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Molfetta, un cittadino segnala a Quindici l'uso 'improprio' dei mezzi Asm. La presidenza risponde
11 dicembre 2011

MOLFETTA - «Ho visto alcune dipendenti usare alcuni mezzi aziendali (come le auto aziendali) per fini privati (tipo andare a lavoro, portare i figli a scuola, fare la spesa, ecc). Perché non fare una verifica sull’uso effettivo di ogni unità e mezzo, cosa fa, dove va, che mezzo utilizza?». Così un cittadino ha segnalato l’uso “improprio” dei mezzi Asm in una lettera a Quindici e, anche in questo caso, abbiamo cercato risposte in azienda.
«Rifacendomi a un’ordinanza precedente dell’azienda, ho ripristinato un protocollo sull’uso dei mezzi - ha spiegato il presidente dell’Asm, Giovanni Mezzina -, tutti i dipendenti che usufruiscono dei mezzi aziendali, che appartengono alla collettività, devono segnare su un modello apposito il motivo, l’orario e i chilometri di entrata e di ingresso».
In questo modo sarà possibile avere un controllo selettivo non solo dell’uso dei mezzi, ma anche dell’attività dei singoli dipendenti dell’azienda.
Tuttavia, «non vorrei che il cittadino apolide si sia lasciato confondere dal fatto che un nostro impiegato aziendale abbia preso alla stazione di Molfetta alcuni studenti dell’ITC di Barletta - ha aggiunto Mezzina - che, all’interno di un progetto scolastico, hanno eseguito uno stage in azienda».
 
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Autore: Q
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“Dimmi chi sono per te i diversi e come li escludi, e ti dirò chi sei”. In un suo racconto, - “La tana” -, Kafka c i mostra come una casa può diventare una prigione. Lo strano animale che la costruisce e la abita è ossessionato da un'unica idea, che qualcuno dall'esterno possa penetrare nella sua tana. Escogita ogni sorta di sistemi di sicurezza, trasforma la tana in un labirinto che solo lui conosce, ma poi, siccome un'entrata ci deve pur essere, è là che lui si colloca a spiare i pericoli esterni. Anzi, a un certo punto, con un gesto assurdo, decide di uscire dalla tana e nascondersi nei pressi dell'imbocco, per poter meglio controllare le mosse di chi dovesse arrivare. La morale che se ne trae è questa: “Più impazziamo a blindare il nostro IO (tana o casa che sia) più ci esponiamo all'invasione dell'altro, ottenendo dunque l'esatto contrario”....fino a che non saremo diventati stranieri a noi stessi, e non avremo imparato a stare nell'oscillazione della follia dell'altro, l'altro avrà per noi solo il sembiante più pauroso e ossessivo, quello descritto da Kafka. E la follia dell'altro, così bloccata in se stessa, ci renderà folli. Lo straniero, l'apolide e quindi il molfettese, è ritenuto inferiore per il timore che un innalzamento del suo livello di vita comporti per noi un precipitare al suo livello, fino a esserne sommersi, inglobati e risucchiati. L'ostilità verso lo straniero (l'apolide molfettese) nasce allora dal terrore del nostro declassamento, le cui cause vanno invece ricercate nell'indolenza e nella scarsa capacità di sacrificio tipica delle società opulente.



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