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Le foibe, una tragedia italiana ricordata all’Aneb di Molfetta
Il prof. Angelantonio Spagnoletti
12 marzo 2019

MOLFETTA - Indispensabile l’utilizzo del microscopio e del cannocchiale per meglio comprendere la storia: il primo serve ad analizzare in maniera ravvicinata i comportamenti dei singoli, l’utilizzo del secondo, invece, arriva laddove il primo non riesce per captare nel complesso i sistemi comportamentali di un’intera popolazione. Sono queste le premesse della conferenza tenutasi all’Aneb di Molfetta dal titolo “Le Foibe: una tragedia italiana” a cura del prof. Michele Spadavecchia, presidente dell’associazione “Eredi della Storia” -Sezione di Molfetta e del prof. Angelantonio Spagnoletti, che insegna Storia Moderna presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.

Una breve ma efficace presentazione dei quadri storici a partire dall’inizio 800 sino al 900 ha agevolato lo svolgimento della conferenza: dal mosaico etnico rappresentato dalla Repubblica di Venezia, nota anche come la Serenissima, all’etnografia dell’Impero austro-ungarico, nel quale la presenza di italiani, in prevalenza sulla costa, rappresentava una dicotomia con gli sloveni e i croati, presenti invece maggiormente nelle zone interne. 

Il neo degli italiani, che ha gradualmente trasformato la situazione, sarebbe stato quello di aver esercitato professioni medio/alte servendosi di personale non italiano: è a questo punto che prevalse lo spirito nazionalista, quello che portò moderati come Bettiza a rimpiangere il carattere multietnico dell’impero austro-ungarico. Lo stesso in cui la prevalenza croata tendeva a porre un freno alla minoranza italiana, che Vienna avrebbe aspirato ad annettere all’impero come terza componente effettiva, situata perlopiù in Istria e in Dalmazia e animata da sentimenti irredentisti e patriottici, tenuti a bada sono nel 1920 con il trattato di Rapallo con cui si ottenne l’annessione dell’Istria all’Italia. 

Una situazione analoga a quella che avviene ancora oggi per quel che concerne il Sud Tirolo fu la snazionalizzazione degli slavi, che comportò la conseguente nazionalizzazione forzata di questi ultimi come popolazione italiana a tutti gli effetti: è questo quanto accadde sotto lo squadrismo fascista del primo dopoguerra, che proibiva l’uso della lingua slava in qualsivoglia ambiente pubblico.

A conclusione dell’intervento del prof. Angelantonio Spagnoletti, i presenti hanno avuto le basi per comprendere come, all’avvento della Seconda Guerra Mondiale, ci fosse già il terreno per il conflitto etnico, civile ed ideologico sfociato nella tragedia delle foibe, il cui nome deriva da quegli inghiottoi carsici nei quali furono gettate le vittime italiane. 

A proseguire il racconto storico è il prof. Michele Spadavecchia, il cui discorso ha preso avvio con la Riforma Gentile dei primi anni fascisti, che vietava di scrivere nomi stranieri, per poi passare alla sempre più radicale nazionalizzazione dell’Italia che vide emigrare tantissimi contadini verso le industrie che rappresentavano contenitori politici a tutti gli effetti in quanto fungevano da apripista alle nuove ideologie comuniste, prima fra tutte la lotta di classe che inasprì gli animi slavi contro gli italiani. 

La dittatura di Rankovic nel regno di Iugoslavia portò lentamente allo scoppio di guerre civili, proprio perché sangue chiama sangue, fino alla morte dello stesso re che avvenne a Parigi durante una visita diplomatica. A capo degli insorti, in croato “Ustascia”, si pose Ante Pavelíc; gli insorti trovavano rifugio pressi i campi di addestramento italiani, coi quali si sarebbero alleati in seguito per ottenere l’indipendenza. Nella nuova Croazia governata dallo stesso Ante Pavelíc, presto rivelatosi dittatore, coesistevano i monarchici e i partigiani comunisti, sotto il dominio di un re che, tessendo rapporti con Hitler, abbracciò le idee filonaziste. 

Il far prevalere la propria religione, quasi nell’ottica medievale che diede luogo alle crociate, era persino più importante della vita stessa. Anche gli italiani furono costretti ad affrontare la violenza diffusasi: toccò loro fronteggiare le stragi di massa ad opera dei partigiani jugoslavi e dell’Ozna in un clima di terrore e di odio ancor peggiore rispetto a quello che si era respirato nelle trincee durante la Prima Guerra Mondiale.

La pratica delle foibe si inserisce, infatti, all’interno di una tecnica terroristica e fa parte, assieme all’esodo, del periodo dello slavismo ai danni dell’italianità. 

Ed ecco come, seppur a distanza di tanti anni, viene ricordata una delle tragedie italiane, la cui giornata del ricordo è fissata per il 10 febbraio, che ha maggiormente segnato la storia del nostro Paese. 

 

Sara Fiumefreddo

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