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Lavoro per i settentrionali e rischio di persona. “IO SONO MERIDIONALE”, le risposte dei giornalisti di “Quindici” alle offese di Vittorio Feltri
Marina Francesca Altomare di "Quindici"
04 maggio 2020

 MOLFETTA – I giornalisti di “Quindici”, la nostra bella redazione, della quale siamo orgogliosi, dopo la campagna “RESTATE INFORMATI MA RESTATE A CASA”, tornano in pista con la campagna “IO SONO MERIDIONALE”, per esprimere le loro opinioni, rispondendo alle offese di Vittorio Feltri direttore editoriale del quotidiano “Libero”, il quale nella trasmissione “Fuori dal coro” di Rete 4 condotta da Mario Giordano, ha offeso i meridionali dicendo che non soffrono di complessi di inferiorità, ma sono inferiori.

Le reazioni a questa campagna di odio, insulti e diffamazione sono state immediate, sia sul piano penale, sia su quello disciplinare con la richiesta all’Ordine dei giornalisti (abbiamo firmato anche noi) di radiare Feltri, indegno collega e indegno cittadino italiano.

Dopo Beatrice Trogu, continuiamo con Marina Francesca Altomare. Ecco il suo articolo:

 

Mi stavo interrogando sulla parola “meridionale”, l’etimologia della parola indicata sul vocabolario Treccani, spiega che l’aggettivo meridionale derivi dal latino tardo meridionalis, der. di meridies (v. meriggio), sul modello di septentrionalis, semplice accezione geografica, strumentalizzata come etichetta dispregiativa, e finanche come insulto.

Mi sono chiesta come fosse possibile trasformare un aggettivo così bello, legato al meriggio, alle ore pomeridiane, alla golden hour del tramonto (il momento della giornata che preferisco in assoluto), in qualcosa di discriminatorio, ai limiti dell’assurdo.

Mi sono chiesta come meridionale, l’aggettivo utilizzato per descrivere il mio popolo multietnico del Sud, così fiero della propria storia, così mio, possa essere meramente utilizzato come insulto, ai limiti del credibile.

Non sono una storica, né una linguista, né tantomeno una latinista, ma sono una ragazza meridionale, un’aspirante donna, che desidera affermarsi in una nazione che di nazionale ha solo lo spirito. Sono un’appassionata di letteratura, una ragazza molfettese che ha deciso di intraprendere gli studi presso l’illustre Università degli Studi di Bari, che ha conseguito la laurea magistrale in Lettere Moderne e che da febbraio 2019 sta aspettando di entrare nel difficile, quasi ineffabile mondo dell’insegnamento, con la consapevolezza che le uniche possibilità che avrei sono al Nord, nel Settentrione.

Possibilità che ha dovuto, per forza di cose, cogliere Paola, la mia amica infermiera che da gennaio 2020 sta lavorando al Nord, a Milano, nell’ambito dell’assistenza domiciliare sanitaria. La 24enne molfettese Paola, laureata ad aprile 2019, “fa bagagli e burattini” e va via dalla sua città, dalla sua famiglia, da me. Occhi azzurri, capelli biondi, erre moscia ed un coraggio da vendere, il peso della sua decisione da portare sulle sue esili spalle.

Mi ricordo benissimo l’entusiasmo con cui accolsi la sua decisione: “vai Paola, vai via da qui, non c’è niente per noi, insegui il tuo sogno e sii felice, anche per me!”, il giorno prima che partisse il solito appuntamento per i nostri amati caffè, nel nostro solito bar, gambe leggere ma cuore pesante, l’ennesima persona che deve partire per potersi realizzare, l’ennesima mina vagante per l’Italia che però questa volta è mia Amica.

Ricordo benissimo le prime chiamate a gennaio “Paola come va?” “Tutto bene Rozz (il nomignolo con cui è solita chiamarmi teneramente), il lavoro mi piace, i colleghi del team sono giovani e gentilissimi, mi hanno accolto bene!”

“Sono fiera di te amica mia, continua a splendere come hai sempre fatto, continua a migliorare le giornate delle persone che ti circondano!”.

Poi febbraio: “Paola come va?” “Mari (il tono si fa più pesante, più serio) i pazienti da seguire sono tanti, ma io sto bene, va tutto bene, con le coinquiline vado d’accordo, non ti preoccupare”.

Ed io non mi sono preoccupata piccola grande Paola, così tenera, ma così forte, credo davvero al fatto che tu stia bene, tu sei sempre stata bene ovunque e con chiunque.

Poi marzo, inizio dell’incubo, il COVID-19 s’impossessa dell’Italia, della Lombardia, regione in cui vive la mia amica infermiera: “Paola come va?”.

“Rozz sto bene, il lavoro procede, mi hanno dato tante altre responsabilità, probabilmente credono in me. Stiamo continuando a lavorare in ufficio perché non siamo molti, per il momento tutto procede”.

