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Addio a Guglielmo Minervini, politico timido che ha cambiato la Puglia
15 settembre 2016

Nemmeno una malattia indomabile e vigliacca era riuscita a spegnerne l’ardore, a smorzare il suo “bollente spirito”, a indurlo al disimpegno e al riposo forzato. La malattia anzi, era diventata ulteriore sprone a far di più, a impegnarsi ancora una volta in prima linea, a insistere nel suo insegnamento. Anche da un camera di ospedale, non aveva rinunciato a far sentire la sua voce, a combattere le sue battaglie, condotte come al solito con pochi mezzi e controcorrente, a rivendicare non solo una testimonianza ma un progetto di cambiamento autentico e concreto. E così la scomparsa di Guglielmo Minervini ci ha fatto sentire tutti ad un tratto più soli, più piccoli, più vulnerabili. Dall’impegno condotto al fianco di don Tonino Bello nel mondo dell’associazionismo cattolico fino al suo legame con l’esperienza politica del “rosso” Nichi Vendola, l’itinerario politico di Guglielmo, così originale e imprevedibile, ha tradito sempre l’ambizione di trasformare la politica in strumento di servizio, dalla parte dei senza voce e dei fragili senza abbandonare mai il terreno della concretezza amministrativa. Classe 1961, già sindaco di Molfetta, attualmente consigliere regionale per la lista Noi a Sinistra per la Puglia sono due i fili conduttori del suo impegno: il coinvolgimento dei giovani sempre nel cuore delle sue politiche e la centralità della cittadinanza attiva. La politica intesa come terreno fertile di buone pratiche, laboratorio di interventi concreti e mirati al bene comune. Una costante di una carriera che affonda le sue radici nell’associazionismo cattolico nella Molfetta degli anni ‘80. Sono anni decisivi: si batte per i bambini e le donne del centro storico, si mobilita per i più deboli, conosce il vescovo don Tonino Bello del quale resta fulminato. Tra di loro un legame profondissimo, un’intesa di battaglie e ideali che segnerà indelebilmente il suo successivo impegno politico. La vicinanza agli ultimi sempre e comunque, la politica intesa come servizio, la pace come supremo presidio di democrazia e civiltà, il confronto come risorsa irrinunciabile di una comunità. I semi piantati dal carismatico vescovo, ben presto danno i loro frutti. Attorno a don Tonino prende forma una comunità di giovani decisa a mettersi in gioco, a interessarsi alla cosa pubblica, ad animarla di buoni propositi e idee concrete. Nel solco di questa nuova stagione di impegno, nel 1985 Guglielmo fonda la Casa per la pace (1985) e diventa consigliere nazionale di Pax Cristi, associazione protagonista del movimento internazionale contro la guerra (presieduta in Italia in quegli anni proprio da don Tonino). Si batte per il riconoscimento dei diritti degli obiettori di coscienza ( sul tema pubblicherà poi due opere: l’abecedario dell’obiettore nel 1991 e l’antologia dell’obiettore nel 1992). Promuove la nascita della cooperativa “La Meridiana”, diventata poi uno degli attori più dinamici nel panorama editoriale italiano dimostrando particolare impegno soprattutto nel fronte della pedagogia, del pacifismo e del cattolicesimo democratico, concilia il suo impegno di insegnate di informatica a quello dell’associazionismo. Il crollo del muro di Berlino rimescola le carte sullo scacchiere internazionale: un pezzo di mondo è squassato da epocali trasformazioni politiche. L’Albania comunista collassa, in migliaia fuggono sognando una vita migliore, le coste pugliesi vengono invase dai profughi. La Puglia periferia, all’improvviso è fiondata al centro della scena. Don Tonino è in prima linea non solo nell’accoglienza dei migranti ma anche nelle azioni contro la militarizzazione della Murgia, contro i caccia Amx di Gioia del Colle, contro una Puglia “arco di guerra” che lui invece vorrebbe “arca di pace”. Sono tappe che segnano la crescita umana e politica di Guglielmo. Con la scomparsa prematura di don Tonino (aprile 1993) molti temono che i suoi insegnamenti possano andare persi. Gli anni Novanta per Molfetta sono anni terribili. La città flagellata dall’emergenza droga, diventa uno dei