Come far crescere la cultura della legalità
Intervista a Giovanni Impastato ospite a Molfetta della “Casa dei Popoli”
Chi era Peppino Impastato?
“Peppino era un uomo coraggioso, oltre che comunista, era sopratutto un artista. La sua arma era l'ironia, la sua lotta consisteva nel teatro di strada, insieme ad amici si improvvisava attore mimando la morte atomica; con Danilo Dolci, fondatore della prima radio in Sicilia, organizzò la prima manifestazione di pace in Sicilia; lavorava in radio”.
E la sua famiglia?
“Mio padre era mafioso, tutta la sua famiglia d'origine lo era. La mafia ha impedito alla mia famiglia di stare insieme, Peppino la combatteva e per questo mio padre lo cacciò di casa. Sembra una contraddizione, ma mio padre gli voleva molto bene e tentò anche di salvarlo. Badalamenti qualche anno prima che lo ammazzassero lo chiamò e gli disse che gli sarebbe toccato se non fosse riuscito a convincerlo di smettere. Mio padre si recò in America da una cugina che non appena lo vide gli chiese subito di Peppino e lui rispose: “Prima di uccidere Peppino dovranno uccidere me”, e così fu, uccisero mio padre e dopo sei mesi mio fratello”.
La verità è venuta alla luce dopo quasi un quarto di secolo con la condanna di Badalamenti e di Vito Palazzolo, come mai è trascorso così tanto tempo?
“Per 14 anni abbiamo assistito a depistagli e a occultamento di prove, ad esempio il Pretore di allora fece aggiustare i binari su cui avevano lasciato il cadavere di Peppino e proseguì le indagini sul terrorismo perquisendo le case dei compagni. O ancora le pietre sporche di sangue trovate da alcuni suoi amici che, consegnate, non si sono più ritrovate”.
Suo fratello ha operato una rottura storica, cosa è cambiato? Cosa ha significato la sua morte?
“Esatto, Peppino ha operato una rottura storica con la mia famiglia. La sua morte però è avvenuta il 9 maggio del 1978, lo stesso giorno in cui fu assassinato anche Aldo Moro. Nelle prime pagine dei giornali non si parlava d'altro. Questo ci ha inizialmente abbandonato ad una solitudine logorante, ma poi il mio motto è diventato “Trattenere le lacrime, rimboccarsi le maniche e lottare”. La morte di mio fratello mi ha dato quel coraggio che non avevo, ha prodotto qualcosa di grande, è diventata simbolo di riscatto”.
Oggi il movimento antimafia è molto forte, basti pensare al successo del film “I cento passi”, a ciò che l'Associazione Libera ha ottenuto in Sicilia con l'istituzione di cooperative per la produzione di pasta, olio, vino, e alla legge sull'espropriazione delle terre dei boss. Qual è il suo programma?
“Io sono uno dei fondatori del Centro Impastato in Sicilia, dedicato a mio fratello, che ha permesso di portare avanti la vicenda giudiziaria e di diffondere la cultura antimafiosa. Vado spesso nelle scuole, mi fa molto piacere vedere che i giovani sono molto legati alla vicenda di Peppino, di un uomo che come loro credeva in un mondo migliore”.
Non ritiene però che la multa di 5.228 euro costituisca una nuova sconfitta?
“Più che una sconfitta la considero una rivendicazione dell'avvocato Gullo. Io ho comunque pagato la somma solo per rispetto alla sentenza del giudice, che non condivido. In tutta Italia si è creata una catena di solidarietà con contributi per il pagamento. Il problema è che oggi la realtà è ancora manipolata da chi ha le leve del potere, è importante, dunque, che si diffonda sempre più la cultura della legalità”.
Maria Teresa de Palma