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La difficile scelta di essere eretici: incontro “Eresia e innovazione” con le scolaresche presso il Museo Diocesano a cura della Fondazione Guglielmo Minervini
20 gennaio 2018

MOLFETTA - La tendenza a distogliere la mira da qualsiasi obiettivo il cui raggiungimento comporta sacrificio e a lasciarsi trascinare da una realtà spesso ingannevole ed approfittatrice sta rendendo i giovani sempre più lontani dal credere che, in un futuro non poi così lontano, si possa veramente diventare qualcuno. È per questo che ai ragazzi di oggi piuttosto che parole bisogna portare fatti, piuttosto che astrazioni bisogna portare modelli.

Con queste prerogative nasce l’incontro esteso alle scolaresche “Eresia e innovazione: la bellezza salverà il mondo”, organizzato dalla Fondazione Minervini e dalla Fondazione Don Tonino Bello e tenutosi presso l’Auditorium “Achille Salvucci” del Museo Diocesano di Molfetta. Interventi a cura di don Salvatore de Pascale, teologo e parroco della Parrocchia Immacolata di Adelfia, Maria Turtur, Fondazione Guglielmo Minervini e don Jean Paul.

Sono figure emblematiche come quella di Guglielmo Minervini, che è stato sindaco di Molfetta nel ‘94 e quella di mons. Antonio Bello a poter tenere viva una speranza che sembra spegnersi alla velocità della luce. Si tratta di due personaggi che, pur avendo operato in ambiti differenti, si sono distinti lasciando un segno, lo stesso che le fondazioni sorte in loro onore si ripropongono di trasmettere alle nuove generazioni per renderlo tangibile anche a distanza di anni.

Il quid in più che possedevano i due personaggi non è emerso in eventi straordinari, ma è emerso in maniera straordinaria nella quotidianità. L’uno capo politico, l’altro capo spirituale, avevano entrambi capito che il beneficio del potere non era il potere stesso, bensì il servizio per la comunità derivato da esso. Una rivoluzione che non partiva dall’ “io”, ma partiva dal “noi”. Un noi che sembra non esistere più. Sarà la carenza di luoghi di dialogo e di incontro, la crisi d’ amore, la mancanza di una guida oppure la brama di prevaricazione, fatto sta che gli individui del ventunesimo secolo non si riconoscono più all’interno di una comunità.

Lo dimostra la risposta alla domanda provocatoria che il parroco ha rivolto agli studenti: “Chi di voi crede nei sogni?”. Poche le mani alzate, alcune titubanti, altre proprio irremovibili. Se la gioventù non crede nei sogni, chi può farlo? 

Risulta quasi impossibile coltivare dei sogni quando si è inglobati in un meccanismo che mette al primo posto le esigenze pratiche e il materialismo piuttosto che la fertilità del tessuto sociale. Un esempio concreto? La scelta universitaria. Non c’è decisione che non sia sofferta, è la metafora del “Pathei mathos”, Eschilo docet, ma questa scelta il più delle volte sembra comportare esclusivamente dolore. Dolore nella rinuncia alle proprie aspettative, dolore nel percepire il rumore dello scrigno dei propri sogni che cade a pezzi. Ma il teologo ha invitato i ragazzi a non mollare. Lo avrebbe detto don Tonino, lo avrebbe detto Guglielmo Minervini e lo avrebbe detto chiunque avesse voluto portare avanti un terreno sociale ricco e non omologato di fronte al concretismo. Sarà questa un’altra delle ragioni che impedisce la costituzione di una vera e propria comunitá? È probabile, ed è per questo che de Pascale ha voluto impedire ai ragazzi presenti di abbattersi. La comunità non può fondarsi su una gioventù affranta; certo, non può neanche fondarsi su mere illusioni.

Ma i sogni non sono sempre un’illusione: rappresentano il motore delle azioni umane. Chi coltiva una speranza non è un fallito che non sa restare con i piedi per terra; chi coltiva una speranza e ci crede fortemente ha davanti a sé una strada spianata in cui potrà lasciare la sua impronta (la stessa che, simbolicamente, viene consegnata agli studenti in ricordo dell’incontro).

Pregnante di significato il gesto con cui la conferenza si è conclusa: gli studenti si sono presi per mano in segno di condivisione, punto di partenza per la costruzione di una comunità libera, formata da individui che si impegnano non ad essere migliori, ma ad essere eretici nel senso greco del termine. Dal verbo “aireo”,“ scegliere, proporre”, essere eretico vuol dire scegliere di essere solidali, scegliere di inseguire i propri sogni e scegliere di mettere a frutto i propri talenti non solo per se stessi, ma anche per gli altri. Se nessuno scegliesse di restar fedele alle proprie inclinazioni ci si ritroverebbe a far parte di una società “mancata”. E sarebbe un peccato.

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