più importanti centri dello spaccio regionale, la criminalità organizzata dilaga e la politica sembra impotente. Il 7 luglio del 1992 il sindaco Gianni Carnicella viene assassinato per aver negato le autorizzazioni ad un concerto di Nino D’Angelo sul quale si era subito allungata l’ombra della camorra. Sembra che il pozzo non abbia fondo quando accade qualcosa. Guglielmo allora, con Matteo d’Ingeo è tra i promotori de “l’Osservatorio 7 luglio” sull’illegalità diffusa, iniziativa alla quale segue quella del Percorso, un movimento civico votato al riscatto della città. “Scatta una molla” dirà poi. Migliaia di fazzoletti bianchi vengono appesi alle finestre, la città vuole voltare pagina, scrollarsi la paura di dosso, sognare il riscatto. Il suo coinvolgimento in politica è quasi naturale (“non c’è stato un momento preciso nel quale ho deciso di candidarmi. Credo che le decisioni più importanti della nostra vita non sono quelle scelte ma accadono quando decidi di non decidere. Non ho fatto nulla per cercare quel ruolo, anzi ho cercato di evitarlo, ne avevo un gran terrore” commenterà anni dopo). Si candida alle comunali del ‘94 (le prime che prevedono l’elezione diretta del sindaco) fuori dai partiti tradizionali, nel frattempo terremotati dal ciclone di Tangentopoli e incarna agli occhi dell’opinione pubblica il simbolo di un impegno disinteressato, genuino, sganciato dalle vecchie e parassitarie strutture del potere politico ed economico. Si presenta a quelle elezioni, vinte poi con l’appoggio delle Sinistre, da outsider, dopo averla spuntata nelle prime primarie della storia della Puglia. Vendola lo definisce “un archeologo della politica, uno capace di tirare fuori dal silenzio tante storie dannate dall’invisibilità” e attorno a lui accende nuovi entusiasmi, nuove speranze, nuove energie. Parla di gente semplice, di popolo, di coinvolgimento dal basso. Non è un leader da prima Repubblica, non arringa la folla dal palco alzando la voce e mettendo a segno battute a effetto, gesticola poco, non è un oratore consumato. Ha la voce bassa, lo sguardo timido ed è schivo. Ma parla chiaro, tocca i tasti giusti di una comunità delusa e con poche speranze, si fa capire. Dice nel comizio di chiusura: “non servono per questa esperienza né santi, né eroi ma persone semplici e noi siamo una massa che è diventata un popolo di gente semplice, di gente normale che è stanca di subire, che è stanca di vivere da sudditi, che è stanca di vivere con vergogna la propria dignità storica. Vuole alzare il capo, vuole governare”.Al ballottaggio sfida un avversario che non può essere più diverso da lui, il marchese Giulio de Luca che a quella tornata rappresenta le Destre. Vince Minervini, a sorpresa. Ha 32 anni. Molfetta è una polveriera. È la città dei ragazzi morti di overdose nei pressi dei cantieri navali (10 vittime solo tra il ‘93 e il 94), quella di interi quartieri inespugnabili in mano agli spacciatori, quella dell’emergenza casa e del degrado del centro storico. Rimboccandosi le maniche e stringendo i pugni, la città reagisce. Nel 1996 scatta l’operazione Reset. È un’operazione antidroga di grandi proporzioni che ripulisce la città. Quella notte Guglielmo segue le operazioni dalla caserma dei carabinieri in compagnia di un giovane magistrato che ha la fama di integerrimo uomo di giustizia: Michele Emiliano. L’amministrazione di centrosinistra intanto cerca di dotare la città di nuovi strumenti di pianificazione urbana, di regolazione del commercio e delle attività produttive di cui era completamente priva. Vengono approvati il piano di recupero del centro antico, il piano regolatore generale e il piano di edilizia residenziale pubblica, ritenuti indispensabili per avviare il recupero della zona storica e per rispondere ai pressanti bisogni di case dei molfettesi. Per gli interventi nel sociale, nel ‘98 e nel ‘99, Molfetta riceve il riconoscimento nazionale dal ministero dell’ambiente come città amica delle bambine e dei bambini per “la spiccata sensibilità e l’attenzione rivolta al mondo dell’infanzia con progetti originali e creativi”. Confermando l’impegno per la pace e per il dialogo tra culture diverse