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Risacca e mare grosso: se non è sicuro, che porto è? La rivolta dei marittimi molfettesi
Sotto processo il nuovo porto: il molo in costruzione sta funzionando da tappo, nel porto di Molfetta nei giorni di maltempo è il caos. Danni alle imbarcazioni
15 novembre 2009
Afferma la teoria del caos che il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo. Fu il matematico statunitense Lorenz a teorizzare, negli anni ’60, come dal più piccolo, impercettibile movimento o evento, a grande distanza potesse rispondere un eff etto esponenzialmente più importante. E devastante. Accade, molto più ad oriente e in scala molto più ridotta, in un comune di provincia con velleità di grande località marittima, che la costruzione di un lungo braccio di cemento, in mare, rischi di provocare disastri, e in parte lo stia già facendo, a poche centinaia di metri di distanza. Immaginiamo Molfetta, quindi, con il suo nuovo porto, come il modello in scala che Lorenz avrebbe sognato: la costruzione del nuovo molo, in località Madonna dei Martiri sta causando, quando la sua costruzione non è ancora ultimata e con un inverno soltanto alle porte, letteralmente un cambio di aspetto ma anche di funzionalità del porto già esistente. Con eff etti tra il minaccioso e il drammatico. Passando in rapida digressione dalla matematica alla letteratura, c’è una locuzione, un clichè, stereotipo che dir si voglia, l’immagine stessa della quiete. Il Porto Sicuro, quell’approdo a cui le vite più tumultuose dei poeti, spesso senza arrivarci, anelano. UN PORTO POCO SICURO Il porto sicuro a Molfetta non esiste: adesso, come sottolineano marittimi, comandanti, armatori, paradossalmente il porto di Molfetta rischia di trasformarsi in una trappola. “Siamo più sicuri in mare aperto che non nel porto”, è la frase più infl azionata. Ed incredibile. Stavolta non chiediamo l’ausilio della fisica per spiegare qualcosa di abbastanza desumibile, e forse prevedibile (ed è una prevedibilità che desta inquietudine). Una volta, ci raccontano, il “mare grosso” frutto del vento di tramontana o di maestrale (ma non soltanto) aveva sfogo proprio lì, sulla costa nei pressi della Basilica. Un porto “a due braccia”, proteggeva le acque al suo interno, e varcata quella soglia, quella cioè concomitante con i due moli, entrando all’interno del bacino compreso tra i due moli (“pennello” e “foraneo”), una nave, una imbarcazione da pesca, da diporto, erano al sicuro. Già, il porto sicuro. Oggi, abbiamo un terzo molo in costruzione, un terzo braccio ancora incapace di “abbracciare” i suoi colleghi, ma suffi cientemente capace di svolgere il ruolo di barriera frangifl utti, se non di autentica diga, da “tappo”, se preferite. Perché, appunto, i fl utti non si frangono, neanche un po’: tornano letteralmente indietro, e nei giorni, per ora soltanto al loro timido primo vagito stagionale, di mare grosso, l’intero porto è una gigantesca risacca, con effetti allarmanti. Tre imbarcazioni colate a picco, da ormeggiate quali erano, solo nell’ultimo fi ne settimana di ottobre. Un motoscafo letteralmente “aperto”. E danni per tante imbarcazioni di ben altra portata. C’è chi ha scelto, nell’ultimo sabato di ottobre, di ormeggiare addirittura all’interno del porto , ben distanti, a decine di metri, dal molo. LA FUGA DALLE BANCHINE C’è chi ha preferito invece rifugiarsi nel porto di Mola di Bari, chi è riuscito invece ad attraccare nella zona ultima di Molo San Vincenzo, nella zona “commerciale”, quella destinata alle navi, tanto per intendersi. Non c’è distinzione, invece, tra chi si lamenta e dunque cerca di farsi ascoltare: in massa i marittimi, i capitani e gli armatori si sono rivolti in Capitaneria di Porto, dove si è potuto solo prendere atto del problema. Questo porto s’ha da fare, e a costruzione ultimata il problema dovrebbe risolversi. Ma non in tempi brevi: dovrebbero infatti essere aggiunti -così è stato riferito ai pescatori molfettesi- altri seicento metri al nuovo molo in costruzione, perché l’effetto “farfalla” sparisca. Quale sia il tempo