Recupero Password
Lavoro e laureati, a Molfetta cresce la disoccupazione
15 gennaio 2013

Lavoro, sinonimo di incubo, angoscia e scoraggiamento. Nonostante nel terzo trimestre 2012 si sia registrato una diminuzione del tasso di disoccupazione (9.5% rispetto al 10.4% del primo trimestre), la disoccupazione in Italia ha toccato una media del 10%, di gran lunga superiore rispetto agli anni passati (8% nel 2011, 8.1% nel 2010, 7,5% nel 2009). Inquietanti i dati sulla disoccupazione al Sud: 16,18% la media (+3% rispetto al 2011), con 15,7% per gli uomini e il 18,9% per le donne. Non secondarie le percentuali in base al titolo di studio: il 6,5% dei laureati è oggi disoccupato, dato che quasi si raddoppia al Sud con una media del 10%, mentre sono peggiori le condizioni dei diplomati con un 9,2% su scala nazionale e un 15,8% a Mezzogiorno. Emigrare all’estero, la soluzione scelta dai giovani laureati che non trovano lavoro in uno Stato incapace di produrre posti di lavoro. Ma emigrare è più facile da dire che da fare. I laureati in lettere e giornalismo all’estero possono fare ben poco. Lo stesso vale per gli avvocati. I laureati in giurisprudenza, esperti di leggi italiane, nei Paesi stranieri interessano poco. I titoli di studio italiani a volte non sono neanche riconosciuti. Lasciare il proprio Paese significa, soprattutto, lasciare tutto quel poco che è stato costruito con tanta fatica negli ultimi anni. L’Italia è l’unico tra i grandi Paesi europei ad avere una “bilancia commerciale dei cervelli” (brain drain) in negativo. Ogni anno il numero di laureati che emigra è superiore al numero di laureati che arriva. Più ignoranti ogni anno che passa. Secondo l’Economist, «la produttività dei lavoratori dipende dalle loro competenze, dall’entità del capitale investito per aiutarli a fare il loro lavoro, e dalla capacità di fare innovazione». Nell’economia attuale, il capitale-cervello di un sistema-paese è ciò che conta. E l’andamento del brain-capital di una nazione è l’indicatore del suo sviluppo o declino. Quello italiano è in impoverimento continuo da oltre 20 anni. Per di più, i laureati che arrivano in Italia sono mediamente di qualità inferiore rispetto a quelli che partono. Svolgono anche mansioni di qualità e responsabilità inferiori, e meno orientate a lavori di tipo scientifico. Infine, il laureato italiano, anche se di livello e preparazione elevate in campo scientifico, in Italia è sottopagato e male utilizzato rispetto al laureato straniero. Perché questa situazione? L’Italia non è la Germania, ma nemmeno la Grecia. Le ragioni sono essenzialmente due. La prima è il carico elevato degli oneri sociali sui contratti di lavoro dipendente, con la possibilità per l’impresa di assumere in modo precario il neolaureato. La seconda è la mentalità dell’imprenditore italiano, che preferisce il perito industriale all’ingegnere. Non si spiegherebbe la differenza di stipendio tra i due al primo impiego (spesso non supera i 100-200 euro al mese). Né il fatto che il primo stipendio di un ingegnere assunto a progetto da un’impresa italiana sia intorno a 1.300 euro al mese, contro i 1.800-2.000 offerti con contratto a tempo indeterminato allo stesso ingegnere dall’impresa olandese o tedesca concorrente. È problema culturale italiano. Questo atteggiamento mentale, che sottovaluta il ruolo della conoscenza scientifica e della ricerca e sviluppo nella creazione di valore per l’impresa, è testimoniato dall’1% del PIL investito in Ricerca e Sviluppo. Infatti, gli imprenditori italiani rappresentano meno della metà degli investimenti totali in Ricerca e Sviluppo, contro il 56% della media EU, il 67% dei loro colleghi USA, il 72% degli imprenditori giapponesi. Questo modello industriale fondato sulla ricerca del più basso costo, invece che del più alto valore, non funziona. Gli obiettivi devono essere chiari: ridare competitività alle retribuzioni offerte ai neo-laureati eccellenti rispetto alle proposte che arrivano loro dall’estero e subordinare lo sgravio contributivo alla stabilizzazione del rapporto di lavoro. In particolare, aiutare le imprese in termini di costo del lavoro lordo su questi profili a elevato valore aggiunto. Preoccupante anche la tematica sociale: in Italia la società è molto poco meritocratica. A cinque anni dal titolo, il 75% dei laureati di estrazione borghese ha un contratto stabile, contro il 60% dei loro coetanei di famiglie operaie. Stesse disparità per l’ambito retributivo. I laureati della borghesia, dopo cinque anni, hanno uno stipendio netto mensile di 1.404 euro, fermo invece a 1.249 euro per i lavoratori di estrazione operaia. Dopo anni di studio e sacrifici, il numero di chi accede al mondo del lavoro a un anno dalla laurea è in calo e si allungano i tempi di attesa prima di trovare una sistemazione lavorativa. Emerge la voglia di lavorare, di impegnarsi concretamente, ma soprattutto un grande amore per la propria terra, ingrata, che nessuno vorrebbe lasciare.

Autore: Andrea Saverio Teofrasto
Nominativo
Email
Messaggio
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet