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A confronto i 4 candidati del Senato FORUM a Quindici: Azzollini (Casa delle Libertà), Ciani (Rifondazione Comunista), Contò (Democrazia europea) e Minervini (Ulivo)
15 aprile 2001

Sebbene pare non se ne sia accorto nessuno, dal momento che l’attenzione dell’opinione pubblica molfettese sembra essere del tutto catalizzata dalle elezioni amministrative, il 13 maggio saremo anche chiamati a scegliere quale coalizione di governo dovrà guidare il Paese nei prossimi cinque anni e quindi quali dovranno essere i nostri rappresentanti in Parlamento. Un momento della nostra vita democratica di particolare importanza che sta mobilitando tutta l’Italia in una campagna elettorale particolarmente accesa ma che Molfetta dà l’impressione di vivere “in tono minore”, troppo coinvolta, almeno fino al momento in cui scriviamo, dal confronto sui candidati sindaci, nell’attesa che più a ridosso della scadenza elettorale, anche la competizione politica scaldi il clima della complessa disputa elettorale. Noi abbiamo ritenuto opportuno focalizzare la nostra attenzione, per quanto concerne le elezioni politiche, sulla corsa al Senato che vede in campo per i due schieramenti più rilevanti i rappresentanti che, senza ombra di dubbio, hanno, per ragioni diverse, maggiormente caratterizzato la scena politica molfettese degli ultimi anni e cioè l’ex sindaco di Molfetta, Guglielmo Minervini (candidato al Senato per l’Ulivo) e il senatore uscente Antonio Azzollini (ricandidato dalla Casa delle Libertà). A tal proposito e al fine di rendere una informazione corretta e plurale, abbiamo organizzato un forum, presso la sede della nostra redazione, che consentisse ai due candidati molfettese, ma anche ai candidati al Senato di Democrazia Europea (il prof. Franco Contò, biscegliese) e di Rifondazione Comunista (dott. Enzo Ciani, anch’egli biscegliese) che prevedibilmente giocheranno un ruolo importante in questa contesa, condizionando sicuramente il risultato finale in un senso o nell’altro, un confronto sereno su temi di particolare rilevanza e attualità. Al forum hanno partecipato per QUINDICI il direttore Felice de Sanctis e i redattori Lella Salvemini, Francesco del Rosso e Giulio Calvani. QUINDICI - In primo luogo volevamo chiedervi quale sarà il vostro approccio nei confronti degli elettori in merito alle questioni locali e come credete di poter essere utili, una volta eletti in Parlamento, per risolvere le problematiche del territorio, del collegio, che vi ha eletto. Azzollini: Per quanto mi riguarda in primo luogo non posso che presentarmi per quel che ho fatto in Parlamento, dal momento che ritengo opportuno presentare ai miei elettori il resoconto di quanto fatto in questi anni e sarà mia premura fare questo durante tutta la campagna elettorale. Certamente il Parlamentare è esponente di una coalizione politica di cui condivide il programma e le iniziative che la stessa coalizione prende. Ma compito importante del Parlamentare è quello di rappresentare all’interno dell’attività legislativa corrente, le istanze del proprio territorio e della gente che lo ha espresso. Certo, la mia esperienza di senatore di opposizione non mi ha consentito sempre di poter rispondere compiutamente a questa esigenza, ma spero da Parlamentare di maggioranza, se la Casa delle Libertà dovesse vincere, di poter, all’interno del programma politico della mia coalizione, meglio rispondere alle istanze della mia gente. Per far questo occorre ascoltare e comprendere le esigenze dei propri elettori nei diversi temi dello sviluppo, della sicurezza o della cultura e portarle all’interno dell’attività legislativa. Per quanto mi riguarda, attraverso il mio impegno come vice Presidente della Commissione Bilancio mi è stato possibile, con grande sforzo e dalla opposizione, ottenere finanziamenti già operativi sia per le Chiese del Romanico Pugliese del mio collegio, sia per il Porto della città di Molfetta oltre ad aver potuto proporre e vedere, con grande soddisfazione approvate nel corso della legislatura, una serie di leggi in favore della nostra gente. Contò: Cominciamo col dire che dopo aver svolto per sette anni l’incarico di sindaco di Bisceglie fino al ’93, mi sono impegnato come consulente tecnico di tutta una serie di Amministrazioni locali (Comuni e Province) all’interno del territorio meridionale, su tematiche relative all’economia dello sviluppo. Ho quindi maturato una esperienza nella