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Città metropolitana il milieu istituzionale
15 novembre 2012

La Città metropolitana (CM) è un ente amministrativo non ancora organicamente disciplinato. Per altro, la riforma in atto ha solo indicato alcune caratteristiche, demandando tutto al redigendo statuto. Previsto dalla Legge n.142/90 e ripescato nella riforma del titolo V della Costituzione Italiana del 2001, l’ente è stato parzialmente predisposto dalla Legge n.42/09. In sostanza, una CM comprende una grande città (capoluogo della provincia sostituenda, ma può anche corrispondere a una sua parte) e i Comuni che a questa sono strettamente legati per questioni economiche, sociali e di servizio, culturali e territoriali. Secondo alcune interpretazioni, una CM è anche un’area metropolitana (non viceversa): questo è anche uno dei nodi giuridico-istituzionale alla base di tutta la diatriba sulla riforma che si è irrimediabilmente macchiata delle conflittualità politiche. Ecco perché sarebbe opportuno conoscere questo ente locale nelle sue istituzioni principali, partendo da una considerazione: secondo i dati forniti da Cittalia, l’area provinciale barese non è una «città della metropolizzazione», bensì una «città della regionalizzazione» (delocalizzazione abitativa, territoriale, industriale e terziaria rispetto al capoluogo). Anche per questo motivo, nelle disposizioni della BCE non compare la provincia barese tra le città metropolitane italiane. DEMOCRAZIA VIOLATA Secondo l’art. 23 della Legge delega n.42, la CM può essere istituita nelle aree metropolitane regionali su proposta del Comune capoluogo e/o della Provincia con un successivo referendum popolare confermativo, previo parere della Regione. Purtroppo, la riforma montiana ha troncato le gambe a ogni forma di partecipazione democratica. Alcuni sindaci, tra cui Antonio Azzollini, hanno anche scansato il referendum, peggiorando una situazione davvero caotica. Infatti, il decreto del 31 ottobre palesa non solo l’assoluta disorganicità dell’intervento, ma anche la pervicacia del Governo nel volere intervenire su accorpamenti e tagli del numero di Province senza partire dal riassetto delle funzioni e dei servizi sul territorio, oltre alla violazione di alcuni principi costituzionali. La concertazione con le Regioni, come dichiarato nel decreto, è stata poi solo formale. A parte le piccole modifiche, la procedura concertativa è stata inutile: la riforma è stata applicata ex ufficio dal Governo. di fronte a quanto accaduto per il Lazio e la Calabria, è peraltro incomprensibile l’immediato mutamento di circoscrizione provinciale per alcuni Comuni pugliesi, per poi affermare che «in sede di conversione del presente decreto legge si terrà conto di ulteriori iniziative assunte da altri comuni ai sensi dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione, sentite le Regioni interessate». Un non-sense. ORGANI Due gli organi della CM, il consiglio e il sindaco metropolitano (carica di 5 anni). In sede di prima applicazione, il sindaco metropolitano sarà di diritto quello del Comune capoluogo (sarà poi lo statuto ha fissarne le modalità elettive), mentre i consiglieri saranno eletti tra i sindaci dei Comuni della CM da un collegio formato dagli stessi e dai consiglieri comunali, secondo le modalità stabilite per l’elezione del Consiglio provinciale. Inoltre, il nuovo decreto prevede che il Consiglio metropolitano sia composto da 18, 14 o 12 componenti in base alla popolazione residente, ma elimina la garanzia del rispetto del principio di rappresentanza delle minoranze. Le giunte provinciali saranno soppresse l’1 gennaio 2012 e l’ente commissariato. Sarà, poi, possibile fino ottobre-novembre 2013 stilare lo statuto metropolitano che dovrà stabilire le modalità di elezione del sindaco, l’organizzazione interna, i rapporti tra Comuni e CM, le modalità di esercizio delle funzioni metropolitane e il conferimento di deleghe ai Comuni con il contestuale trasferimento di risorse umane e finanziarie. Perciò, la task force barese ha già fissato alcuni punti chiave per salvaguardare l’autonomia dei 41 Comuni interessati e le funzioni istituzionali connesse con l’individuazione di 4 macroaree (Conca Barese, Area Murgiana, Valle d’Itria e Terra di Bari) per le funzioni sovracomunali delegate alla CM. FUNZIONI Oltre alle funzioni fondamentali delle ex province soppresse, le CM dovranno elaborare la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali, strutturare i sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzare i servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, programmare mobilità e viabilità, promuovere e coordinare lo sviluppo economico