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Voci di donne il dovere di denunciare
15 dicembre 2019

Il 26 novembre, giorno successivo alla celebrazione della giornata contro la violenza, la Consulta Femminile e il Comune di Molfetta hanno organizzato una giornata per gli studenti delle scuole superiori proponendo testimonianze significative sulla violenza di genere. L’evento è stato intitolato: “Voci di donne, il dovere di denunciare”. Hanno offerto le loro testimonianze: Francesco Favuzzi, Dirigente della Direzione Anticrimine della Questura di Bari; Daniela Baldassarra pluripremiata drammaturga e monologhista pugliese; Rita Lanzon, mamma di Federica e nonna del piccolo Andrea; Videointervista in ospedale a M.A. Rositani bruciata viva dall’ex marito; Claudia Samarelli, medico legale. Sara Pisani, presidente della Consulta Femminile del Comune di Molfetta, introduce gli interventi con cenni sulle nuove disposizioni del codice rosso come strumento per contrastare la violenza sulle donne e sui minori. Secondo le nuove norme, le vittime di violenza domestica o di genere devono essere sentite dai pubblici ministeri entro tre giorni dall’iscrizione dei fatti denunciati nel registro dei reati. “Una denuncia o una querela per un reato di violenza domestica o di genere merita di essere trattata con prontezza, non potrà essere più lasciata a languire tra mille altre indagini, nella speranza che il problema si risolva da sè o che si trasformi in una tragedia. La nuova normativa, istituendo un codice rosso investigativo e giudiziario, fissa tempi stretti.” afferma Sara Pisani. Il codice rosso, continua la presidente della Consulta, oltre ad imporre una rapida corsia preferenziale alle indagini che riguardano i reati di maltrattamento, stalking e lesioni in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza, introduce nuovi reati ed aggravanti: il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (revenge porn) punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con multe da 5 a 15 mila euro; il reato della deformazione della persona mediante lesioni permanenti al viso sanzionato con la reclusione da 8 a 14 anni; il reato di costrizione o di induzione al matrimonio punito con la reclusione da 1 a 5 anni; violazione del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sanzionato con la detenzione da sei mesi a tre anni. L’avv. Angela Panunzio, assessore alle pari opportunità del Comune di Molfetta ha portato i saluti istituzionali del sindaco Tommaso Minervini. In questi giorni i riflettori sono puntati sulla violenza di genere, sono stati organizzati tanti eventi per parlarne e per far emergere il fenomeno che si connota come una vera e propria emergenza sociale con un femminicidio ogni 72 ore nei primi 10 mesi del 2018. Il codice rosso, afferma l’avvocato, presenta anche delle parti critiche, il termine dei tre giorni, ad esempio, è troppo rigido e di difficile gestione considerato che in questura arrivano almeno due denunce al giorno e gli organici sono carenti. L’assessore Angela Panunzio sottolinea, inoltre, che è molto importante coinvolgere le nuove generazioni in questi eventi, far conoscere loro le dinamiche della violenza di genere, sensibilizzare e promuovere una sana educazione affettiva. L’assessore infine, conclude, informando che anche Molfetta, dalla fine di luglio, ha un centro antiviolenza pienamente operativo e che costituisce un punto di riferimento per le donne vittime di maltrattamenti. Il Dirigente della Direzione Anticrimine della Questura di Bari, Francesco Favuzzi, plaude anch’egli al coinvolgimento degli studenti dichiarando che essi costituiscono il target principale per l’azione di contrasto alla violenza di genere. Egli, nel suo ruolo dirigenziale, si occupa di prevenzione e non di azioni investigative: “Le azioni di reato possono essere prevenute se non si invogliano le persone a compierle” afferma. Nel suo significativo ed interessante intervento offrirà spiegazioni dettagliate sul lavoro della direzioni anticrimine di Bari. Vi è un doppio binario: il sistema repressivo e il sistema preventivo. Nel sistema repressivo i reati sono stati già compiuti per cui si parla di denunce, di indagini, di polizia giudiziaria, di