gestione dei fondi comunitari e soprattutto nella progettazione di programmi relativi allo sviluppo locale. Questa mia candidatura nasce fondamentalmente da due considerazioni, l’una di natura politica l’alta più eminentemente tecnica. La motivazione politica della mia candidatura si può facilmente riscontrare nello scempio al quale si sta assistendo in questi giorni per quanto concerne la “spartizione” dei collegi: noi non crediamo alla logica bipolare, non crediamo che in Italia esistano due Poli, ma solo due aggregazioni che già per tenersi unite hanno i loro problemi e che quindi non possono avere programmi comuni e condivisi da tutte le forze politiche che costituiscono ognuna delle due aggregazioni. Il nostro principale punto programmatico e quindi la nostra grande scommessa elettorale è quella di cambiare la legge elettorale in questo Paese in senso proporzionalista, perché riteniamo che attualmente è negato al cittadino un diritto fondamentale e cioè quello di scegliersi un partito ed all’interno di questo colui al quale affidare il proprio voto. E’ evidente infatti che i candidati delle due principali aggregazioni non sono scelti dal basso e cioè dai cittadini, ma imposti dall’alto, per seguire logiche incomprensibili che portano a Trani Gabriella Carlucci come candidata del Polo ed in questa città l’ottima deputata uscente, Rosanna Moroni, toscana. L’altra ragione che mi ha indotto a candidarmi è più tecnica: ritenendo di aver maturato in questi anni nella duplice veste prima di amministratore poi di tecnico, una sufficiente capacità ed esperienza e credo di poter partire da queste per servire utilmente a questa comunità. Minervini: Per quanto riguarda la descrizione del modello di interazione tra Parlamentare e il territorio credo che senza dubbio il Parlamentare nel concorrere alla formazione delle leggi, non può che partire dalla sua realtà, portando il carico di bisogni, di attese ma anche di potenzialità e progettualità che vi sono nell’ambito del territorio di cui è espressione. Per quanto concerne proprio i Comuni che costituiscono questo nostro collegio, mi pare di poter dire che un elemento caratterizzante che ho potuto constatare anche nella mia esperienza di sindaco, sia proprio da ritrovarsi nelle dinamiche relative allo sviluppo. Questa non è un’area remissiva, ma ha notevoli potenzialità ed energie, dimostrando una certa reattività economica, che parte dal basso, che chiede alla politica di essere accompagnata e non ostacolata. Credo che questo dello sviluppo sia un elemento caratterizzante per tutti i Comuni che compongono il collegio, sebbene essi abbiano specificità e vocazioni profondamente diversi tra loro. In ogni caso ritengo sia un’area territoriale che ha notevoli potenzialità e che quindi merita una adeguata rappresentanza politica e parlamentare anche sul piano della costruzione legislativa. Ciani: La scelta della mia candidatura, espressa dalla Federazione Provinciale mi ha trovato felice di aderire, al fine di esprimere il massimo che il Partito della Rifondazione Comunista possa ottenere, per portare avanti una politica che non sia solo strettamente limitata al collegio, ma di più ampio respiro nazionale che abbia al centro le grandi problematiche sulle quali il Prc fonda il proprio agire e alle quali gli ultimi governi del centrosinistra non hanno saputo dare risposte concrete. La nostra scelta politica di essere in questa competizione elettorale autonomi e forza alternativa nasce dalla difficoltà di dialogare con il governo nazionale di centrosinistra e dalla scelta dissennata dell’Ulivo di non aver voluto cambiare una legge nazionale che in questi giorni sta dando vita a “marionettate” come quelle che si leggono sui giornali e che devono far pensare alla necessità di una revisione del sistema elettorale. Ma anche sul tema delle politiche sociali e relative alle tematiche del lavoro, si evidenzia l’antagonismo del nostro partito rispetto alle scelte del centrosinistra e, a maggior ragione, rispetto all’atteggiamento fortemente reazionario del centrodestra. Per cui l’espressione del nostro partito in questo collegio non può che essere coerente con le scelte politiche compiute a livello nazionale che mirano ad una migliore e più equa distribuzione della ricchezza all’interno del nostro territorio e della nazione complessiva. QUINDICI - Entrando più nel merito delle questioni politiche che sono oggi al centro del confronto tra gli schieramenti, volevamo