e talvolta contrapposte, sono promosse tre edizioni del corso estivo di pace per israeliani e palestinesi e nel ‘97 il convegno Internazionale delle donne del Mediterraneo impegnate contro ogni forma di violenza. Nel ‘99, per sua iniziativa, Molfetta fonda, insieme ai comuni di Ruvo e Alessano e a Pax Christi, la scuola di pace permanente finalizzata a promuovere la pace come stile di vita in tutte le comunità. Ma la sua è un’ esperienza difficile che deve affrontare molte curve e guardarsi le spalle dal fuoco amico. Nel 1998 si torna anticipatamente alle urne. Guglielmo è rieletto ma nel 2000 la sua maggioranza si dissolve nuovamente. L’esperienza da primo cittadino è terminata e con questa arriva anche la consapevolezza che una fase si è chiusa. L’impegno dei movimenti civici, della Rete che ha portato politici come Leoluca Orlando alla guida di Palermo e a una “rivoluzione dal basso” ha il fiato corto e sembra inadeguata ad affrontare l’ascesa berlusconiana. Capisce che serve qualcosa di nuovo, di meglio strutturato, dalla più solida profondità programmatica. È tra i primi a Molfetta ad aderire al manifesto di Romano Prodi per L’Italia che Vogliamo e all’Ulivo nel 1996. Tra i promotori del movimento dei sindaci e amministratori ulivisti “Centocittà”, insieme a Rutelli, Cacciari, Orlando e Bianco, è tra i fondatori del movimento politico i Democratici, nel quale assume da subito la responsabilità di coordinatore regionale. Dopo il fallimento della sua candidatura al Senato (2001), il suo impegno amministrativo sembra terminato. Guglielmo però, resta riferimento del campo progressista e tra i fondatori della Margherita ne diventa il coordinatore regionale. Nel 2005 poi, la seconda fase del suo impegno politico. È tra i più convinti sostenitori della candidatura alla presidenza della regione Puglia di Nichi Vendola, allora esponente di spicco di Rifondazione Comunista e sfidante del governatore uscente Raffaele Fitto (Forza Italia). Guglielmo comprende prima e più di altri le potenzialità di quella candidatura. Legge la voglia di rottura dei pugliesi, crede che una Regione più viva e dinamica si stia per avviare verso inesplorati orizzonti di cambiamento. Le vittorie sorprendenti di Vendola nel 2005 prima alle primarie contro Francesco Boccia e poi alle regionali contro Fitto offrono a Guglielmo (eletto consigliere regionale e poi riconfermato nel 2010 col Pd e nel 2015 con Noi a Sinistra per la Puglia) nuovi spazi di intervento politico. Il governatore lo vuole al suo fianco e lo nomina assessore con delega alla trasparenza, politiche giovanili e sport. E quelle politiche giovanili, Guglielmo le stravolge. Se i giovani prima di lui venivano inquadrati come problema (droga, abbandono scolastico, stragi del sabato sera) ora diventano risorsa, energia viva, fuoco ardente. Viene avviato un articolato e complesso programma di interventi che prenderà il nome di Bollenti Spiriti. Borse di studio, finanziamenti a progetti creativi, aiuti a start up e nuove attività economiche, viaggi di lavoro e studio all’estero animano una generazione che annerita da anni di abbandono e promesse non mantenute sente di nuovo l’abbraccio delle istituzioni. È un esperienza che si basa soprattutto sulla capacità degli uffici regionali di intercettare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea e miete successi che attirano l’attenzione dei media nazionali e non solo. Bill Emmot direttore dell’Economist parla di Vendola come dell’uomo “che risolleverà il Belpaese dalle ultime posizioni delle classifiche mondiali”. Si parla di primavera pugliese e del governo di via Capruzzi come un laboratorio di politiche felici, un esempio da imitare. Molto, moltissimo di quel successo è di Guglielmo. Lui che d’altro canto nei giovani aveva sempre creduto, si distingue per il suo modo così disinteressato di svolgere quel ruolo così prestigioso, nei modi garbati e mai sopra le righe. Arrossisce se qualche ragazzo gli dà del tu, non conosce i lussi del potere, parla con orgoglio e trasporto delle belle storie della Puglia di quegli anni. Di quei ricercatori salentini che hanno scoperto un’alga dalle grandi proprietà nutritive