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Piano di sviluppo rurale per sostenere l'agricoltura di Molfetta
30 dicembre 2014

MOLFETTA – “Ritorno alla terra. Politiche pubbliche a sostegno dell’imprenditoria e della occupazione in agricoltura”. Un processo informativo promosso dal Comune di Molfetta all’interno della sala Turtur nel centro storico. Un’opportunità per discutere del nuovo Piano di Sviluppo rurale. Uno spunto di riflessione riguardo la possibilità reale e concreta di crescita e di sviluppo del settore agricolo che sta dimostrando sul territorio una nuova vitalità su cui l’amministrazione ha voluto scommettere attraverso l’investimento nel progetto “Cuore della Puglia per Expo 2015”. Si tratta di una sfida nata quasi per gioco e che sta diventando – come ci ha tenuto a sottolineare il sindaco di Molfetta Paola Natalicchio – «un’ iniziativa di marketing territoriale e promozione d’impresa di importanza nazionale. Incrociando turismo, promozione occupazionale e impegno a difesa della biodiversità dei nostri prodotti ma anche della dieta mediterranea e della sana alimentazione, il progetto favorirà il rilancio della nostra agricoltura e della nostra pesca, con l’impegno di costruire un modello di sviluppo avanzato capace di investire sulle risorse proprie del territorio». Inoltre Molfetta è, ad oggi l’unica città non capoluogo di provincia a fare parte del “Progetto Città Sane”, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite per la Salute per assicurare alla popolazione mondiale il più alto livello di condizioni psico-fisiche (Nella foto, Natalicchio, Pallara, Lavarra e Spadavecchia).

E non è tutto. Il nostro territorio ben presto entrerà a far parte del GAL Ponte Lama che al momento si occupa di rafforzare il sistema economico del territorio Bisceglie – Trani,  favorendo competitività e miglioramento della qualità della vita della comunità locale, e di costruire un’identità territoriale partendo dalla promozione delle eccellenze locali. Altro vanto per la città è l’Istituto Alberghiero, eccellente “macchina” di trasformazione dei prodotti della terra e del mare in assolute prelibatezze, valorizzandone al meglio profumi, colori e mantenendo intatte e inalterate tutte le componenti organolettiche.

Dunque, sebbene il quadro socio-economico del nostro Paese non ci prospetti nulla di buono visto il periodo di crisi che sta attraversando, il settore dell’agricoltura – come specificato dal dott. Enzo Lavarra, consigliere del ministero per le politiche agricole per il Mezzogiorno – rappresenta uno spiraglio per affrontare e superare tale scompenso. In un momento di crollo degli investimenti e riduzione drastica delle assunzioni, il ritorno alla terra potrebbe disegnare una via di fuga efficace e lungimirante per ritornare a produrre reddito e risollevare la condizione esistenziale di chi si trova a combattere contro il triste fenomeno delle disoccupazione. Di fatti l’agricoltura sta chimando a sé non solo chi ha passione e vocazione per il settore ma anche chi vuole reinventarsi e rimettersi in gioco per fronte ad una situazione occupazionale decadente e ancora chi, stanco della vita cittadina e dello stress metropolitano punta ad una ricongiunzione con le origini, ricostruendosi un ambiente di serenità.

Ma se non c’è un supporto pubblico come può l’agricoltura sostenersi ed evitare di deperire come è già successo ad altri settori? Come si può evitare di distruggere un patrimonio così fortunato e portabandiera della qualità del Made in Italy in tutto il mondo? Le risposte non sono di certo mancate anche se c’è ancora tanto lavoro da fare. Punto di partenza fondamentale per dare maggiore spinta al settore è stata la riforma della Pac che si innesta nel più generale contesto delineato dalle proposte della Commissione UE sul quadro finanziario 2014-2020, presentate ufficialmente nel giugno del 2011. Secondo i dati riportanti durante la conferenza dal dott. Pierpaolo Pallara, responsabile INEA sede regionale Puglia, i fondi stanziati per il settore sono pari a 1.025 miliardi cui si aggiungono altri 6 miliardi che sono potenzialmente disponibili per l’agricoltura sotto le voci Feg (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione) e soprattutto con il fondo di “riserva per crisi del settore agricolo”.