necessario alla costruzione di seicento metri di molo (di fatto, in base alle dimensioni, un molo ex novo) è facilmente immaginabile. Con un inverno alle porte. Gli eff etti dell’autunno più rigido, dopo l’allarmata segnalazione di alcuni armatori, abbiamo potuto constatarli in prima persona: per i pescherecci che avevano scelto la zona più interna del porto per l’attracco, lesioni e scorticature, quando non autentici squarci, nello scafo, nei punti di inevitabile impatto con il molo, spinti dalla forza delle onde. Per i pescherecci attraccati invece nella zona del cosiddetto “Molo Pennello”, movimenti di beccheggio e di rollio tali da impedire qualsiasi operazione o manovra. Con un motoscafo semidistrutto, ormai una carcassa, depositato a riva, nella zona dei cantieri. In cui, neanche a dirlo, c’è il “tutto esaurito” in fase di riparazione danni. Qualcuno ha passato il fi ne settimana, quello dell’agognato riposo, fuori di casa, al vento, lì sul molo, per controllare la salvezza della propria barca che, rivela, ha un’asse che si è rotta, e non si sa quando e con che costi si potrà riparare. Perché gli uomini di mare molfettesi non parlano neanche di loro stessi, dell’ansia per sé e per la loro pelle, pur palpabile: parlano della loro imbarcazione, delle paure per essa, di come essa sia tutta la loro vita, e quella dei loro fi gli, di come debbano ancora fi nire di pagarla e no, non possono rischiare di perderla così. Perché la loro barca, “a noi non la ridà nessuno”. E’ una situazione nuova per chi legge, ma non per loro, che vi si sono confrontati per giorni e giorni, prima di rivolgersi tutti insieme alla Capitaneria. E adesso,c’è tanta paura e tanta esasperazione, verso chi ha fatto solo promesse in occasione dello sciopero dello scorso anno in cui, confessano, ci hanno solo rimesso di tasca propria, perdendo giorni di lavoro. Ci spostiamo di nuovo all’interno, sul molo foraneo, quello di Levante: in una serata, tutto sommato, “di quiete”, l’increspatura dell’acqua è evidente: ma lì,nella zona che, per il tipo di imbarcazioni che ospita, come navi da carico, dovrebbe essere la più sicura, tra le crepe dell’asfalto del molo, l’acqua gorgoglia. Chi ha contattato Quindici ha anche procurato un video, in questi giorni sul nostro sito,
www.quindici
- molfetta.it: è possibile vedere, sotto i piedi di chi riprende, di chi cammina sul molo, l’acqua marina letteralmente “bollire”, infiltrarsi e salire attraverso le fratture nell’asfalto, e inondare il molo. SI COSTRUISCE IL NUOVO PORTO DANNEGGIANDO IL VECCHIO Una realtà nuova e inquietante, che è impossibile non addebitare alla costruzione del nuovo porto commerciale, tasto sul quale battono i pescatori e gli armatori di Molfetta. Ciò che è possibile è capire perché il fenomeno non era stato previsto, o se era stato previsto ed è stato ignorato. E soprattutto, se eff ettivamente, a costruzione ultimata, gli eff etti scompariranno. E quanto ci vorrà. Tutte risposte che i marittimi vogliono, con ansia e rabbia. Perché non si può rischiare la vita, o la propria imbarcazione, per una risacca in un posto che, per antonomasia, per defi nizione stessa, per compito intrinseco, dovrebbe essere sicuro. Perché la barca, a loro, non gliela ridà nessuno. Per non parlare della sventura dietro l’angolo, che qualcuno vaticina. La rabbia, dicevamo. La loro rabbia non è al vento, benché di vento, quando ci parlano, ve ne sia eccome. La loro rabbia ha una destinazione precisa: e dunque, in realtà, forse il battito d’ali di farfalla che cerchiamo, il piccolo evento scatenante, non è neanche da addebitare alle gru, che da mesi depositano, sotto gli occhi della Madonna dei Martiri, quella che era lo sfogo dei marinai ma anche dei fl utti, blocchi di cemento su blocchi di cemento. Il battito di ali di farfalla è più sommesso, dal rumore impercettibile, come quello di una fi rma: una fi rma messa in calce, che autorizzava la costruzione del porto. Da chi ha messo quella fi rma, oggi, e subito, i marittimi di Molfetta vogliono risposte e garanzie.
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