conoscere il vostro parere in merito alla legge di revisione costituzionale sul tema del federalismo recentemente approvata dal Parlamento. La considerate soddisfacente e credete risponda all’esigenza di quel “federalismo cooperativo” che si opponga al “federalismo competitivo” voluto da molti governatori delle regioni del Nord? E qual è il vostro parere in merito a quel “federalismo fiscale” di cui tanto si parla e che si teme possa avvantaggiare le regioni settentrionali a discapito di quelle meridionali? Azzollini: Premesso che oggi lo Stato può solo operare trasferimenti in favore delle regioni meridionali, e non finanziamenti, che sono competenza esclusiva della Unione Europea, io partirei proprio dal considerare il termine “trasferimento” come una brutta espressione che riporta ad un concetto che non solo il Nord respinge, ma anche il Sud non vuole perché presuppone il trasferimento di una qualche cosa che uno Stato centrale distribuisce, sulla base di esigenze non espresse e di parametri non definiti. A questo proposito occorre dire che nell’ipotesi di federalismo presentata dalla Casa delle Libertà, i fondi compensativi in favore delle regioni più svantaggiate rimangono, d’altra parte non si propone l’idea che il Sud sia soggetto destinatario dei trasferimenti, ma vogliamo che nel Mezzogiorno si attuino politiche attraverso le quali si produca reddito e si avanzi verso lo sviluppo. Questo il senso del federalismo al quale dobbiamo abituarci. Quindi noi crediamo che occorrano finanziamenti verso le aree depresse che vengano identificate come tali sulla base di un parametro credibile che è quello del reddito pro capite, ma tali finanziamenti devono servire ad una crescita endogena di queste zone. Per quanto riguarda il federalismo dal punto di vista istituzionale io sostengo il principio della sussidiarietà e quindi l’idea di una normativa residuale man mano che si sale verso l’alto e verso lo Stato centrale, e questo non può far altro che avvicinare le istituzioni alla gente. Lo Stato deve fare tutto ciò che non può fare prima il Comune, poi la Provincia poi la Regione. Questo il principio di fondo che ci sembra non sia stato correttamente accolto nella legge sul federalismo approvata dal centrosinistra. Contò: Io vorrei far rilevare una contraddizione che emerge sempre nel parlare di queste tematiche. Da un lato cerchiamo di sottolineare la necessità che cresca e si affermi un modello di sviluppo che parta dal basso attraverso un’azione che è più di natura culturale che economica, e dall’altro poniamo il tema del federalismo cooperativo che ha alla base il grosso problema fiscale che è di natura nazionale e che può essere decentrato solo in misura marginale. Quindi siamo schiacciati da due questioni che determinano una contraddizione che occorre risolvere: da un lato la necessità di uno sviluppo locale e di un recupero di identità che consenta di fronteggiare il fenomeno della globalizzazione, e dall’altro la questione del fisco che è nazionale e centralizzato, e può essere modificato solo attraverso una revisione della Costituzione. In questo contesto occorre inserire la problematica relativa al Mezzogiorno, dal momento che non potrà esistere la crescita e lo sviluppo di tutto il Paese, e quindi il recupero di competitività di questo, all’interno del panorama europeo se non si risolve la questione meridionale. E’ evidente che se si applica “sic et simpliciter” una forma di federalismo fiscale asettica, in un’area come questa in cui ci sono meno imprese e meno famiglie rispetto al Nord, e dove quindi si genera un reddito inferiore e si pagano meno imposte, si condanna il Sud a rimanere sempre molto indietro. Dire quindi che le dinamiche di crescita dal basso saranno nei prossimi anni talmente autosufficienti da riportare queste aree nella condizione di correre alla stessa velocità del settentrione e di tutta Europa, non mi sembra corretto. A questo punto quello che viene definito “federalismo cooperativo” è l’unico strumento in grado di risolvere i problemi del Mezzogiorno d’Italia, posto che occorre pur sempre risolvere quella contraddizione di cui parlavo all’inizio tra uno sviluppo endogeno, che parta dal basso, delle nostre zone, e un fisco che è tuttora centralizzato e nazionale, e questo non si può fare se non attraverso una precisa scelta d’ordine costituzionale. Minervini: Mi trovo a dover condividere l’analisi, che definirei solidarista, sul tema del federalismo, espressa dal