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La doppia Europa e i timori degli investitori
Salvini, Le Pen
20 giugno 2019

Le elezioni europee che si sono tenute due settimane fa hanno disegnato una nuova scenario che, anche se in misura inferiore rispetto alle previsioni della vigilia, muta in parte non solo la composizione del Parlamento di Bruxelles, ma soprattutto la prospettiva e la direzione di questa Europa.

La geografia politica del continente sembra cambiata rispetto a cinque anni fa. Le forze sovraniste, o sedicenti tali, hanno vinto in due paesi chiave, Italia e Francia, e hanno sperimentato un’avanzata generalizzata in tutto il Continente, ma non hanno sfondato nel cuore dell’Europa, ossia in Germania; menzione a parte merita la Gran Bretagna, dove il Brexit Party ha letteralmente spazzato via i competitors grazie all’espressa volontà di rompere definitivamente i rapporti con l’UE. Popolari e socialisti hanno perso praticamente ovunque in termini di consenso, con rare eccezioni (es. la Spagna), ma grazie alla tenuta dei Liberali e al boom dei Verdi, potranno continuare a governare l’Europa. Con quali obiettivi?

Anche guardando ai risultati delle forze di sinistra radicale, storicamente sostenitrici della necessità di costruire un terzo spazio, alternativo tanto agli europeisti acritici quanto ai sovranisti, che hanno visto dimezzare ovunque i voti conquistati 5 anni fa, l’impressione è che agli occhi dei cittadini europei le strade siano soltanto due. Da un lato, l’Europa così com’è, magari con qualche cambiamento nel senso di un’integrazione ancora più rafforzata; dall’altro, la fine dell’UE, o comunque il ripristino di maggiori spazi di manovra per gli Stati nazionali. La frammentazione uscita dalle urne difficilmente risolverà il dilemma. Non a caso, Germania e Francia hanno, di fatto, costituito una propria piccola (grande) integrazione con il Trattato di Aquisgrana, che rischia seriamente di far venir meno la terra sotto i piedi di un’Unione che traballa già di suo. Non tanto la verbosità dei Salvini o degli Orban di turno, quanto gli indirizzi economici dei capitalismi nazionali appaiono ormai sempre meno conformi all’idea di un Sovrastato che tiene insieme i cocci (si veda il caso della mancata fusione tra Fca e Renault). Quale futuro, dunque, per questa Europa?

Dal punto di vista degli investimenti, le regole di Bruxelles continuano a stonare. I vincoli imposti dai Trattati, specie quelli relativi agli obiettivi della Bce, rendono il mercato europeo uno spazio asfittico. L’inflazione è troppo bassa per consentire il rilancio della domanda, e le regole di bilancio, compresa la follia delle letterine, impediscono agli Stati di praticare una politica inflattiva che possa produrre uno shock benefico alle economie. Se fino a qualche anno fa gli investimenti erano garantiti dai tagli ai diritti e ai salari (=Austerità), giustificati sull’altare dell’interesse comune (o comunitario?), oggi questa gamba del tavolo è venuta meno, per il semplice fatto che non c’è più nulla da tagliare. L’aggressiva politica del presidente Trump, oggi rivolta soprattutto verso la Cina, potrebbe ben presto avere l’Euro e la Germania come obiettivi privilegiati; Germania che, dopo aver costruito un’UE a propria immagine e somiglianza, si trova ora a far fronte alla crisi del modello mercantilistico, con una contrazione dell’export che, nel breve periodo, rischia seriamente di provocare ripercussioni interne, con la manodopera nazionale già sul piede di guerra. Insomma, una polveriera degna di tempi più oscuri.

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