e che potrebbe avere interessanti risvolti scientifici, di quel ragazzo che andato in Germania grazie a una borsa di studio della regione è diventato docente universitario, di quei giovani che hanno messo su una start up tecnologica all’avanguardia nel segmento dell’aeronautica. È una stagione che crea entusiasmi, elogi, molti consensi e qualche inevitabile illusione. Da sinistra soprattutto fanno notare che lo sforzo pur encomiabile fatto di borse di studio e finanziamenti non basta riempire il fossato della disoccupazione giovanile che in Puglia nonostante tutto si allarga sempre più. Un’obiezione alla quale Minervini risponde senza indugi invitando i giovani a continuare a investire nella fantasia, nell’entusiasmo, nella creatività (molti finanziamenti vengono concessi a progetti più virtuosi e innovativi). Lo fa parlando a una folla di giovani alla Fiera del Levante nel 2013: “a chi vi dice di non volare con la testa tra le nuvole, di non sognare troppo rispondetegli che i realisti sono quelli che mangiano il pane bagnato dal sudore dei sognatori”. È convinto, a ragione, che la stagione delle promesse facili, dei “milioni di posti di lavoro”, delle assunzioni di comodo sia finita per sempre e che sia necessario imboccare una nuova strada. Paragona le energie giovanili a unapianta fragile che ha bisogno di tanti buoni semi per germogliare e di tanto tempo. Come assessore è confermato nel 2010, stavolta ai trasporti. Si batte per la legalità, contro il caporalato nelle campagne pugliesi (è il primo politico a mettere piede nel ghetto di Rignano Garganico dove migliaia di immigrati vengono sfruttati nella stagione del pomodoro) proponendo il Daspo per le aziende che vi fanno ricorso, scommette sullo sviluppo dei cieli in Puglia (l’aeroporto di Bari vivrà in quegli anni un sorprendente boom grazie all’arrivo della compagnie low cost), si batte per una migliore difesa del territorio dallo sfruttamento incondizionato del mattone, sostiene lo sviluppo delle rinnovabili e dell’energia pulita. Ma se su scala regionale la sinistra ha saputo tradursi in un credibile progetto politico di cambiamento, a Molfetta attraversa un periodo buio lastricato di sconfitte e scottanti delusioni. Nel 2006 la coalizione guidata da Lillino Di Gioia (vincitore a sorpresa delle primarie) è sconfitta dal centrodestra di Antonio Azzollini che diventa primo cittadino. È un ko pesante che apre la lunga stagione politica dell’azzollinismo e che soprattutto lascia dietro di sé una lunga scia di amare polemiche. L’ex leader dc appena sconfitto, accusa Guglielmo di non aver creduto nella sua candidatura, di aver remato contro, di aver favorito la vittoria di Azzollini. Segue un’altra sconfitta, quella delle comunali del 2008 (stavolta a essere battuto è l’avvocato Mino Salvemini). Nel 2013 la Sinistra cittadina rischia di presentarsi alle nuove consultazioni smarrita e confusa, senza candidati credibili, ancora una volta divisa. Guglielmo allora, indica alla coalizione una nuova strada percorribile. Crede nella candidatura di una giovane giornalista molfettese da anni a Roma e che si è distinta negli ambienti della sinistra romana. È Paola Natalicchio. Guglielmo la convince ad accettare la sfida, le dà fiducia, la invita a rischiare. La sua sorprendente vittoria sembra dare ragione al suo spirito “ribelle”, a quel suo modo di intendere la politica sempre e comunque controcorrente. Eppure le cose non vanno come sperato. Il centrosinistra vincitore si divide ben presto, l’esperienza amministrativa della “nuova Molfetta” diventa una corsa a ostacoli. I rapporti tra i due deteriorano rapidamente. Guglielmo dopo le sue dimissioni dello scorso maggio, rimprovera al sindaco Natalicchio di aver gettato la spugna, di aver buttato a mare un sogno e di sfasciare quanto di buono costruito tre anni prima. Esprime il suo disappunto scrivendo una lettera aperta, franca ma molto critica, indirizzata proprio al primo cittadino che dal canto suo accusa Guglielmo di un’uscita fuori tempo massimo, di uno strattone sgarbato, di non comprendere la mancanza di ulteriori margini di manovra. Il naufragio della giunta Natalicchio è una delle