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A Molfetta mostra dell'artista cinese Wang Du I am the Reality, quando l'arte è su un manifesto. La rassegna “Pulsioni performative nell'arte contemporanea” è già iniziata sui muri della città con un manifesto
20 settembre 2009

MOLFETTA - “I am the Reality”. Così recitano alcuni manifesti comparsi sui muri di Molfetta. Manifesti d'arte realizzati dal celebre artista cinese Wang Du. Un'opera che diventa prologo del progetto espositivo “Pulsioni performative nell'arte contemporanea”, la mostra internazionale di arte contemporanea che sarà inaugurata a Molfetta, nel Torrione Passari, il prossimo 26 settembre. “I am the reality” è un istrionico manifesto con l'immagine del volto dello stesso Wang Du, «un gesto eversivo contro i sistemi culturali della nostra epoca», spiega Giacomo Zaza curatore di questa d'arte rassegna promossa dal Comune di Molfetta e dalla Provincia di Bari. Dunque, proprio da questa idea “eversiva” nascono le sue opere: l'ingigantimento delle icone propinate dai media trasformate in sculture paradossali e grottesche. Oppure, l'allestimento di enormi giornali accartocciati, in alcuni casi realizzati in bronzo, che arrivano a ingombrare lo spazio espositivo a tal punto da creare disagio e disturbo fisico. La presenza dell'artista cinese è uno dei punti di forza dell'evento. «Il fare artistico di Wang Du – continua Zaza – si basa sulla manipolazione dell'universo iconografico connesso ai mezzi d'informazione di massa. Wang Du è consapevole che la comunicazione, il diritto di informare e di essere informati, la libera manifestazione del pensiero intesa come fondamento della democrazia, sono messe in ombra dalla censura e dagli interessi economici che trasformano l'informazione in un'asettica e acritica raccolta di testi, immagini, dati statistici, verità mischiate a falsità.» Wang Du (Cina, 1956) Il fare artistico di Wang Du si basa sulla manipolazione dell'universo iconografico connesso ai mezzi di informazione di massa. Se si guardano con attenzione gli interventi scultorei e ambientali, ciò che ne deriva è una disillusione, a volte in modo ironico, dei miti fittizi della società contemporanea, compresi quei fenomeni culturali, aimè folkloristici, assicurati dalla macchinazione politico-economica che sottende al capitalismo globale. Wang Du è consapevole che la comunicazione, il diritto di informare e di essere informati, la libera manifestazione del pensiero intesa come fondamento della democrazia, sono messe in ombra dalla censura e dagli interessi economici che trasformano l'informazione in una asettica e acritica raccolta di testi, immagini, dati statistici, verità mischiate a falsità. La sua reazione si esprime, da una parte, mediante l'ingigantimento delle icone propinate dai media, trasformate in sculture paradossali e grottesche, dall'altra, attraverso l'allestimento di enormi giornali accartocciati, in alcuni casi realizzati in bronzo, che arrivano a ingombrare lo spazio espositivo a tal punto da creare disagio e disturbo fisico. Il suo gesto eversivo contro i sistemi culturali della nostra epoca continua anche come sottoforma di “onnipresenza” in qualità di uomo-media, con l'istrionica dichiarazione “I'm the reality, Wang Du” riportata spesso su manifesti affissi per le strade urbane, a contatto diretto con la dimensione collettiva della comunità. La fascinazione verso il mondo dei simulacri asservito al consumo ossessivo induce a giocare sul limite del fittizio e dell'artefatto. Per il progetto “Mamma Mia!”, in occasione di “Arte all'Arte” a San Gimignano, Wang Du non guarda la "storia reale" del luogo o l'“identità artistico-architettonica” della città di San Gimignano con le sue torri, ma chiama in causa la moda dell'esotico e il “piacere culturale” standardizzato dal cliché turistico. L'opera creata in Toscana acquista le sembianze di un oggetto di culto scovato nella terra, degno di essere “contemplato”. A ben vedere, più che un resto di antiche genti, si svela essere la simulazione plastica di un oggetto appartenente ad un tempo remoto: l'immagine di uno scarto trovato per strada, di un comune vaporizzatore. Il turista bramoso di mete “da svago” ne potrà interpretare l'aspetto anomalo come caratteristico di un oggetto volante proveniente dal cosmo, ovviamente tutto domestico, proprio di un supermercato. L'artista cinese utilizza immagini già predisposte ed inserite nel marketing mediatico, al fine di porre l'accento sulla “malattia consumistica globale” nell'era postmoderna. Non fa che trasmettere una sorta di ambivalenza, quale parodia alla vita economica e sociale. Parla di “Réalité jetable”, una “meta-realtà” fatta di un flusso convulso e perpetuo di immagini, concepita a partire da una realtà immaginata e irreale, prossima all'illusione, che, in virtù della sua entità artefatta, può diventare un oggetto di consumo, da utilizzare e in seguito da gettare. L'uso dell'immagine, quale mezzo per carpire la società, assume un ruolo primario nel lavoro di Wang Du. Tuttavia i dati catturati dalla realtà vengono resi tridimensionali, restituiti in veste di grandi insiemi teatrali, gruppi di personaggi e oggetti realizzati in resina e carta. Così la Wang Du Parade, evento itinerante con quattro diverse installazioni in Francia nel 2004, esibisce le notizie sulla guerra divulgate dai giornali cinesi; mentre Marché aux Puces, grande installazione esposta alla Biennale di Venezia nel 1999, mette in scena una sfilata fatta di personalità del mondo mediatico, come Monica Lewinsky e Yasser Arafat; oppure Les travaux du corps e Enter! in cui sono riprodotte, in scala monumentale e tridimensionale, figure tratte dall'area dei magazines e delle pubblicità commerciali. I giornali appaiono un materiale utile a sottolineare l'invadenza dei mass-media nella società, aiutano a svelare la presenza di un mondo parallelo, quello dell'informazione, non sempre veritiero e attendibile, sebbene quotidianamente “consumato”. Tuttavia Wang Du precisa: “io non giudico, non denuncio. Io mostro nella mia maniera”. Le foto e le immagini con episodi di guerra, avvenimenti di politica internazionale e personalità dello spettacolo, si materializzano in opere enormi, metafore di una scena della realtà che si alimenta di un mix di esistenze e di esperienze multimediali, tra notizie televisive e questioni vissute su internet, tra social network e blog, tra scoops d'effetto e pettegolezzi “di corridoio”. L'ultima installazione International Kebab, una torre di carta, atta a simulare un gigantesco kebab di nove metri d'altezza, vuole essere l'atto di un divoramento d'immagini spropositato e spettacolare. Al posto delle usuali fette di carne, sfilacciate nei ristoranti turchi o greci per il kebab, si ritrovano, accatastati gli uni sugli altri, circa mille ingrandimenti fotografici scattati da Wang Du in Cina, intorno alla vita di ogni giorno della gente comune, riguardo la sfera impersonale della loro esistenza. In questa installazione lo spettatore è invitato ad accostarsi vicino l'imponente “torre di Babele”, e a sezionare, munito di coltello, i bordi delle fotografie-poster, quasi a cibarsi velocemente del corpo vertiginoso riferito alle tracce visive della società cinese.
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