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Molfetta, IV Rapporto sulle povertà, lunedì 7 marzo nel Seminario Vescovile
04 marzo 2011

MOLFETTA - Famiglia, la principale vittima della povertà. La chiusura delle piccole e medie imprese (dall’edilizia alla ristorazione), soprattutto a Molfetta e dintorni, riduce il potere di acquisto delle famiglie, che sempre più numerose si rivolgono alla Caritas diocesana. Mancano le risorse finanziarie per arrivare a fine mese: non si riesce a pagare l’affitto di casa, a comprare alimenti di prima necessità e vestiario. Contraccolpo che avvertono soprattutto i figli.

Il IV Rapporto sulle povertà «Pieno compimento della legge è l'amore(Rm 13,10)», che sarà presentato lunedì 7 marzo nel Seminario Vescovile (ore 19), affronterà anche questo problema. Già nel III Rapporto sulle povertà emergeva un dato preoccupante: i poveri non sono più gli extracomunitari, ma gli italiani disoccupati o esclusi dalla società. La piaga della povertà ha ora intaccato la famiglia.
«La morsa della povertà coinvolge sempre più i nuclei familiari - scrive Mons. vescovo Luigi Martella nella presentazione del Rapporto - Non è difficile, pertanto, immaginare, in prospettiva, che una situazione ancora più precaria si potrà abbattere sulle nuove generazioni, minando la stabilità stessa del tessuto sociale». Prima possibile soluzione, l’adozione da parte dei più abbienti di una famiglia in condizioni di disagio sociale, culturale e economico: un appello alla diocesi e alla città di Molfetta.
Durante la presentazione, saranno spiegati i termini del «Prestito della Speranza» per le famiglie in difficoltà, un fondo di garanzia messo a disposizione dalla CEI, in collaborazione con l’Associazione bancaria Italiana.
 
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Autore: Q
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Da un rapporto “GAIA BOOK” , 1975. – Ci sono due forme di malnutrizione, al mondo. Mentre ogni anno, nei paesi in via di sviluppo, decine di milioni di persone muovono letteralmente di fame, le statistiche sulla salute relative ai paesi industrializzati mostrano un aumento dell'incidenza di malattie causate da un eccesso di nutrizione. Un cittadino medio dei paesi in via di sviluppo assume solo due terzi delle calorie che assume un cittadino medio dei paesi industrializzati, e solo la metà delle proteine vegetali e un quinto delle proteine animali assunte dall'altro. Se contiamo anche la quantità complessiva di cereali utilizzati come foraggio, molti abitanti delle nazioni industrializzate consumano il triplo del cibo consumato dagli abitanti delle nazioni in via di sviluppo. E', questo, lo scandalo della “linea della cintura”, che si allarga troppo tra i ricchi, e si restringe troppo tra i poveri. In Europa o in Nordamerica perfino un gatto domestico mangia ogni giorno più carne di tanti cittadini del Terzo Mondo. Secondo la Fao e la Banca Mondiale quasi 500 milioni di persone (più di una su dieci, quindi) mangiano regolarmente meno di quello che prescrive la “dieta minima critica”, ossia meno della quantità di cibo che consente di mantenersi in salute e conservare il peso del corpo. Più di due terzi di questi sventurati vivono in Asia, la maggior parte degli altri in Africa e in America Latina. Se provate ad andare a una conferenza mondiale sull'alimentazione, vedrete che molti leader politici del Terzo Mondo (come i loro colleghi del mondo industrializzato) sono decisamente grassi. E la loro vita sarà sicuramente accorciata da quel grasso, come è accorciata la vita delle moltitudini affamate di cui essi discutono con tanta foga. – “Se dovessimo osservare un minuto di silenzio per tutte le persone che sono morte di fame nel 1982, non riusciremmo a festeggiare l'arrivo del 21° secolo perché saremmo ancora lì in silenzio”. (Fidel Castro, marzo 1983)
"La differenza fra un politico ed uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni". (A.De Gasperi). Qui sta' il dilemma e la tragedia prossima ventura. Cerchiamo di guardare o semplicemente immaginare il prossimo futuro ......povero, poverissimo, tragicamente povero se non si comincia già adesso a prendere le dovute considerazioni. Cosa accadrà all'intera generazione contemporanea, quando porranno fine alla vita lavorativa per motivi biologici e naturali? Gli anni passano, e anche velocemente. Nella maggiore dei casi iniziano a lavorare verso i trent'anni, con lavori saltuari e senza regole, a nero e con ricatti molte volte, a singhiozzo per molti anni. Quale futuro assicurativo? Così come è regolato oggi il lavoro, possiamo immaginare fra trent'anni, milioni di anziani, vecchi, allo sbaraglio e nella povertà più assoluta, abbandonati a se stessi, nell'impossibilità di trovare soluzioni. Queste e tante altre cose si devono cominciare a fare subito, pena la tragedia di una guerra tra poveri prossima ventura. Saranno (io non ci sarò) tutti poveri, anche i ricchi. Ci sarà una guerra tra poveri per l'accaparramento delle poche risorse disponibili. Non ci saranno più nè Re, nè servitori. Finchè lentamente si abbasserà il livello tecnologico e torneranno (io non tornerò), tutti gli abitanti rimasti, a consumare come i primitivi, in attesa della nuova linfa. Statisti dove siete? Solo politici da strapazzo, preoccupati solo per le prossime elezioni?
Perché la povertà? Dico la mia. Non dimentichiamo il vero “terremoto” che ha scombussolato il nostro quotidiano: la conversione della lira in euro. Quello che è successo in Italia, non è accaduto in nessun paese europeo nell'area dell'euro. Paghe e pensioni in lire furono rivalutate in euro, dal valore di 1936,27. Si annusava nell'aria la possibilità di grosse speculazioni, in quanto noi italiani non avevamo dimestichezza con i centesimi. La sinistra cantava vittoria, la destra stentava a dimostrare le proprie soddisfazioni dell'avvenuto cambio per l'unione monetaria di un'Europa che ancora non esiste, se non solo sulla carta. Il governo di destra presieduto dal Premier Berlusconi una volta vinto le elezioni, promise la creazione di “commissioni di controllo” forse già prevedendo la corsa alla speculazione: niente di tutto questo avvenne. La sinistra taceva. Intanto il “furto italiano del secolo” era già in corso. Lentamente, non troppo, l'euro fu silenziosamente e occultamente convertito a 1.000 lire. Paghe e pensioni furono dimezzate: 1 euro mille lire, 100 euro 100 mila, 500 euro 500 mila, 1000 euro un milione e via di seguito. A operai, pensionati e impiegati, lavoratrici e massaie non quadrarono più i conti: ci ritrovammo tutti più poveri: generi alimentari, affitti, case, mutui, scuole e quant'altro, tutto raddoppiato, poi triplicato con l'avvento della crisi economica e con altri aumenti fisiologici. I poveri diventarono e continuano a diventare sempre più poveri, i ricchi diventarono e continuano a diventare sempre più ricchi. L'euro e l'Europa Unita solo per i ricchi, per la casta? Una soluzione “fantastica” esiste: riconvertiamo tutto in lire, poi di nuovo in euro a 1000 lire! Una buona parte della povertà, statene certi, scomparirebbe così come per miracolo. La politica e politici cosa fanno? Tutto bene, tanto i loro stipendi se li sono rivalutati: rapido ritorno alla lira, diviso in euro a 500 lire. La povertà? Un gioco politico e per ricchi.