delusioni più cocenti della vita politica di Guglielmo. Ciononostante gli ultimi mesi sono di passione e impegno. Terminata l’esperienza politica di Nichi Vendola, Sel lancia alle primarie per decidere la candidatura a governatore, il senatore Dario Stefano. Un nome, secondo Guglielmo, sbagliato, un ripiego tattico in antitesi col progetto di radicale rinnovamento rappresentato dalla Primavera Pugliese. Davanti al rischio che i semi di quel progetto politico vengano spazzati via, Guglielmo decide di scendere direttamente in campo. Una decisione accolta con gelo dai vertici del Pd (partito che Guglielmo aveva contribuito a fondare) che vorrebbero spianare la strada alla corsa di Michele Emiliano dato per vincente da tutti i sondaggi. Saranno delle primarie combattute, appassionanti, che Guglielmo affronta con impegno e entusiasmo, con pochissimi mezzi e circondato come sempre da tanti, tantissimi giovani. Primarie il cui risultato è impossibile da ribaltare ma che per Guglielmo rappresentano il tentativo prezioso di salvaguardare un’esperienza di governo virtuoso e soprattutto di rivendicare uno spazio politico ben preciso, lontano dai giochi di potere e dalle oligarchie di partito. Dopo quell’esperienza nel Pd per lui non c’è più posto. Lo lascia per lanciarsi in una nuova avventura, ancora scomoda, ancora controcorrente. Una rottura figlia, più che dalla distanza che lo separa da Michele Emiliano a Bari e da Matteo Renzi a Roma (rispettivamente segretari regionali e nazionali di quel Pd), da una divergenza strategica ormai ampissima. Non può tollerare Guglielmo, l’apertura spregiudicata e convinta a pezzi di ceto politico di destra, ad una vera e propria, per usare le sue parole “trasformazione genetica” che porta a Roma ad accordi con Denis Verdini e Antonio Azzollini e a Molfetta ad improbabili apparentamenti con l’ex big di Forza Italia Saverio Tammacco. Dietro i nomi cambiano i programmi, si trasformano i contenuti. Guglielmo, che della coerenza ha fatto sempre la pietra angolare del suo impegno non può accettarlo. Aderisce a Noi a Sinistra per la Puglia (lista che alle regionali del 2015 riunisce i vendoliani ex Sel) e sarà poi tra le anime del processo costituente di Sinistra Italiana. Saranno quelle le ultime elezioni della sua vita. Elezioni caratterizzate da una campagna rabbiosa e scomposta, zeppa di colpi bassi. Proprio Emiliano, lanciato verso un trionfo scontato non manca di infierire sul vecchio compagno di partito. Lo accusa di essersi arricchito, di aver costruito con cinismo e sagacia tattica la propria carriera. Accuse che suonano stonate e incredibili per un politico come Guglielmo, austero e sempre lontano dai riflettori smaltati della politica opulenta e arraffona. Un politico che non ha mai vissuto per il potere come potere, ma per il potere (termine che Guglielmo detestava) come cambiamento, come progettualità al servizio di una comunità, come strumento per i più deboli. La sua nuova elezione, la terza consecutiva in Regione (quasi 8.000 preferenze, il più suffragato della lista) dimostra che i pugliesi avevano capito da che parte stare. Infine l’ultima sfida alla malattia, a quel cancro al quale dava battaglia da cinque anni. Una sfida che aveva reso pubblica nel 2013 con un’intervista al Corriere del Mezzogiorno ma che comunque non gli aveva impedito di dedicarsi alla politica e agli altri. Poche settimane prime di spegnersi, dà alle stampe il volume “La politica generativa. Pratiche di comunità nel laboratorio Puglia” che ripercorre con lucidità analitica e buon piglio argomentativo l’esperienza di governo delle giunte Vendola e dove avanza un’articolata analisi della crisi dei partiti. Ora mentre i suoi giorni sono finiti, sarà una Fondazione, fortemente voluta dalla moglie Maria e dai figli Nicolò e Camilla, a ricordare il suo operato, a sottolineare il suo insegnamento mentre noi tutti ci sentiremo un po’ più soli. Perché che un uomo di nobili ideali, mille entusiasmi, inesauribili energie abbia dovuto cedere alla morte ci addolora. Che quell’uomo sia Guglielmo Minervini ci sgomenta.

Autore: Onofrio Bellifemine
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