand. Ma il tema della solidarietà umana è uno sbocco che è convincente solo in parte e che per alcuni versi pare addirittura forzoso e non privo di derive moralistiche. Ben diverso l’atteggiamento che sta alla base del grande e profondo tormento esistenziale molto esplicito sino all’inizio degli anni ‘40. Un tormento che si esprime nell’ateismo esistenziale espresso nelle prime parole con cui si apre il saggio Il mito di Sisifo, pubblicato nel 1942 da Gallimard, dove egli scrive: « Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia » (Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1947, p.7) Nel 1952, con L’uomo in rivolta, Camus affronta il tema della violenza, sia essa metafisica, libertaria o terroristica. L’opera è anche un’analisi socio-psicologica profonda delle motivazioni che portano alla rivolta violenta e all’omicidio. Ne L’uomo in rivolta Camus prosegue anche e realizza la sua polemica con la rivista Les temps modernes diretta da Jean- Paul Sartre. È la fine di un sodalizio che aveva visto sintonia e numerose collaborazioni sin dal secondo dopoguerra e che ha così fine. Ma ciò non significa affatto, come qualcuno erroneamente sostiene, che Camus, contrapponendosi a Sartre, non sia più un esistenzialista ateo, ma semplicemente che egli intende abbandonare il pessimismo estremo per lasciare l’orizzonte aperto alla speranza di un senso del lottare contro il male. Per Camus, la strada maestra dell’uomo che pensa è quella di combattere contro l’assurdo e la mancanza di senso dell’esistere. Un assurdo che non è nella natura dell’uomo in quanto tale, ma nei “modi” con cui l’uomo struttura negativamente il proprio esistere e il proprio convivere. Far fronte alla Peste (che nella sua opera simboleggia anche la dittatura) è possibile nella solidarietà e nella collaborazione. Gli uomini, se uniti da ideali positivi perseguiti con determinazione e forza, devono sempre rimanere vigili in attesa che «...la peste torni ad inviare i suoi ratti». Ma tutto questo deve fare i conti con lo stato personale di attività e con i propri limiti: l’artista (così come l’uomo comune) è sempre in bilico fra solidarietà e solitudine (solidaire ou solitaire), e spesso si trova di fronte a situazioni che avrebbe potuto evitare se avesse approfittato di un’occasione passata [vedi La caduta (La chute)]. Camus rifiutava l’appellativo di “pessimista” attribuitogli da alcuni suoi contemporanei e in un articolo apparso il 10 maggio 1951, sulla rivista Les Nouvelles Littéraires, scriveva: «Non ho disprezzo per la specie umana... Al centro della mia opera vi è un sole invincibile: non mi sembra che ciò formi un pensiero triste». Non è per nulla che così egli chiuda Il mito di Sisifo: « Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dèi e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice. » (Il mito di Sisifo, cit., p.121) Se Sisifo, una volta negato Dio, vede un mondo in ogni parte di esso e può sentirsi felice per il solo fatto di lottare contro il Dio-padrone, il nichilismo è già vinto anche se la sofferenza e l’ingiustizia continueranno ad imperversare. Nell Uomo in rivolta si legge: « Oggi nessuna saggezza può pretendere di dare di più. La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere un nuovo slancio. L’uomo può signoreggiare in sé tutto ciò che deve essere signoreggiato. Deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Dopo di che i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta. Nel suo sforzo maggiore l’uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo » (L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1951, p.331)