e sociale. Allo stesso tempo, alle CM spettano il patrimonio e le risorse umane e strumentali della Provincia soppressa e le risorse finanziarie definite agli artt. 23-24 del D.Lgs. n.68/11. Queste le funzioni fissate dalle Legge n.135 e dal DL n.95, con l’obiettivo di offrire servizi migliori e più efficienti (con standard uniformi per tutto il territorio), minore burocrazia e supporto ai Comuni, realizzando al contempo la riduzione dei costi. Tuttavia, a molti “intenditori” questo provvedimento sembra in palese contraddizione con la scelta di mantenere anche con le CM un livello intermedio di amministrazione: in sostanza, si stratta di un’imposizione senza alcuna possibile valutazione di merito sull’ambito ottimale di gestione delle funzioni sovracomunali. Di fatto, sembra si violano i principi costituzionali dell’art. 118, secondo cui la Regione è un ente con potestà legislativa e Comuni, Province e Città metropolitane sono enti titolari di funzioni amministrative proprie e conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. Molta è ancora l’incertezza. Basti pensare proprio al richiamo degli artt. 23 e 24 del D.Lgs. n.68: il primo menziona il fondo perequativo e la compartecipazione Irpef, il secondo descrive il sistema finanziario delle CM. In sostanza, la CM potrà istituire imposte di scopo per realizzare uno specifico progetto (trasporto, pubblico, opere viarie, giardini, edilizia scolastica, ecc.), imporre un’addizionale sui diritti d’imbarco portuali e aeroportuali, reperire risorse attraverso la compartecipazione Irpef (anche maggiore di quella provinciale), la tassa automobilistica regionale, l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile e l’Ipt (imposta provinciale di trascrizione) per l’immatricolazione delle automobili. Il riferimento piuttosto confusionario e privo di una corretta e inequivocabile regolamentazione, ha già contribuito allo sviluppo di strumentalizzazioni e aberrazioni varie (come accaduto nel consiglio comunale di Molfetta). Ad esempio, nessuno ha ancora riprogrammato l’autonomia impositiva della CM, ovvero la facoltà di imporre propri tributi e di riscuoterli in base alla complessità delle proprie funzioni (manovrare le variabili fiscali, le aliquote a base imponibile, ecc.). Nessuna certezza: tutto lasciato alla libertà legiferativa e alla speculazione politico-mediatica. PRO & CONTRO L’istituzione ex abrupto della CM potrebbe determinare corto-circuiti di applicazione e risultato. Da un lato, il deficit di legittimazione democratica nei processi di governance territoriale per l’incerta dislocazione dei processi decisionali di governo (emerso tra le righe della relazione consiliare dell’assessore regionale al Federalismo, Marida Dentamaro): l’assenza di uno statuto o di un sistema istituzionale di riferimento potrebbe favorire il “centralismo barese”. Dall’altro, l’insostenibilità ambientale di una metropolizzazione non governata e la difficile allocazione di costi e benefici: il Comune centrale potrebbe pagare i costi di servizi pubblici di cui usufruiscono in parte significativa cittadini di altri Comuni che rappresentano un peso sul bilancio comunale pur non contribuendovi attraverso l’imposizione fiscale e tariffaria. In questo modo, settori di policy fondamentali (es. educazione e welfare) rischiano di rimanere fuori dell’agenda politica metropolitana, penalizzando fasce di popolazione più vulnerabili e accentuando fenomeni di disuguaglianza sociale. Senza dubbio, la CM potrebbe anche attirare finanziamenti europei e rafforzare il suo asset commerciale ed economico-industriale, come soggetto cardine della programmazione europea 2014-2020. Del resto, 11 CM italiane sono considerate delle growth machines perché producono un quinto del PIL del Paese. Secondo il dossier di Cittalia (2008), la ricchezza prodotta cresce più velocemente di quella nazionale: «nel periodo ’98-’08, il rapporto tra il PIL complessivo delle 11 città e il PIL nazionale ha mostrato una crescita del +6,8%». Eppure, questa tendenza generalizzata non cancella gli squilibri nelle aree e tra le aree: differenti sono i tassi di crescita differenziati tra Comune centrale e Comuni della relativa provincia. Rispetto a Roma, Genova, Torino, Palermo, Bologna, e Napoli, il cui PIL provinciale è realizzato essenzialmente dal Comune capoluogo (percentuali tra l’80% e il 50%), la quota PIL tra Bari e Provincia è del solo 18% (il PIL è prodotto dai Comuni provinciali). Ecco perché qualsiasi riferimento allo sviluppo economico-occupazionale non dev’essere un presupposto pregiudiziale della discussione, ma solo una possibile conseguenza futura.

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