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Pier Carlo Padoan e Dino Pesole a Molfetta per la rassegna Conversazioni dal Mare: il problema italiano si chiama debito pubblico
Padoan, Pesole, Patruno
10 settembre 2019

MOLFETTA - Se l’economia fosse decisa dietro il “velo dell’ignoranza” di cui parlava John Rawls, uno dei maggiori filosofi politici del Novecento, ossia nella maniera più equa e prepartitica possibile, in Italia non ci sarebbe da percorrere quel sentiero stretto su cui Pier Carlo Padoan, già Direttore esecutivo italiano al Fondo Monetario e già Ministro dell’Economia e delle Finanze, e Dino Pesole, editorialista de “Il Sole 24 Ore”, hanno scritto un libro, il cui titolo completo è “Il sentiero stretto... e oltre”.
È vero che il sentiero è reso stretto da vincoli come il debito pubblico e la mancata fiducia dei mercati nei confronti del governo, ma è anche vero che nella parola “oltre” sono racchiusi valori quali l’Europa, la formazione e la coesione.
Gli autori sono stati ospiti della rassegna “Conversazioni dal Mare”, organizzata dall’associazione Artemia, durante la quale hanno dialogato con il giornalista Lino Patruno, editorialista, già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno.
I primi interventi dell’incontro hanno riguardato il debito pubblico italiano e le decisioni in campo economico prese dal governo caduto pochi giorni fa.
«Il debito pubblico non può e non deve aumentare. Una ristrutturazione del debito pubblico tirerebbe in ballo i risparmi di moltissime famiglie italiane e bisogna ricordare che, all’interno di una crisi europea, sono i Paesi con il debito più alto a pagare le conseguenze peggiori. L’altra faccia del debito pubblico è rappresentata dalla crescita, aspetto che in Italia si percepisce veramente poco negli ultimi venti anni. La pubblica amministrazione non in tutti i casi lavora come dovrebbe e persino l’istruzione fallisce nel fornire ai giovani le competenze di economia adeguate ad inserirsi nel mondo del lavoro. Ridurre il debito pubblico non significherebbe solo dare al Paese la possibilità di crescere e di disporre di più risorse, garantendo stabilità, ma anche ridurre l’esposizione ad uno shock da cui diversi cittadini potrebbero non riuscire più a riprendersi» ha spiegato l’ex Ministro.
È stato invece Pesole a sostenere come il debito pubblico italiano sia ancora sostenibile, solo se adeguatamente gestito attraverso i meccanismi della previdenza.
Previdenza che, assieme alla rivitalizzazione del lavoro, si propone come obiettivo principale del reddito di cittadinanza, la cui introduzione è giudicata dai relatori confusa e poco efficiente, in quanto unico strumento per combattere due problemi le cui soluzioni sono differenti. Stessa consapevolezza per quanto concerne “quota 100”, provvedimento ritenuto dagli autori privo di impatto sull’occupazione.
«Tra i punti che dovrebbero essere posti in cima all’agenda di un governo c’è sicuramente il sostegno alle famiglie» ha aggiunto Pesole. «Offrire garanzie e occupazione a chi è ai margini della società dovrebbe diventare un’azione compatibile con i conti pubblici, per poter offrire una prospettiva nuova al Paese».
Ed è qui che il suo coautore ha introdotto una sfaccettatura del tutto innovativa.
«L’ingresso delle donne nel mercato ha generato, e continuerà a generare, beneficio per il Paese. Oltre a questo è necessario avere a cuore l’accesso libero per tutti alla scuola dell’obbligo ed investire il più possibile nel sistema educativo».
A partire da queste riflessioni ne sono scaturite altre in merito agli squilibri regionali che stanno danneggiando sempre di più il Meridione e che dovrebbero servire, invece, soltanto a delegare alcune decisioni a livello regionale, per poter gestire meglio ciò che è inevitabile discutere a livello centrale.
Sul modello del Canada e degli USA, il suggerimento dei relatori è quello di un sano federalismo fiscale, che inviti a rivedere i rapporti tra Stato e Regione meglio di quanto siano stati rivisti nel 2001, senza però perdere di vista l’unione e l’interesse nazionale. Riflessione pienamente condivisa da Patruno, che ha precisato come il Sud sia fortemente penalizzato da politiche che invitano i giovani ad emigrare perché non si investe quanto e come si dovrebbe nelle infrastrutture e nell’educazione.
«La crescita del Mezzogiorno viene vista come un ostacolo dagli abitanti del Nord, quando si dovrebbe considerarla una crescita per l’intero Paese. Il Sud è ricco di molte zone di eccellenza che però non sono valorizzate a dovere, persino la gestione della crisi aziendale è in una situazione di stallo. La colpa ricade su una politica poco attenta alle reali esigenze dei cittadini. Abbiamo bisogno di un governo che ci faccia ricredere su tutto questo e che sappia guardare a prospettive di medio termine, mettendo in risalto le potenzialità del Paese ed assumendosi i grandi meriti ma anche le grandi colpe fino a questo momento compiuti» è questa la conclusione di Padoan in merito.
Di altrettanto spessore intellettuale le parole di Dino Pesole: «Il Meridione ha bisogno di politiche del Sud per il Sud. È un asset che andrebbe giocato in sede europea. Io credo fermamente nella nostra identità europea, nella nostra casa comune, nei nostri valori. Ho piena consapevolezza dei problemi che comporta il processo europeista, ma l’uscita dall’Europa rappresenterebbe per il nostro Paese una grande catastrofe, in quanto rappresentiamo la terza economia europea e siamo stati tra i Paesi fondanti di questo organismo. Non dimentichiamo che l’Europa non è l’orizzonte che risolve i nostri problemi, né la matrigna che abbatte il nostro Paese. L’Europa siamo noi».
Parole di cui andrebbero fiere personalità come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Coloni, che hanno affidato a noi la salvaguardia di quella che loro definirono, nel Manifesto di Ventotene, “la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli”.
Parole cui i giovani non dovrebbero credere in un atteggiamento fideistico, ma con le energie necessarie a far sì che quel sentiero, il loro sentiero, possa ampliarsi.
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