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La Siciliana
15 gennaio 2013

Questa storia, vera in ogni suo particolare, l’ho ritrovata in un cassetto dopo anni, e l’ho riletta con la stessa malinconia e senso di colpa per non aver potuto fare di più. La fisionomia del vicolo non è cambiata, anche se gli abitanti sono cambiati quasi tutti. La fine della storia è ancora avvolta nel mistero. L’uomo coi capelli lunghi è sul balcone, guarda fisso davanti a sè. Lo si vede poco, l’ultima volta imprecava contro Giusi, la siciliana, che col suo eterno salutare e chiamare chi passa distruggeva la quiete della controra era fine estate e per noi le ore della siesta sono sacre, ho sentito Giusi rispondere con impudenza e la discussione si è protratta. Sto preparandomi il caffè e guardo la scena dal balconcino della cucina che dà sul vicolo, proprio al suo inizio ma perpendicolarmente, in posizione intermedia fra il lato di Giusi e quello dell’uomo del gesso. E’ uno strano vicolo il nostro, brevissimo, poi si congiunge con la strada che scende giù dall’altra parte del palazzo ottocentesco dove abito e si forma così una specie di y di cui il segno più breve è il vicolo in questione. Anche se non guardassi fuori non potrei non sentire i continui, salottieri saluti di Giusi: “Buongiorno maestro... buona giornata maestro... buon lavoro maestro...”. Saluta così l’ex netturbino, saluta l’orefice, l’orologiaio e chiunque passa. Qualche giorno fa, non ho visto chi – era una voce d’uomo – qualcuno la imitava: “Buongiorno maestro, buona giornata maestro, vaffanc... maestro!”. Ci dev’essere rimasta male perchè per un giorno almeno, è stata affacciata al balcone, come al solito, ma zitta. Alle volte si sporge dall’interno con la sola testa china in avanti e sembra una lumaca che metta fuori il capo dal guscio. All’interno della sua casa, ad un piano solo, si accede da un portone di legno marrone scuro: scale ripide e due stanze senza riscaldamento, ora col bagno e l’acqua corrente, è una casa del Comune e gliel’han fatta sistemare perchè diventasse abitabile, quando è venuta qui dalla Sicilia col marito, ci si sono messi dentro abusivamente e nessuno è più riusciti a mandarli via. Non avevano niente, le Dame di carità, le Volontarie Vincenziane, come si chiamano ora, sono andate a trovarla e le han promesso di portarle un po’ di biancheria. Non la conoscevo ancora e così mi ha raccontato una di loro che ha chiesto se, per favore, le lenzuola potevano portargliele nere. Ho pensato a raffinatezze erotiche e invece lei aveva spiegato alle Madame, - così le chiama – che era meglio così, perchè non avendo acqua corrente in casa, non si sarebbe visto lo sporco. Poi, dopo un certo tempo le Madame sono tornate a trovarla, hanno aperto l’armadio che era riuscita a procurarsi e hanno avuto sulla testa un gran mucchio di buste di plastica piene di indumenti ammuffiti, ormai inutilizzabili, indumenti che si faceva dare girando per le parrocchie e che poi conservava come una formica. Quando ebbe un bambino – non so se era già nato quando vennero qui – per i primi anni lo lasciava solo in casa per ore, e noi vicini lo sentivamo piangere e lamentarsi, e una volta che son salita da lei ho visto che lo lasciava nel box con vecchi giocattoli e il bambino non riusciva più nemmeno a camminare. Poi ha cominciato a temere che glielo togliessero per metterlo in Istituto o darlo in affido, forse allora si è svegliato l’istinto materno di Giusi e ha cominciato a lavorare facendo pulizie nei portoni. Il marito, a suo dire, la spingeva alla prostituzione e spesso lei è venuta a casa mia, anche di sera tardissimo, a piangere e lamentarsi che il marito l’aveva buttata fuori di casa col bambino perchè lei non voleva prostituirsi. Ogni tanto ospitavano una sorella di lui, una donna molto giovane, con una faccia da bambola che le gote e gli occhi truccati in modo violento non riuscivano a rendere equivoca, veniva col suo bambino, bellissimo, biondo, un anno o poco più. Le ho chiesto una volta l’età del bambino e mi ha risposto che non se lo ricordava, e non c’è stato verso di saperne di più. Giusi è sempre sul balcone, col suo fisico minuto da ragazzo, una gran chioma che a volte si fa tagliare cortissima e il bambino è con lei; qualche volta se lo abbraccia stretto e ridono insieme. “Qualunque madre è meglio dell’Istituto”, mi ha detto una volta l’assistente sociale, ma Giusi non lo sa e continua ad averne una grande paura e non si fa viva quando le mandano la cartolina perchè si presenti ai servizi sociali, finchè non vengono i carabinieri e lei li aggredisce dicendo: “State attenti, io sono palermitana!”, e tutto si colora di farsa. Il bambino, bene o male cresce, è una piccola peste, ma i suoi occhi sono dolci e intelligenti, ha cominciato la scuola elementare. Una volta è venuto in Parrocchia, dove ero con altre Volontarie per cercare di dare un piccolo aiuto a gente in un mare di necessità, e ha cominciato ad aprire gli armadi dei paramenti sacri, a gettare per terra giornali e bollettini parrocchiali finchè l’ho chiamato e sul rovescio di un foglio ciclostilato ho cominciato a disegnare: era incantato. Mi suggeriva i soggetti, poi ha preso il foglio, lo ha piegato con cura e mi ha chiesto se