I dati descrivono un paese, il nostro nel quale gli indigenti aumentano e cambiano volto rispetto al passato. Sono in aumento i nuovi poveri, famiglie e pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese. E le nuove esigenze dei tempi che viviamo fanno sorgere nuove realtà. Per un giovane è diventata una necessità pagare il telefono. Prima non lo era. Persone che non riescono più a pagare neppure le bollette. I nuovi poveri sono i pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese e quelle famiglie che il sabati si recano a prendere la raccolta dei viveri e qualche abito usato. In aumento i vedovi e i separati in difficoltà economiche, e qui entrano in campo anche i disagi psichici. Stipendi che davano tranquillità ora impongono umilianti rinunce. Poveri come? Poveri da dover nascondere al proprio figlio che dandogli qualche euro per uscire la sera, non si cena, caffèlatte e basta, poi non comprare l'olio e il parmigiano. Investire tutto per comprare al proprio figlio una giacca invernale, rinunciando al rinnovo del proprio vestiario. Poveri non come i poveri veri, ma rinunce sempre in aumento. Poveri per la vergogna di non sentirsi umiliati, e la paura che i questi ragazzi, essendo meno abituati di noi alle rinunce, potrebbero aver voglia di cercare soldi da altri parti, e sappiamo come e dove. Ma la povertà è un concetto sfuggente ed è difficile cogliere le caratteristiche dei nuovi poveri. Disoccupazione, lavori saltuari, contratti a breve termine ecc.ecc.. E' in aumento il numero dei poveri con titolo di studio secondario o terziario, così come la possibilità di diventarlo per un laureato. Si è poveri anche lavorando, anche con due stipendi! La povertà si presenta sotto forma di un lavoro perso improvvisamente, di una separazione drammatica, di aumenti spropositati di affitti, investimenti sbagliati, di un prestito affrettato, di una depressione. Forse sarebbe corretto chiedersi: “perché si è poveri oggi”? e “di cosa si è poveri”?.
La rottura del legame sociale, oggi, è in assoluto tra i temi più discussi. La famiglia, gli amici, l'ambiente scolastico o professionale sembrano ovunque in crisi, e lasciano l'individuo, giovane o vecchio, senza coniuge o senza famiglia, straniero, immigrato, in una solitudine che porta alla depressione o alla ricerca di rapporti artificiali e pericolosi. Le conseguenze negative di questo vuoto sociale colpiscono soprattutto le categorie più deboli e più dipendenti, in primo luogo quelle che si trovano escluse dal mondo del lavoro o che vivono ai suoi margini: disoccupati di lunga durata, assistiti permanenti, salariati temporanei o a tempo parziale e formano masse considerevoli di cui è quasi impossibile cogliere l'entità e la consistenza numerica dato che rimangono nascoste nell'oscurità delle classificazioni sociali. Ovunque si infiltrano la violenza, la paura, la morte. Le azioni che si producono in queste situazioni appartengono anch'esse al mondo del vuoto sociale in cui l'azione tende a diventare impossibile, in cui la morte, con la quale si colpisce allo stesso tempo il nemico e se stessi, è la risposta più adeguata alla stato di disgregazione e di esclusione sociale. A un ricercatore che gli chiedeva “Qual è la categoria sociale che odia di più?” un giovane senza lavoro fisso e che era passato da uno stage di formazione all'altro diede un giorno la seguente risposta: “In primo luogo la polizia, poi gli insegnanti e gli operatori sociali”. “Perché?” fu la reazione stupita: “non cercano di aiutarvi e non sfruttarvi”? Il giovane rispose: “Perché ci mentono, ci ingannano, ci chiedono di integrarci in una società disintegrata”. Per molti il mondo ha perso senso e il nonsenso può suscitare solo sentimenti di puro odio - verso di sé e verso l'ambiente circostante – o causare un'agitazione senza scopo in una cultura di massa ossessionata dalle immagini di violenza.

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