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Alla libreria “Il Ghigno” di Molfetta, la storia di Mimì Capatosta, il sindaco di Riace, un modello da imitare
Gabriele Vilardi e Tiziana Barillà
20 novembre 2017

MOLFETTA - Ci sono storie e poi ci sono le STORIE, quelle che non cercano clamori, che scavano, come l’infaticabile rivolo d’acqua, un solco incolmabile. Sono storie come queste, piccole eppure immense, silenziose eppure potenti, quelle scritte da protagonisti schivi, reticenti, quelle che non chiedono di essere raccontate ma meritano di essere ascoltate.

E sicuramente la vicenda della piccola cittadina calabrese Riace è legata indissolubilmente al suo Sindaco, Domenico Lucano, un uomo che non ama i clamori, un uomo innalzato, suo malgrado agli onori della cronaca,un uomo  che da tre mandati compie il suo dovere di sindaco.

La notizia non farebbe notizia se la rivista americana Fortune nel 2016 , tra i 50 personaggi più influenti del mondo piazza, al 40° posto, Domenico Lucano, unico italiano, unico sindaco. Molfetta sa di Mimmo Lucano, sa di quest’uomo straordinario anche grazie a Tiziana Barillà autrice di Mimì Capatosta - Mimmo Lucano e il modello Riace, un libro - racconto della vicenda politica di Riace e del suo sindaco.

Nella Libreria Il Ghigno, Gabriele Vilardi, spiega che nel libro non si parlerà della storia dell’accoglienza ma di come l’accoglienza sia diventata cardine di sviluppo, in un’epoca in cui la parola accoglienza viene associata al binomio sicurezza-terrorismo, in cui gli immigrati vengono intesi come pesi e non risorse. Riace non è un’utopia perfetta ma un’utopia che cerca continuamente di realizzarsi.

L’autrice spiega che la difficoltà maggiore non è stata quella di scrivere il libro, quanto quella di riuscire ad “agguantare il sindaco-saponetta” che ha combattuto contro la logica “ormai-ormai”, quel senso di sconfitta che precede anche il tentativo. Lucano nasce nella Locride, a Riace un paese che è cerniera tra molte realtà mafiose. Accogliere è, per Lucano, normalità, base del modello Riace, che include lo stop al consumo  del suolo,  il no alle grandi opere, l’aver reso Riace indipendente dalla società calabrese di gestione dell’acqua, l’utilizzo diretto dei beni confiscati alla mafia, la raccolta differenziata, utilizzando due asine ad opera dei cittadini extracomunitari ospiti.

Si tratta di scelte rivoluzionarie per le quali Lucano riceve tre avvisi di garanzia, per aver gestito, tra l’altro, direttamente l’emergenza accoglienza senza aver firmato bandi di affidamento, e per non essere stato in grado di produrre giustificativi di spesa, come fatture, utili per la rendicontazione dei fondi statali per l’accoglienza. Lucano, presentandosi spontaneamente in Procura, ha spiegato che in un paese che fino a 20 anni fa contava 500 abitanti, in grande maggioranza  pensionati, l’arrivo di quattro pullman con duecento profughi, avrebbe significato un fisiologico “scompiglio” che doveva essere risolto in  tempi strettissimi. Gli ospiti necessitavano di cibo, abiti, un posto dove far passare la notte, esigenze primarie che non potevano aspettare i tempi lunghi della burocrazia. Lucano ed il suo paese ospitano, ma non possono aspettare i finanziamenti statali che vengono erogati in media dopo 11-18 mesi dalla richiesta del Comune.

Potrebbe chiedere anticipazioni alle banche, ma anche la banca etica chiede tassi, seppur minimi, di interesse. Cosa fa? Emette dei ticket, una sorta di anticipazioni, con i quali i creditori di Riace, possono fornire beni e servizi ed essere liquidati a finanziamenti statali erogati. La difesa di Lucano è un contrattacco: “Perché riesco a fare con 35 euro ciò che altri non fanno con il triplo?”. Si riesce a fare ciò perché si evitano le sovrastrutture, perché Lucano ha fatto del non riconoscimento della burocrazia la sua scelta politica. Per questo ha dovuto pagare, ha dovuto sacrificare affetti, lavoro. Non ha proprietà, non ha interessi, solo il suo paese, un modello studiato all’estero e ora oggetto di tesi di laurea, studi, articoli.

A Mimì Capatosta, tutto questo clamore dà fastidio, lo distoglie, gli fa perdere tempo. Le porte del Comune di Riace sono aperte e il sindaco riceve sempre, quando non è per le strade del suo paese, rincorso dai funzionari comunali che devono fargli firmare un’ordinanza. Non vuole parlare di sé ma teme per Riace.

Che ne sarà del suo paese, alla fine del suo terzo mandato? Per questo accetta, suo malgrado, di parlare, perché i riacesi non vengano lasciati soli, tutti insieme giovani residenti che hanno deciso di tornare e profughi ormai completamente integrati che hanno ripreso antichi mestieri a rischio di estinzione: la tessitura della ginestra, la lavorazione del grano, la produzione di fini ricami. Lucano è anche il loro sindaco, pur non potendolo  votare.

Nel 2009 Wim Wenders arriva a Scilla per girare un cortometraggio. Alla ricerca di comparse si reca a Riace e viene a conoscenza della realtà e del sogno di Lucano. Abbandona la sceneggiatura del cortometraggio su Scilla e presenta, davanti a premi Nobel a  Berlino, “Il volo” , un cortometraggio sul paese, dedicando al sindaco amico queste parole: “La vera utopia non è la caduta del muro ma quello che è stato realizzato in alcuni paesi della Calabria, Riace in testa”.        

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Autore: Beatrice Trogu
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