sen. Azzollini, sebbene mi pare evidente che questa sia assolutamente in disaccordo con quella che in questi stessi giorni l’on. Bossi, suo alleato in coalizione, va sostenendo. E’ evidente quindi che all’interno della coalizione di centrodestra ci sia un conflitto su questi temi. Credo che la legge recentemente approvata dal Parlamento costituisca un ottimo punto di equilibrio tra due esigenze della società entrambe fortemente sentite: da un lato quella di restituzione del massimo dei poteri in tema di sviluppo al territorio e alle comunità, elemento, questo, che non può che essere valutato come estremamente positivo perché contribuisce a creare un rapporto solido tra cittadini e istituzioni. D’altro lato, però, c’è la legittima esigenza di riservare alle istituzioni la funzione di perequazione, cioè di temperare le disuguaglianze, di fare in modo che tutti possano competere nelle stesse condizioni. Quindi, necessariamente lo Stato deve intervenire sostenendo in maniera rilevante quelle aree che partono svantaggiate, e questo mi sembra un principio basilare, solidarista, che rimanda ad una concezione di “sussidiarietà verticale” che nel polo di centrodestra, dopo l’alleanza con Bossi, evidentemente manca. Credo che la legge sul federalismo approvata dal centrosinistra recepisce questo che è un principio politico, piuttosto che un espediente tecnico, e costituisce il punto di equilibrio più avanzato tra queste due esigenze. Ciani: Il principio del federalismo inteso come sussidiarietà può darsi pure che venga recepito all’interno della legge approvata, ma il problema vero è che tale principio non si riferisce ai problemi comuni della gente, ma esclusivamente ai poteri forti del nostro Paese che grazie alla loro influenza anche economica stanno condizionando la classe politica. Con questa legge il centrosinistra non fa altro che riprendere una battaglia della destra, senza in alcun modo venire incontro a quelle che sono le istanze di realtà come la nostra, e senza provare ad opporre alla logica imperante della globalizzazione un modello di sviluppo alternativo. Servirebbe, quindi, una equa redistribuzione dei redditi che parta anche dall’attività delle piccole e medie imprese locali, che devono operare non nel senso speculativo, ma in quello cooperativistico, cioè attraverso la cooperazione tra dipendenti e datori di lavoro, che potrebbe permettere un arricchimento complessivo di entrambe le categorie. Proprio su questi temi è evidente la giustezza della nostra scelta di correre da soli, per consentire di dare agli elettori la possibilità di scegliere anche in favore di una alternativa di sinistra ad un modello accolto da entrambi gli schieramenti principali. QUINDICI - Sul tema dello sviluppo i recenti governi di centrosinistra hanno introdotto strumenti di programmazione negoziata, quali patti territoriali, i contratti d’area e gi accordi di programma. Credete che questi abbiano funzionato e sia il caso di incentivarli? Azzollini: Partendo dalla mia esperienza di vice-presidente della Commissione Bilancio, posso testimoniare come le procedure per attivare questi strumenti di programmazione negoziata fossero, almeno nella fase in cui furono introdotti, estremamente farraginose e determinassero tempi lunghissimi sia per le imprese che per le Amministrazioni locali coinvolte. I veri problemi che i contratti d’area e i patti territoriali hanno evidenziato sono stati senza dubbio di carattere procedurale, quindi la nostra contrarietà non è stata tanto sul principio che è alla base di questi strumenti, ma sugli ostacoli di carattere legislativo che vi erano frapposti. Credo inoltre che gli incentivi debbano essere predeterminati e molto precisi da un punto di vista temporale, in modo che le imprese possano avere un quadro di riferimento certo mentre le amministrazioni locali debbano impegnarsi al fine di rimuovere i vincoli amministrativi e fare tutto quanto di loro competenza per creare le infrastrutture idonee a rilanciare lo sviluppo. Il ruolo di incentivare l’attività economica spetta allo Stato e questo lo può svolgere solo creando un quadro di riferimento certo. Contò: Occorre, per rispondere a questa domanda, valutare in che misura questi strumenti di programmazione negoziata siano stati più efficaci rispetto agli altri previsti dalla legge, quali ad esempio la legge 488 che prevede un finanziamento diretto dell’ente erogatore all’impresa privata che lo trasforma in investimento, quale cioè