La verità è più vicina. Il Francesco Padre la notte del 4 novembre 1994 sarebbe stato affondato da un attacco militare. Secondo l’ipotesi formulata dai 4 periti delle parti civili, uno dei fori trovato su uno dei 23 reperti recuperati sul fondale davanti alle coste del Montenegro, dove si trovano i resti del peschereccio, sarebbe compatibile con un proiettile pit (perforante-incendiario-tracciante). In base alla relazione del collegio dei periti, depositata alla Procura di Trani dal pool dei difensori (gli avv.ti Nicky Persico, Ascanio Amenduni, Nino Ghiro e Vito D’Astici, che rappresentano la maggior parte dei familiari delle vittime), il foro dall’aspetto rotondeggiante «potrebbe essere riconducibile ad un foro di proiettile sparato che abbia attinto il reperto con la sua parte apicale, con una direzione pressoché ortogonale (perpendicolare, ndr) alla superficie e con l’orientamento della parte verniciata verso il lato eroso». La tesi sarebbe stata anche motivata dalle analisi chimiche: il rame rinvenuto sulla «falchetta» (porzione lignea entrobordo di poppa) apparterebbe all’incamiciatura in rame metallico “full metal racket” dello stesso proiettile, sparato da una distanza non inferiore a 500 metri, con un calibro compreso tra 12,7 mm e 14,5 mm, come quelli in dotazione agli apparati militari. In questo modo, sono state integrate le risultanze del RIS di Roma che attribuiva la presenza del metallo all’uso di vernici acriliche, anche se i periti di parte civile ritengono che «tali vernici non contengono rame». Infatti, secondo la perizia ufficiale dei RIS, incaricati dai magistrati inquirenti, il foro potrebbe essere stato la semplice testimonianza dello svitamento di un chiodo, pur non escludendo la causa balistica. È evidente che queste perizie siano indispensabili per stabilire le reali modalità che determinarono l’esplosione e l’affondamento del “Francesco Padre”, ma soprattutto per accertarne le responsabilità. Del resto, l’analisi della travatura dell’imbarcazione, recuperata lo scorso ottobre 2011 con altri 22 reperti da un fondale di 250 metri, ha confermato quanto sostenuto dalle famiglie delle 5 vittime da quasi 20 anni: prima di affondare, il motopesca ha subito un vero e proprio bombardamento. Adesso non è più solo un’ipotesi. MARIA PANSINI, LA VERITÀ «L’esito della perizia rafforza e conferma ciò che noi abbiamo sempre sostenuto, ma che fino a questo momento, non avendo elementi certi, non potevamo dimostrare». Così Maria Pansini, figlia del comandante del Francesco Padre, ha dichiarato a Quindici la perizia dei consulenti di parte civile. «Questo risultato importante è stato frutto di un lavoro costante e instancabile dei quattro periti, Cutolo, D’Ottavio, Nigri e l’ing. Mastropierro e dei nostri avvocati, Nicky Persico, Ascanio Amenduni, Nino Ghiro e Vito D’Astici, che devo ringraziare – ha continuato Maria Pansini, presidente del Comitato “Francesco Padre Verità e Giustizia” –. Non so come potrebbe evolvere questa vicenda, ma posso dire che questo è un piccolo, ma importante tassello che va ad incastrarsi insieme a tanti altri che stanno venendo finalmente fuori in questa storia dalla riapertura delle indagini». La strada da percorrere è ancora lunga, «ma noi non molliamo, andiamo avanti e ci aspettiamo che si continui a lavorare così com’è avvenuto sino ad oggi, per raggiungere quello che noi abbiamo sempre chiesto che venga fatta luce e ci sia una verità vera». «L’archiviazione del 2001 era come una porta di ferro che ci rinchiudeva in una stanza di dolore, ci aveva fatto capire che non potevamo far nulla, che dovevamo accettare ciò che ci veniva detto, ma soprattutto rassegnarci all’idea che i corpi dei nostri cari non ci sarebbero stati più restituiti - le parole di Maria Pansini nel novembre 2010, durante la cerimonia di commemorazione della tragedia -. Tante le situazioni poco chiare, le supposizioni diventate verità, che ci hanno ferito e hanno offeso la memoria dei 5 marittimi. Siamo disposti a accettare qualsiasi verità, purché sia la verità, dopo lunghi 16 anni in cui siamo stati tenuti distanti e isolati dalle indagini e dai fatti». Non sono mancati i ringraziamenti a procuratori e investigatori, in particolare al procuratore capo della Procura di Trani, dott. Carlo Maria Capristo, che ha riaperto l’inchiesta perché non convinto dalla conclusione delle prime indagini. Lo stesso procuratore, nella conferenza stampa di presentazione della ricognizione del giugno 2011 a Bari, rilevò l’insufficienza delle prime indagini compiute sui 458 reperti trovati in mare: dopo l’archiviazione del 1997 e del 2001, che aveva infangato l’onore delle 5 vittime molfettesi e della marineria molfettese (esplosione avvenuta dall’interno perché il motopesca avrebbe trasportato armi), non solo erano stati distrutti i reperti recuperati, ma un altro procuratore, il dott. Pasquale Drago, si era opposto al recupero del relitto. LE