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Siamo rimasti di Sasso: buon viaggio, don Franco
11 aprile 2017

«A fare bene, sta bene»

«In una notte nera, su una pietra nera, una formica nera, Dio la vede»

«Ragazzì, sono rimasto di sasso. Sasso è il mio cognome»

Don Franco (nella foto di Mauro Germinario, mentre prende l'ostia per la comunione) è stato anche questo, per noialtri, ex ragazzi da un pezzo, ed oggi incerti tentativi d’uomo di questa, e di diverse altre generazioni. È stato anche, e forse soprattutto, quel mucchio di frasi sentite in mille tardi pomeriggi, ripetute sempre come se fosse la prima volta. Tanto tempo dopo, somigliano un po’ a quelle citazioni, stampate e avvolte attorno ai cioccolatini. Anzi, alle caramelle, perché erano le caramelle a rappresentare l’equipaggiamento d’ordinanza.

Quando le rivanghiamo, ogni volta che capita di ritrovarsi, lo facciamo così, senza chiederci quand’è che ci sono entrate così dentro, come abbiano fatto, quelle frasi che ci hanno un po’ insegnato la vita.

E con Don Franco, era realmente possibile imparare che la vita fosse semplice, e crederci sul serio. Che fosse semplice se vissuta con semplicità, e dando valore alle cose semplici. E anche perché rispondeva ad una formula semplice: ovunque fossi, qualsiasi cosa stessi facendo, sarebbe bastato parlare a quella che lui qualche volta chiamava la ragazzina, quella Maria il cui nome esigeva fosse stampato su qualsiasi foglio in circolazione (che fossero i mitologici ciclostilati, liste di orari o biglietti d’amore, poco importava) e tutto sarebbe andato a posto. Era facile, credere a quell’equazione, con uomini così, dotati dell’attenzione di un occhio abituato a occuparsi di formiche nere su pietre nere. Era facile credere in Dio, fondamentalmente.

Gli piaceva giocare con suo cognome, con quel sapore che hanno la materia e le asperità della pietra. E di quella pietra Don Franco non provava a nascondere quegli spigoli che rendono figure come la sua letterarie, e letteralmente imperdibili. E di certo non lo perderà davvero quella folla di ragazzi che siamo stati. Una folla fuori dalla quale qualcuno s’è smarrito, qualcuno meno, ma tutti quanti lui li ha tenuti per mano per un bel pezzo, e la presa era forte.

«Quando due di voi si riuniranno nel mio nome, io sarò con voi», era una delle citazioni professionali che più gli piaceva, uno dei suoi evergreen. Se la regola vale anche per gli esseri terreni, Don Franco con noi c’è sempre stato tutti questi anni, e sarà così molto a lungo, ogni volta che spunterà fuori, senza neanche accorgercene,  dentro una conversazione, come è capitato in tutto questo tempo, una delle sue frasi che non si sono mai impolverate, e che restano nostre compagne di viaggio. Faremo lo stesso sorriso, con un carico da novanta di malinconia, e qualche luccicone in più.

Mancherà. Eccome. Mancherà fermarsi nei posti più improbabili per una posta di rosario, come capitava negli ultimi anni, per le strade del centro storico. Magari era di quelle volte che eri in giro con una ragazza, lei non capiva, ma alla fine ci si fermava, e chi mai gli avrebbe detto di no.

Mancherà la consistenza di quelle spedizioni nel quartiere, con generi di necessità per le sue persone preferite, quegli ultimi che i cantautori sanno cantare, e che lui sapeva vivere. Mancherà il suo amore per la sobrietà e la sua idiosincrasia, come un personaggio da cinema in bianco e nero, alla troppa luce, tutta quella non necessaria, perché quelle risorse potevano e dovevano essere destinate altrove. Una sera, per una finale del torneo estivo, dopo una serratissima trattativa gli estorcemmo il permesso di accendere il secondo riflettore sul campo: per noi fu San Siro, per lui probabilmente fu il calcolo di quante confezioni di tonno in meno sarebbe costato, per chi aveva fame, quella vera. E mica lontano, ma dentro il quartiere. Allora, quel quadrilatero di strade tutte uguali somigliava a una periferia che non ci ha mai raccontato nessun romanzo.

E poi, ovviamente, quel campo: quello di Don Cosmo, e il suo. Quel campo che invade, ingombrante, l’intimità di tutti. E l’intimità è un sentiero pericoloso. «Un pezzo della mia infanzia», raccontano in tantissimi in queste ore. E quindi pensi che, se è così per così tanti, vuol dire che, in fondo, le infanzie si somigliano tutte. E, se è così, vuol dire che sono state tutte bellissime. Magari è per questo che è così dura lasciarne andare via un pezzo enorme.

Sarebbe probabilmente infastidito, dalla troppa luce del grazie che gli urla questa folla di ex ragazzi, che hanno provato ad imparare la vita con lui. Anche perché, specie se rivolta a lui, grazie è una parola che non amava particolarmente. «Poi mi pagate», ci avrebbe risposto beffardo in queste ore. Probabilmente ignorando che, per far fronte a un grazie così, non sarebbe bastato tutto l’oro di questo, e anche dell’altro mondo.

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Autore: Ezio Azzollini
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