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Lectio magistralis sul processo di Gesù dell’avv. Giuseppe Scardigno alla Fidapa
Giuseppe Scardigno con Vanna La Martire
10 giugno 2018

MOLFETTA - A distanza di quasi 2000 anni, il processo di Gesù è stato ricostruito in una nuova aula di tribunale: l’Auditorium S. Domenico di Molfetta, da un nuovo avvocato: Giuseppe Scardigno, in un evento di grande prestigio a cura di BPW Fidapa, sezione di Molfetta. 

Il processo più rinomato, controverso ma soprattutto più breve della storia, da sempre al centro degli interessi storico giuridici. Al giurista, esperto di materia in diritto romano, è spettato l’arduo compito di verificare se le norme processuali e penali, romane ed ebraiche, siano state conformi all’operato dei giudici e ci sia stato un equilibrio tra ius e iustitia.    

Dopo l’introduzione della presidente della Fidapa, Vanna La Martire è seguita la lectio magistralis dell’avv. Scardigno. Il processo di Gesù è durato solo tre giorni prima che la sentenza di condanna fosse emessa, frutto di un intreccio controverso di due sistemi giuridici nettamente opposti: quello ebraico e quello romano. Come premessa iniziale, bisogna sottolineare che dal momento in cui la Giudea diventò provincia romana nel 6 d.C., i governatori romani avevano la prerogativa dello ius vitae ac necis (diritto di vita o di morte), quindi la popolazione autoctona conservava le giurisdizioni amministrativa, civile e religiosa ma non quella penale.

L’amministrazione religiosa era regolata dal Sinedrio, collegio sacerdotale, con funzioni consultive, che aveva la prerogativa di giudicare i delitti di tipo religioso. Cristo fu arrestato durante la notte tra il giovedì ed il venerdì dell’anno 30 d.C. da una delegazione di uomini, facenti parte il sinedrio e guidata dall’apostolo traditore Giuda. Sorgono le prime perplessità: chi, nello specifico, ha arrestato Gesù? Le fonti, a cui lo studioso ha fatto riferimento sono il Talmud, uno dei più illustri libri sacri ebraici; i Vangeli, nonostante siano state classificate “opere tematiche” e gli storici Giuseppe Flavio, cittadino romano di origine ebraica e Filone d’Alessandria, filosofo ebraico, le quali hanno tutte opinioni discordanti. Alcune affermano che siano stati alcuni soldati romani, altre, invece, che siano stati alcuni rappresentanti dei ceti dirigenti della società ebraica.

In seguito all’arresto, secondo il Vangelo di Giovanni, in un primo momento Gesù venne sottoposto alla vista di Anna, ex sommo sacerdote ma presidente di uno dei tribunali minori (scelta non facilmente comprensibile poiché non era un caso di piccola levatura, al contrario) nonché genero di Caifa, sommo sacerdote in carica. All’unica domanda posta da Anna: “Perché hai tanti seguaci?”, l’interrogato non rispose e quindi si risolse in un nulla di fatto.

Successivamente, Cristo venne portato al cospetto di ben 70 membri del Sinedrio (numero indicativo perché per la regolarità del processo sarebbero bastati anche solo 23 membri), a cui faceva capo il sommo sacerdote Caifa, anche questa volta il silenzio dell’imputato non smuoveva la situazione. E, solo in un terzo momento fu processato, davanti a rappresentanti delle classi dirigenti ebraiche e agli stessi membri del collegio sacerdotale: l’iter processuale ebraico stabiliva che una sola dichiarazione a favore dell’imputato sarebbe bastata per assolverlo e due testimonianze concordi per condannarlo. Nonostante ci fosse stato l’esame delle prove e un numero cospicuo di testimonianze, furono tenuti in conto solo due testimoni che affermarono di aver sentito il Messia dire queste parole: “Io distruggerò il tempio e lo ricostruirò in due giorni”, il capo d’accusa tanto bramato era arrivato, il silenzio dell’imputato era assordante.

Caifa, prese le redini della situazione, chiedendo capziosamente: “Sei tu il figlio del Benedetto?” ebbe una risposta che non si aspettava: “Io sono!”, traduzione letterale della frase greca “ego emì!”, tetragramma di Javè, nonché forma di blasfemia, che veniva punita con il massimo supplizio: la morte, ma il Sinedrio non aveva lo ius vitae ac necis quindi la sentenza doveva essere emessa dal governatore imperiale.

Nonostante la blasfemia non fosse un capo d’accusa, i sinedriti strumentalizzarono l’imputazione in modo da far risultare Gesù colpevole anche del reato di alto tradimento. A sostegno della calunnia, fu detto che l’imputato si autodefiniva “re degli ebrei”, non riconoscendo l’autorità imperiale. Atto consequenziale fu il condurre l’imputato al cospetto del governatore romano: Ponzio Pilato.

Cittadino romano di rango equestre, da sempre un “antiebraico” in quanto ritenuto colpevole anche di un eccidio dei samaritani, una personalità crudele e spietata, ma in questa circostanza secondo alcune fonti, cercò di non causare disagi all’ordine pubblico. In seguito alla risposta mettendo la decisione ai sommi sacerdoti, i quali pretesero un ulteriore processo per condannare l’imputato definitivamente.

A questo riguardo, l’esperto Scardigno rende la nota la propria tesi: “Gesù non è stato sottoposto a più processi, ma ad uno solo processo bifasico: una prima fase secondo le regole del sistema ebraico; una seconda fase secondo le regole del sistema romano; una istruttoria e una esecutiva”.

In seguito il figlio di Dio fu indirizzato verso Erode, governatore della Galilea, in quanto il nazareno era originario della Galilea, sperando che la situazione si risolvesse in maniera pacifica, ma, quando Erode rimise la decisione al popolo ebraico, esso condannò pubblicamente Gesù al posto del rinomato ladro Barabba. La punizione del condannato fu esemplare: fu frustrato fino allo straziamento delle carni, l’utilizzo della frusta è indicativo dello stato sociale di peregrinus (perché gli attrezzi da tortura si differenziavano in base alla condizione sociale del condannato); fu costretto a portare il patibulum, asse verticale in legno del crocifisso a cui sarebbe stato inchiodato una volta arrivato a destinazione; sotto la sua croce fu messo il titulus, la tavoletta imbiancata su cui era scritti i due capi d’accusa in aramaico, greco e latino “Gesù! Il predicatore, il re dei Giudei!”. L’excursus storico-sociologico-giuridico dello studioso Scardigno, affrontato in chiave problematica, ha sollecitato riflessioni e considerazioni, affidate alla coscienza di ciascuno dei partecipanti.

© Riproduzione riservata

Autore: Marina Francesca Altomare
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