processi e di applicazione della legge penale. Nel sistema repressivo vanno ricondotte, ad esempio, le nuove tipologie di reato del codice rosso. Nel sistema preventivo, invece, si parla di misure di prevenzione del reato attraverso atti amministrativi quali l’avviso orale, l’ammonimento, la sorveglianza semplice o speciale da parte della pubblica sicurezza. Con un ammonimento l’arbitro invita il giocatore ad avere un comportamento corretto altrimenti rischia l’espulsione stessa cosa fa il prefetto quando richiama la persona da ammonire. “Vi assicuro – afferma il rappresentante della Questura – che essere chiamati da un Prefetto è un qualcosa che intimorisce non poco”. Essere convocati da un’autorità amministrativa significa dover presentare la propria versione dei fatti che il questore valuterà, contestando le azioni compiute e esibendo fonti di prova. Una delle conseguenze più serie dell’ammonimento è la perdita del titolo giuridico a detenere armi. L’ammonito, inoltre, viene iscritto nella banca dati SDI ed è riconoscibile dalle pattuglie su strada che sanno di avere di fronte un soggetto potenzialmente pericoloso. L’ammonimento è anche una macchia nei concorsi pubblici. L’ammonimento può essere classico, quando vi è una specifica richiesta di aiuto all’autorità amministrativa da parte della persona offesa ma può essere anche di iniziativa ovvero è il questore che decide di colpire l’autore di violenze o lesioni aggravate. Il dirigente della divisione anticrimine si sofferma anche lui sulla nuova normativa introdotta dal codice rosso condividendo la necessità di una risposta celere da parte dell’apparato repressivo, rapidità che, tuttavia, non è facile da ottenere. Il codice rosso, spiega il Dirigente, nasce, a livello normativo, da una condanna che lo stato italiano ha ricevuto da parte della Corte Europea dei Diritti Umani. La signora Elisaveta Talpis aveva sporto una denuncia per maltrattamenti da parte del marito ed era stata audita solo dopo sette mesi. Nel frattempo il figlio era stato ucciso e lei ridotta in fin di vita. La signora ha fatto causa allo stato italiano invocando la necessità di un intervento celere in caso di denuncia per violenze e maltrattamenti, un intervento che mettesse alle strette il sistema repressivo. La polizia giudiziaria, grazie al codice rosso, oggi deve essere immediatamente chiamata a riferire, il pubblico ministero in tre giorni deve convocare la vittima e prendere provvedimenti urgenti a seconda della necessità del caso: l’obbligo di allontanamento del maltrattante dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla persona offesa e, come estrema ratio, l’arresto. L’urgenza dei provvedimenti, la celerità con la quale devono essere posti in atto, ha posto in crisi l’apparato repressivo, non preparato a dare risposte immediate sostiene Francesco Favuzzi. Il sistema repressivo ha, comunque, avuto una scossa a muoversi e anche tante persone sono state invogliate a denunciare e hanno avuto il coraggio di farlo. Smorza i toni della mattinata la drammaturga e monologhista pugliese Daniela Baldassarra la quale racconta un tema spinoso come la violenza sulle donne con allegria e sfrontatezza. Le donne devono scendere per strada e riformare se stesse prima di tutto perché pur dichiarandosi femministe convinte hanno, fra loro, rapporti strani, una donna in ciabatte e vestaglia eliminerebbe una donna con tacco dodici e direbbe: “Magari muore!”. Le donne si osservano e si spiano a vicenda, sono stupidamente cattive tra loro. Sminuiscono e danno poca importanza ai segnali iniziali della violenza e dunque ne diventano complici dicendo frasi del genere: “Madonna per due schiaffi si rovina una famiglia!”