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Molfetta ricorda il suo sindaco Carnicella assassinato 27 anni fa
11 luglio 2019

MOLFETTA - C’era una volta un uomo, un padre, un marito, un Sindaco. C’era una volta una persona perbene che aveva portato una ventata di legalità in quella che per lui non era una missione, ma un atto dovuto, necessario, fisiologico verso la sua, la nostra città, come un dono d’amore in un rapporto in cui chi dona è più felice di chi riceve. Gianni Carnicella, vittima di mafia, una persona perbene, un Sindaco armato di legalità caduto per mani di chi voleva imporre gli interessi personali a quelli della comunità.

Ventisette anni dopo la città ricorda ancora l’uomo e il Sindaco caduto il 4 luglio 1992 e lo fa con un evento pubblico organizzato dalla community “Molfetta in Europa con Paola”. Il prof. Raffaele Tatulli introduce i temi della serata, gli stessi che motivarono l’operato, ma prima ancora, l’esistenza di un uomo che non aveva altri interessi se non il bene per la sua città.

“Non uno qualunque, ma uno perbene con un mandato. I sindaci fanno le cose per necessità, per dovere. Per Gianni Carnicella l’essere sindaco era una missione, la sua. Per questo occorre fare memoria di quell’uomo, del suo essere perbene. Il senso di questa serata è proprio questo: ritrovare le motivazioni dell’essere persone perbene, cosa significa, come si diventa perché oggi più di ieri occorre fare le cose per bene, senza abbassare la guardia. Molfetta necessita di persone perbene e gli ultimi fatti di sangue gridano questo bisogno”.

Elvira Zaccagnino non ha dubbi ma certezze: l’esempio del Sindaco caduto è vivo e pulsante ora più che mai e ritorna  attraverso pensieri di chi  era solo un bambino o lo ha conosciuto solo attraverso letture e ricordi. Come quella bella gioventù che ha interpretato brani di lettura civile intervallati da brani del maestro Luigi Facchini, dal soprano Nana Zarkua e dal duo acustico Marta De Feo e Alessandro Angione.

La gente tifava per Gianni Carnicella. “La gente tifa per noi”, un’affermazione di Giovanni Falcone ripresa da Paolo Borsellino nel discorso pronunciato durante la veglia seguita all’attentato di Capaci. Falcone era consapevole di una fine imminente ma perseguiva con decisione, speranza ed un incrollabile ottimismo la sua missione, certo che la mafia come tutti i fenomeni umani avesse un principio, una sua evoluzione e quindi anche una sua fine. Tre eroi moderni accomunati dalla stessa incontrabile determinazione che li porta a soccombere per mano dei poteri forti mafiosi nell’anno horribilis 1992. Falcone lasciava in un’intervista alla giornalista Marcelle Padovani il suo testamento. 

Cose di cosa nostra non è un libro, è l’essenza di tutto ciò che Falcone non ha avuto il modo ed il tempo di dire, come il nostro Sindaco caduto sul sagrato della Chiesa in un assolato pomeriggio d’estate. La mafia è da combattere, ci ricordano le letture sulla legalità ma prima ancora è da combattere la mafiosità che è l’atteggiamento che porta a tollerare la mafia come qualcosa di inevitabile, è aspettarsi dei favori per aver creato o essere riusciti ad entrare in una rete di dipendenze come afferma ne Oltre i cento passi Giovanni Impastato.

E Gianni Carnicella non si è sottratto al suo inevitabile destino, rimanendo solo come per i giudici Falcone e Borsellino ma consapevoli delle vittorie conseguite grazie al loro sacrificio. La strada è lunga ma si registra la cattura, la condanna e in alcuni casi la  collaborazione di latitanti storici. Oggi le terre confiscate alla mafia sono tornate ad essere fruite dalla comunità e, grazie a cooperative, a produrre frutti come quelli prodotti dalle cooperative sociali Altereco e Pietra di scarto di Cerignola che hanno dimostrato, durante la serata, come l’associazione legalità produzione è cosa buona e giusta.

© Riproduzione riservata

Autore: Beatrice Trogu
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