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“Le strade che ridono”, cinquemila spettatori Intervista al direttore artistico del Festival “Ti fiabo e ti racconto”, Vito d’Ingeo
15 settembre 2001

Cinquemila spettatori, grandi e piccini, e chissà quante altre centinaia di ragazzi hanno preso parte alle molteplici iniziative del progetto collaterale “Le strade che ridono”. Sono solo alcuni dei numeri della sesta edizione del Festival di Teatro Ragazzi “Ti fiabo e ti racconto”, tenutosi a Molfetta dal 30 agosto al 4 settembre. Per capire cosa ci sia dietro l’organizzazione di una manifestazione che anche questa volta ha raccolto così tanti consensi anche dal resto del Barese e della Puglia, abbiamo incontrato Vito d’Ingeo, direttore artistico del Festival e della compagnia Teatrermitage. L’occasione giusta, insomma, per capire cosa c’è dietro le quinte della macchina organizzativa del Festival. Cos’è cambiato quest’anno per “Ti fiabo e ti racconto”? “Rispetto all’edizione dell’anno scorso ci sono state molte novità, diciamo pure determinate anche da fatti contingenti. Il Festival e il Premio ‘L’Uccellino azzurro’ hanno bisogno di tempi organizzativi piuttosto lunghi per l’individuazione degli spettacoli, per la selezione dei giurati e per il reperimento delle risorse finanziarie. Ma anche trovare il presidente della giuria non è così facile come sembrerebbe. Di norma, a febbraio iniziamo a lavorare sulla manifestazione, conoscendo già pressappoco l’entità dei finanziamenti. Quest’anno, però, a causa delle elezioni politiche e amministrative abbiamo invece cominciato a “ragionare“ con l’Amministrazione Comunale solo a metà giugno ed abbiamo avuto la certezza “orale” del finanziamento a fine mese. Data l’esiguità dei fondi a disposizione e i tempi ristretti, abbiamo così deciso di modificare le caratteristiche della giuria: diciotto ragazzi (9 maschietti e 9 femminucce) non più provenienti da altre regioni d’Italia, ma dalla sola Puglia, ed un presidente di giuria “di cultura” anziché “di spettacolo”, perché meno costoso. Con queste scelte siamo stati quindi costretti a penalizzare e mortificare proprio la natura del Premio”. Ma perché tutte queste puntualizzazioni? “In effetti, qualcuno ha ritenuto troppo alto il costo di “Ti fiabo”. Inviterei chi ha fatto queste affermazioni a farsi un ‘giro di valzer’ con noi per verificare di persona quanta fatica e quali spese comporta l’organizzazione del Festival e delle sue attività collaterali. Prova ne sia il fatto che abbiamo dovuto integrare i fondi comunali con il contributo dell’Amministrazione Provinciale di Bari e di alcuni sponsor e, ovviamente, con lo sbigliettamento. Solo con la bacchetta magica si potrebbe fare altrettanto con risorse inferiori”. Se la sente di tirare le somme di questa edizione del Festival? “Il bilancio della manifestazione è da considerarsi senz’altro positivo non solo per il consenso in termini di quantità (il pubblico affluisce ormai da tutta la ragione) e per il grande interesse che ha mostrato la critica e la stampa, ma anche per il numero di operatori che siamo riusciti a coinvolgere (circa cento tra organizzatori, esperti ed operatori teatrali). Abbiamo lavorato nella duplice direzione dell’affermazione di Molfetta in campo nazionale, attraverso il Festival e il Premio, e della valorizzazione delle risorse umane, culturali e commerciali presenti sul territorio, attraverso la novità del cartellone “Le strade che ridono”. Con “Le strade che ridono”, abbiamo voluto coinvolgere il maggior numero possibile di bambini (magari di quartieri lontani dai luoghi del Festival) affinché si appropriassero, attraverso il gioco e la creatività, di alcuni spazi urbani, riscoprendone anche il fascino. E’ stata una scommessa, dato il considerevole sforzo organizzativo da mettere in campo, che abbiamo vinto e che ha fatto di Molfetta l’unica città della Puglia, se non del Mezzogiorno, in grado di offrire all’infanzia uno spazio estivo così ampio e qualificato. Molfetta, ormai, nell’immaginario infantile è la città di “Ti fiabo e ti racconto”, una manifestazione di sicuro prestigio per l’intera città. Nell’esperienza de “Le strade che ridono”, inoltre, abbiamo interagito con due partner fortemente radicati nel territorio, nonché espressioni dei settori portanti della economia cittadina: l’associazione dei commercianti Molfetta Shopping e l’Assopesca. Esse ci hanno sostenuto e hanno condiviso con noi l’idea che la cultura e lo spettacolo possono essere veicolo di promozione del territorio. Una sfida risultata vincente”. Ma la città dei ragazzi come ha reagito? “La partecipazione al Festival è stata alta ed alcune sere si era in più di mille all’ Anfiteatro, ma è stata straordinaria anche la risposta alle attività collaterali. Il grande Dragobruco, lungo sessanta metri, che doveva sfilare per la città sorretto da 30 bambini o meglio da 60 gambe per ogni tratto prestabilito, è stato animato da oltre seicento ragazzi, ognuno dei quali era accompagnato da almeno un genitore! Tutte le altre manifestazioni decentrate sul territorio hanno coinvolto un numero di bambini più ampio del previsto. E questo accade solo quando il valore delle manifestazioni è qualitativamente alto. Ma la qualità ha i suoi costi e, decisamente, non può essere frutto dell’improvvisazione. Mancavano nel Festival compagnie meridionali. Come mai? Le assenze, come dire, sono giustificate. Innanzitutto non c’erano sul mercato molti spettacoli in linea con le caratteristiche del Festival (allestimenti di testi legati alla tradizione letteraria) e quelli che c’erano, magari erano di dimensioni ridotte o troppo costosi o, ancora, non disponibili per le date richieste. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, impresentabili”. Parliamo dei progetti futuri. Chiudendo la manifestazione, il sindaco Tommaso Minervini ne ha promesso la sua continuità? “L’impegno del sindaco Minervini ci lusinga e ci impegna a fare ancora meglio. Tuttavia è assolutamente fondamentale avere tempi organizzativi più ampi e risorse economiche meno modeste di quelle avute a disposizione quest’anno. Solo così potremo ripristinare la giuria nazionale, che è un punto di forza del Premio, e connotare ulteriormente l’identità del Festival, magari facendolo diventare internazionale.
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