. “Non si trova un’amica vera nemmeno a pagarla!” chiosa Daniela Baldassarra. Bisogna imparare ad amare l’altro da sè, a valorizzare le altre donne, a non essere loro nemiche, vi è un’assenza di complicità, una competizione malata. La moda che paradossalmente è percepita come un qualcosa di frivolo in realtà ha segnato le epoche sociali: Coco Chanel, negli anni 50’ inventa il prêt-à porter per le prime donne lavoratrici; nel 63’ la minigonna, inventata dalla stilista Mary Quant, diventa una dichiarazione di libertà; prima ancora nell’800’ vi è lo scandalo delle donne che vogliono usare i pantaloni per poter andare in bicicletta e gli uomini parlarono addirittura della bicicletta come un mezzo di induzione alla masturbazione. “E noi, invece, superdonne evolute dell’occidente? Cosa abbiamo scelto di essere? Super bambole senza identità che scelgono l’ostentazione della nudità.” afferma la drammaturga riferendosi ai corpi di donna mostrati nelle trasmissioni televisive. Il corpo femminile è esibito pubblicamente come fonte di piacere sessuale, è sempre nudo, la sua immagine, sempre allusiva e provocante, invade a pioggia la nostra società, offrendo modelli goffamente imitati. “Le pose forzate, quasi puntellate (da un giamaicano che le sorregge dal di dietro), sempre con espressioni del viso pre-orgasmiche. Oggi viviamo per fotografarci e per mostrarci sui social network. L’ultima moda sono i selfie davanti allo specchio, non si sa se bisogna guardare lo specchio o il cellulare che copre a metà l’immagine della persona” afferma tra il serio e il faceto l’autrice teatrale. “Il burqua manca solo in apparenza! Siamo ingabbiate in una società che induce le donne a spogliarsi, donne che puntano sul corpo e sulla fisicità come trofei, come meri strumenti di conquista del potere maschile” continua Daniela Baldassarra. Le donne sono altro, conclude l’attrice, con una descrizione che commuove: “Quelle che cucinano tre volte al giorno, quelle che piangono di nascosto, quelle che al sorgere del sole sono già in cinque nei pulmini, quelle che hanno le maniglie dell’amore a cui nessuno si attacca, quelle che si iscrivono in palestra e non ci vanno, quelle che non sanno usare il computer, quelle che sono sempre sullo zero a zero nella vita perché non barano mai”. Rita Lanzon vive a Taranto, è madre di Federica e nonna di Andrea: anzi lo era, loro non ci sono più. Il piccolo Andrea aveva tre anni e mezzo e anche sua madre era giovanissima. L’uomo di cui era innamorata l’ha uccisa, dopo aver stuprato in precedenza un’altra donna ed essere stato condannato. La testimonianza è fortissima e parte dalla visione di un video che mostra immagini molto belle e commoventi di Federica, immagini che testimoniano la sua vitalità e la sua gioia di vivere. Alla visione di quella sequenza di immagini, rigoli di lacrime hanno attraversato veloci e, quasi senza sosta, il mio viso, pensavo al dolore della madre che avevo proprio di fronte a me e a quel padre affranto che era al lato del palco. Un dolore così forte e inconsolabile che fu drammaticamente trasmesso. Loro non vivono più: era la loro unica figlia. Le immagini di come era stato ridotto il suo cadavere dopo le aggressioni, erano molto simili a quelle di Stefano Cucchi. Federica era stata uccisa con un punteruolo e il suo volto era stato massacrato di botte. Rita mostra pubblicamente il volto della figlia, è stata una decisione sofferta ma ha deciso di farlo per dare un segnale a tutte le donne vittime di violenza. “Se avete un mostro accanto scappate subito!” intima con preoccupazione Rita Lanzon rivolgendo anche un altro accorato appello: “Vi prego denunciate, ribellatevi!”. Il piccolo Andrea è stato ucciso con un colpo di pistola prima che suo padre, un uomo cortese e gentile ma chiuso, si togliesse la vita. Segue la visione della video-intervista realizzata in ospedale a M.A. Rositani bruciata viva dall’ex marito Ciro Russo. “Dopo una notte di botte e di violenze nel dicembre del 2017 la donna scappa di casa e va ai carabinieri per denunciare il marito ma la denuncia non fu mai inoltrata.” tuona dal suo letto di ospedale. Segue una seconda denuncia nel gennaio del 2018. Tra poco Ciro Russo andrà a processo insieme ad altre sei persone indagate per aver contribuito affinché lui potesse completare l’opera di bruciare e di uccidere la donna. Claudia Samarelli ci offre, infine, l’ultima testimonianza. Da medico legale, parla con sconcerto di quello a cui è costretta ad assistere quando deve constatare la morte di donne vittime di femminicidio sul luogo in cui il delitto è avvenuto. La scena del crimine è violentissima, schizzi di sangue ovunque e disordine successivo all’avvenuta colluttazione.

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