il valore aggiunto che un patto territoriale o un contratto d’area ha apportato. Si erano introdotti questi strumenti perché si riteneva che mettendo a rete sul territorio locale quelle che sono le sinergie economiche, poteva crearsi una logica distrettuale e di infrastrutturazione tra i Comuni del patto territoriale o del contratto d’area. Questo presupponeva che le Amministrazioni fossero attive protagoniste in questa dinamica e non semplici mediatrici tra l’ente erogatore e il privato, perché facendo così si sono create quelle farragionosità a cui faceva riferimento il sen. Azzollini. Andando a vedere le applicazioni pratiche si può sostenere che il Patto del Nord Barese ha svolto meglio quel ruolo per il quale erano stati pensati questi strumenti rispetto a quello della Conca Barese dal momento che questo ha fatto esclusivamente da mediatore, non apportando nessun valore aggiunto. Alla base quindi c’è un fondo di positività in questi strumenti, nel senso che questi costituiscono quelle regole che devono accompagnare la crescita e lo sviluppo, però nella applicazione pratica, a parte qualche eccezione, non hanno brillato molto. Minervini: Il governo dell’Ulivo ha avuto il grande merito di aver introdotto una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda gli strumenti di intervento nel meridione. Si usciva dal tracollo di esperienze come quella della Cassa del Mezzogiorno, basata su una concezione centralistica, e poi gradatamente hanno cominciato a prender corpo strumenti che si inquadravano in una strategia totalmente diversa che avevano alla base principi come lo sviluppo locale e la concertazione. Ed è stata quella una risposta appropriata anche ai fenomeni di globalizzazione che stavano e stanno scompaginando il quadro sia politico che economico: il sostenere i processi di coesione e competizione del territorio è l’unico modo per rispondere a quelle dinamiche che stanno avvenendo al di sopra degli Stati ed indipendentemente dagli Stati. Convengo sul fatto che questi strumenti hanno subito progressivi adattamenti proprio al fine di renderli più snelli e meglio attuabili, dal momento che accusavano soprattutto nella prima fase un eccesso di burocrazia, ma oggi a cinque anni di distanza possiamo fare un bilancio molto diverso rispetto all’inizio dal momento che gli strumenti si sono perfezionati. Anche su questo terreno c’è stato uno sforzo notevole di reimpostare in senso moderno le politiche a sostegno del Mezzogiorno d’Italia, rispondendo alle attese e alle potenzialità di sviluppo che quest’area stava dimostrando, responsabilizzando e facendo in modo che fosse il territorio a farsi protagonista del proprio destino. Credo che questa cultura adesso cominci a radicarsi nel costume sia degli imprenditori che della politica ed in ogni caso aver avviato un processo di riflessione che partisse dal basso su quali potessero essere, nei prossimi anni, i settori di sviluppo per queste aree lo considero di per sé un bene. Senza dimenticare che con i due Patti nel nostro territorio siamo riusciti a portare finanziamenti per più di 70 miliardi, e francamente non credo sia una misura irrilevante ai fini del nostro sviluppo. Ciani: Necessariamente mi trovo nella condizione di dover impostare il discorso relativo allo sviluppo in modo un po’ diverso rispetto a quanto fatto da chi mi ha preceduto. Fin qui si è parlato di sviluppo solo nei termini di impresa, quasi che esclusivamente attraverso questa si possa creare economia e quindi sviluppo. Questa è una impostazione da molti condivisa, ma non è l’unica. Sviluppo e lavoro possono passare anche attraverso altro, come per esempio il recupero e la valorizzazione dei nostri territori, oppure attraverso interventi contro il dissesto idrogeologico che interessa molte zone del nostro territorio e che nessuna impresa sarà interessata a mettere in atto, ma che non possono che essere problematiche a carico dello Stato che quindi in questo modo può creare lavoro e stabilità al di fuori della logica di impresa. Ma penso anche a scuola o sanità, settori nei quali un maggiore intervento del pubblico può creare da un lato maggiori possibilità di lavoro e, dall’altro migliorare i servizi ed opporsi alla logica imperante della privatizzazione. Su questi e su tanti altri temi si marca la differenza tra l’impostazione dei due poli e quella alternativa ed antagonista di Rifondazione Comunista. Giulio Calvani
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