Rispetto al periodo 2007-2013 si sono fatti notevoli passi in avanti a partire dalla maggiore flessibilità delle misure previste e che regolamentano il settore  e proseguendo con una rivisitazione dell’assetto formativo attraverso la realizzazione di stage aziendali e interscambio fra imprese agricole. Inoltre si è puntato a rafforzare il sistema di consulenza aziendale per permettere all’imprenditore di avere un supporto nella conduzione della sua attività e per potenziarla al meglio. Da non trascurare è anche il sostegno alla competitività grazie alla promozione della filiera corta, della coltivazione di prodotti biologici e di notevoli agevolazioni per i giovani e non che presenteranno progetti innovativi e tecnologicamente avanzati come la riconversione delle biomasse in energia alterativa. In quest’ottica il soggetto diventa primo attore non perdendo mai di vista, però che l’unione può pareggiare le disparità rispetto ad altri protagonisti del commercio agricolo che hanno maggiori dimensioni e possibilità produttive. Un altro slancio in avanti ha riguardato l’idea di eticità nella produzione che deve sforzarsi di essere quanto più compatibile possibile con la sostenibilità ambientale.

Però tutti questi sforzi volti a rilanciare, rivitalizzare e ammodernare il settore agricolo resterebbero vani senza una corretta diffusione e un reale radicamento della “cultura del cibo”. È un tasto dolente questo che tocca anche le tematiche dell’assalto mediatico che giornalmente propone prodotti industriali e non del tutto sani e contestualmente dell’azione massiccia della grande distribuzione che veicola come positiva la destagionalizzazione di moltissimi prodotti, disponibili tutto l’anno. Basterebbe sensibilizzare di più i cittadini attraverso programmi intergrati di formazione e informazione sui benefici del mangiar bene e sano per apportare un reale mutamento nello stile di vita in accordo con la salvaguardia dell’ambiente e l’eticità della produzione.

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Autore: Angelica Vecchio
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Un programma ambizioso quanto impossibile. Andare a ritroso e riprogrammare tutto? Un ripristino destinato solo e solamente a fallire, considerando le "distruzioni" avvenute in questo secolo di industrializzazione forsennata, alquanto improvvisata. Quello che succede e sta accadendo, ne è la dimostrazione, convinciamoci, forse, le strade di un rinnovo, sono altrove. - E' qualcosa di meraviglioso il terreno. Benchè possa apparire spoglio e monotono, e spesso anche "sporco", questo strato sottile che ricopre la superficie del pianeta è la base della biosfera, la nostra riserva primaria. Il terreno è vivo come un branco di gnu che emigrano, e affascinante come uno stormo di fenicotteri. Il processo di formazione del suolo è lento. Anche nella migliore delle ipotesi, quando i sedimenti si accumulano rapidamente, perchè si formino 30 centimetri di terreno ci vogliono 50 anni. Perchè si creasse uno strato di uno spessore pari alla lunghezza di una pagina del giornale cittadino "Q", potrebbero quindi occorrere 10 mila anni. L'intervento dell'uomo non è sempre stato positivo. La "mezzaluna fertile" del Medio Oriente, celebrata nella Bibbia per la sua abbondanza, è adesso quasi sterile. Praticamente tutto è stato usato male e troppo, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Es.: poco più di mille anni fa, la Gran Bretagna era coperta di foreste da un capo all'altro del suo territorio. E solo un paio di secoli fa, uno scoiattolo avrebbe potuto percorrere la distanza tra Land's End e John O'Groats senza praticamente toccare il suolo. Come arginare i danni provocati dall'industrializzazione precipitosa? Ma poiché c'è sempre meno terra disponibile e poiché ci si trova davanti a problemi gravissimi, come la disoccupazione e la pressione demografica, bisognerà – prima che ci si trovi davanti danni irreparabili (forse già lo sono) - adottare misure che vadano ben oltre la pura protezione dell'ambiente. Perché, in ultima analisi, il rapporto che gli uomini hanno con la terra rispecchia il rapporto che essi hanno tra di loro.
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