“Ovvio che ti hanno dato altre responsabilità, sei brava e se ne sono accorti! Stai attenta Pablit (nomignolo con cui sono solita chiamarla teneramente), mi raccomando, tienimi presente, sono qui” anche se non è vero che io sono lì, io sono qui, io sono a Molfetta e tu sei a Milano ma ci sono, da sempre e per sempre.

Fine marzo: “Rozz come stai? In ufficio hanno incominciato ad adottare le misure di sicurezza, mi hanno vietato di prendere la metro per evitare di essere contagiata, adesso ho un’autista che mi accompagna a lavoro e mi riporta a casa, ci credi?!  Ride, rido: “Si Paola, ci credo, principessa eri e principessa rimarrai”.

Battuta per celare le mie preoccupazioni, stai attenta amica mia, mi raccomando, sono con te, come sempre.

E poi aprile: “Rozz ti disturbo? Sai, mi stavo annoiando perché il medico di riferimento mi ha messo in malattia. Ho la febbre da martedì scorso e quindi vuole tenermi sotto controllo, ma non ti preoccupare, non ho altri sintomi, ho solo questa maledetta febbre ma potrei anche continuare a lavorare. Mi dispiace di aver abbandonato i miei pazienti anche se solo per 3 giorni, sai una signora doveva dirmi come fosse una nuova ricetta di pancakes, mi dispiace non averla più sentita”.

Mi cade il mondo addosso, Paola malata? Paola lontana da casa malata? Battito del cuore nell’orecchio, incomincio a deglutire la saliva prodotta in eccesso, blocco il processo di iperventilazione ma cerco di non prendere altro tempo, lei ha bisogno di leggerezza, lei ha bisogno del mio supporto.

“Paola stai tranquilla, la ricetta della signora sarà sicuramente buonissima, appena potrai richiamarla, te lo dirà lei personalmente, è giusto che ti riposi, la febbre è comunque debilitante, prendi questi 3 giorni per rilassarti: leggi un buon libro, ascolta un po' di musica, goditi questo meritato riposo”.

Andrà tutto bene, vero?
“Si Rozz, qualora dovessi aver contratto il virus sarei contenta di averlo avuto in questa forma così lieve, io ho un leggero mal di testa ma passerà, non ti preoccupare. Mi ripeto tutte le mattine, soprattutto quando è iniziato il caos, quando uscire di casa mi sembrava la cosa più spaventosa del mondo, il mio giuramento: “faccio questa promessa solennemente, liberamente e sul mio onore” e non si torna indietro. Chi resta non ha meno paura di chi scappa semplicemente la affronta”.

Quanta dolcezza c’è in questo “non ti preoccupare”? Io sto bene, non ti preoccupare è una delle frasi più belle che si possano dire in assoluto. Io ti rendo partecipe del mio stare bene così fondo ogni tuo dubbio sulle mie condizioni.

Amica mia, io mi preoccuperò sempre per te, sarà che mi sento un po' una sorella maggiore anche se non ho niente da puntualizzare, mi sono sempre fidata del tuo ottimo giudizio, mi hai sempre dato prova di questo, non sei mai stata un’incognita ma una certezza.

Amica mia, tu meridionale come me, sei andata a coordinare le misure sanitarie di pazienti settentrionali, tu da meridionale non sei fuggita dalla zona rossa che è diventata la Milano che ti ha accolta e ti ha dato un futuro, ora non più così roseo come credevi, non sei tornata a casa e non potrai farlo in tempi brevi perché devi tener fede al giuramento di Ippocrate proclamato durante la tua seduta di laurea, devi tener fede al lavoro che hai scelto di svolgere, devi tener fede alla persona che sei diventata.

Tu, cara anima affine alla mia, sei l’orgoglio del Meridione, della Puglia, della mia vita e non ci potrà mai essere nessuno che possa sminuirti definendoti tale.

Tu sei meridionale sì, sei meridionale perché sei nata a Molfetta, perché sei pugliese, ma soprattutto perché ti preoccupi più della mia reazione alle informazioni che mi fornisci su di te che alle notizie in sé, ti preoccupi più dell’esito della ricetta dei pancakes della signora che delle tue condizioni di salute, ti preoccupi più della vita che sta facendo tua nipote, in America, lontana da te, dalla tua famiglia, che della tuo malessere momentaneo.

Grazie all’etica delle persone come te, posso finalmente credere al ridondante hashtag #andràtuttobene, sì andrà tutto bene cara Amica mia, non vedo l’ora di abbracciarti!

Questi sono i meridionali, che tu definisci “inferiori” caro Sig. Feltri, quelli che vengono ad aiutare la gente del Nord, rischiando di persona. E ora vergognati, anche come indegno giornalista!

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Autore: Marina Francesca Altomare
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