IPOTESI Due le ipotesi formulate dal sostituto procuratore della Procura di Trani, dott. Giuseppe Maralfa, nella conferenza dell’ottobre 2011. Da un lato, la ritorsione montenegrina dopo la denuncia pubblica del comandante del motopesca Francesco Padre, Giovanni Pansini, a Telemontecarlo il 30 ottobre 1994, in cui denunciava il trasbordo illegale del pescato da navi montenegrine e serbe su pescherecci molfettesi. Dall’altro, la pista militare, come supposto dal giornalista Gianni Lannes, secondo cui gettate le reti a circa 20 miglia dalla costa montenegrina in direzione nord-est, il Francesco Padre sarebbe stato accerchiato da una dozzina di unità aeronavali da guerra Nato, poi bombardato perché scambiato per un motopesca che in quell’area silurava i sommergibili occidentali. La procura di Trani ha praticamente ribaltato la tesi del prof. Giulio Russo Krauss, docente all’università di Napoli e all’Accademia navale di Livorno e consulente della Nato, per il quale esistevano chiare tracce di una dinamica di esplosione dall’interno verso l’esterno. Questa posizione era stata già contestata dall’ing. Guglielmo Mele, perito incaricato dalla compagnia assicuratrice dell’imbarcazione: la struttura non si era frantumata e, se gli unici reperti erano della poppa sinistra, era da escludere un eventuale trasporto di armi. Anche il dott. Domenico D’Ottavio, responsabile chimico in un’azienda che si occupa della demilitarizzazione di armamenti bellici, aveva associato le sostanze esplosive trovate quelle utilizzate nei razzi e missili per uso bellico: la nitrogligerina, l’etilenglicoledinitrato e il dinitrotoluene sono presenti nelle miscele di grani propellenti, il trinitrotoluene e la pentrite nelle cariche di scoppio che formano la testa di razzi o missili. LE NUOVE INDAGINI La svolta nel 2010, dopo la declassificazione del segreto di stato e la pubblicazione del libro di Gianni Lannes, «Nato: colpito e affondato. La tragedia insabbiata del Francesco Padre». Nuove le ipotesi per l’affondamento, con l’approfondimento delle indagini (riaperte il 15 febbraio 2010) e l’esame congiunto di altri due casi sospetti. La nuova indagine è stata articolata in 8 fasi preliminari, a partire dall’acquisizione dell’intera documentazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero della Difesa, dalla Marina Militare, dall’Aeronautica Militare, dalla NATO, dagli enti militari stranieri coinvolti nella operazione Sharp Guard (missione congiunta NATO-UE per assicurare l’embargo nei confronti di Jugoslavia e Montenegro), dal Dipartimento Informazioni per la Sicurezza, dall’Agenzia Informazioni Sicurezza Interna e dall’Agenzia Informazioni Sicurezza Estera. Successive le audizioni dell’on. Cesare Previti, all’epoca ministro della Difesa, e dei comandanti delle unità navali ad aeree straniere presenti in zona. È stata approfondita la pista serbo-montenegrina, in riferimento al sequestro di persona a scopo di estorsione di un pescatore laziale imbarcato su un peschereccio partito da Molfetta (dal settembre al novembre 1994) e al mitragliamento del motopesca «Antonio e Sipontina» da parte di una motovedetta montenegrina con la morte del marinaio molfettese Antonio Gigante (2 giugno 1994). Singolare anche il caso del motopeschereccio Sino, che ha rischiato di essere trascinato in fondo al mare da un sommergibile della Nato rimasto impigliato nelle sue reti, mentre il Modesto Senior nel novembre ’94 è stato mitragliato per errore da un velivolo Nato. Si è considerata anche l’intervista rilasciata dal comandante del Francesco Padre a Telemontecarlo. Inoltre, è stata richiesta una nuova consulenza tecnica e chimicoesplosivistica da parte del prof. Roberto Gagliano Candela, oltre a quella tecnico-balistica del RIS di Roma e tecnica fornita, con attività ripetibile, dal personale dello Stato Maggiore della Marina Militare e dello Stato Maggiore dell’Aeroneutica Militare sulla documentazione acquisita. Rinnovata anche la consulenza tecnica sul cadavere del marinaio Mario De Nicolo, a cura dei professori Francesco Vimercati e Gagliano Candela. Infine, le missioni di ricognizione sul relitto il 4-7 e 18-25 ottobre, quando si recuperò il pezzo di legno con il foro sospetto per essere analizzato e confrontato con il filmato del 1996 e le immagini di un tirante del lato di poppa ritrovato nell’aprile 2005 in un tratto di mare compatibile con il sito dell’affondamento. Allo stesso tempo, furono riportati in superficie due scarpe, forse appartenute alle vittime (una da lavoro a stivaletto, sinistra, l’altra bassa, destra, di taglia più piccola, con la punta arrotondata, senza lacci), un pezzo di stoffa chiara, alcuni frammenti, due magliette e alcuni pezzi di metallo. Purtroppo, non è stato possibile recuperare i resti umani. Le 5 vittime sono state onorate con il lancio in mare di una lapide commemorativa sulla verticale del sito dell’affondamento.
Autore: marcello la forgia