poteva portarlo via. La madre come al solito parlava, parlava e diceva “Hai capito? Mi hai capito?” e non c’era verso di fermarla. Giusi poteva anche diventare prepotente, tanto che una volta il parroco,esasperato dalle sue continue, pressanti richieste, l’ha mandata viaafferrandola per un braccio e portandola verso la porta. Mi hanno raccontato poi che quando il parroco è andato a dir Messa è arrivato il marito che ha cominciato a sbraitare in fondo alla Chiesa, poi è salito sull’altare e ha minacciato di ucciderlo, finchè sono arrivati i Vigili e, devo ammettere, anche questa volta è finita in farsa, nonostante lo spavento del Parroco e delle più fedeli parrocchiane che hanno avuto da raccontare per diversi giorni. Il marito non era certo il tipo da violenze pericolose, forse aveva bevuto, ma quella che beveva e fumava era lei, l’ultima volta che è venuta a casa mia con richieste di aiuto, ho potuto constatare che il suo corpo da ragazzo era in realtà denutrito e il viso, che da lontano sembrava grazioso, era un volto devastato dalle privazioni e dall’alcol. Un giorno che son passata davanti a casa sua Anna, la mia vicina il cui balcone è proprio al limite, fra la piazza e il vicolo, si godeva i miei tentativi di districarmi dagli appelli di Giusi. “E’ proprio un tormento quella Giusi – mi ha detto poi – ma mi fa pena, fa così perchè ha bisogno di parlare con qualcuno. E’ come un albero piantato in mezzo alla via (è un nostra espressione popolare)”. Me le sono ricordate dopo qualche mese le sue parole. Il bambino esce spesso col padre, da un po’ di tempo, so che se lo porta appresso quando va a fare i polpi, ce ne sono quasi a riva da noi, vicino agli scogli. D’estate è quasi sempre sul balcone, spesso da solo, siede su uno sgabellino basso oppure sul pavimento del balcone con le gambe giù dalla ringhiera, così l’ho visto, abbronzato e vestito dei soli slip, un giorno di questa strana estate. La Capitaneria di Porto aveva avvertito di chiudere persiane e balconi perchè arrivava dal mare una tromba d’aria, l’avevano avvistata a pochi chilometri di distanza. Il cielo delle prime ore del pomeriggio aveva assunto un colore ocra fangoso, il vento era molto forte e faceva mulinelli. Un silenzio innaturale gravava sul vicolo, deserto se non fosse stato per la figurina di Gianni, il bambino, che seduto sul balcone, con le gambe penzoloni, strappava un foglio di carta molto lentamente e guardava poi i brandelli di carta portati su e giù dal vento ormai impetuoso. Gli ho gridato di entrare dentro e così lei è uscita sul balcone. “Andate dentro, sbrigatevi!”, ho detto mentre quasi non riuscivo a tenere le persiane per il vento. Gianni rideva felice inseguendo con lo sguardo i frammenti di carta che roteavano impazziti e lei ha cominciato una delle sue sfilze di domande e richieste, il vento, pochi attimi dopo, faceva da padrone incontrastato nel vicolo. Son venuti due o tre volte i carabinieri, volevano toglierle il bambino per darlo in affido. E’ venuta a casa mia piangendo, voleva telefonare in Sicilia ai parenti per tornarsene lì con il bambino. Si ferma meno tempo sul balcone, ieri però, appena alzata, non avevo ancora aperto le persiane del balconcino, ho sentito la sua voce. “Buongiorno maestro, buona giornata maestro, buon lavoro maestro”... Ho sorriso fra me pensando che la voce di Giusi era in fondo un punto fermo, un modo per sentirsi inseriti nella realtà serena delle piccole cose di ogni giorno. La sera mi ha telefonato la corrispondente di una emittente televisiva locale: “Sai dirmi il cognome da ragazza della donna trovata morta in mare? Abita vicino a casa tua”. Ho stentato a capire – o non volevo – che si trattasse di Giusi, l’avevano trovata sulla riva a poca distanza dal lungomare, all’imbrunire. E subito son cominciate le ipotesi fantasiose: è morta perchè sapeva troppe cose, sempre lì sul balcone, e l’hanno uccisa… è caduta in mare perchè ubriaca… si è suicidata... le avranno tolto il bambino, ho pensato con un greve senso di colpa. Comunque un’ora prima Giusi era sul balcone e salutava l’orologiaio, me lo ha poi detto lui. Sono trascorsi alcuni giorni. Il più importante quotidiano del Sud ha pubblicato nella cronaca locale che una giovane prostituta siciliana è stata trovata morta annegata, nuda. Con Anna, la mia vicina di balcone, abbiamo commentato che Giusi l’avevano infangata anche da morta. Ho incontrato il marito: giubbotto di pelle, pantaloni attillati e aria da vedovo inconsolabile. Mi ha detto che col bambino se ne andranno in Toscana da un parente che gli ha trovato un lavoro e che Giusi si è annegata perchè volevano toglierle il bambino e non ce l’ha fatta più. Ad un’altra persona ha detto invece che un medico le aveva diagnosticato una cirrosi epatica e che le restavano solo tre mesi di vita e non ha voluto aspettare. La verità non la sapremo mai. I vetri del balcone di Giusi sono chiusi, lo sgombero di poche, povere cose è stato fatto. C’è silenzio ora nella strada, all’ultimo balcone ho rivisto per un momento l’uomo con i capelli lunghi: guardava fisso davanti a sè e sembrava personificare la cattiva coscienza del vicolo. © Riproduzione riservata

Autore: Marisa Carabellese
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