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Il valore della libertà e del “tempo” a Molfetta nell’epoca del coronavirus
Corso Umberto deserto all'epoca del coronavirus
18 marzo 2020

MOLFETTA - Blaise Pascal - noto matematico, fisico, filosofo e teologo francese - in una delle sue maggiori opere, la Prière definiva “le bon usate des maladies” come l’opportunità durante le disgrazie fisiche di dedicarsi alla preghiera, alla lettura e più in generale al pensiero. Ma esiste anche un’altra possibilità che di certo offre una chiave di lettura più vicina a quello che sta vivendo l’Italia e non solo in questo preciso momento storico.

Si tratta dell’opportunità di riflettere su alcune conseguenze collettive delle malattie che ci affliggono. Una di queste è senz’altro l’impatto che un’epidemia come quella che il mondo sta ora affrontando – nota ai più come coronavirus - produce sui nostri diritti e principalmente sulla libertà. È come se un giorno ti svegliassi e la tua vita non fosse più la stessa. Ed è quanto accaduto. Dunque non resta che fare i conti la realtà. Una realtà che parla di distanze e che non ammette più – almeno per il momento - abbracci, baci, strette di mano e pacche sulla spalla. Una realtà che vede le città semideserte e in cui le luci dei negozi sono spente e la musica nei locali non si sente più.

Un’epidemia questa che ha svuotato le scuole, i parchi e di contro ha riempito gli ospedali. Un’epidemia che diffonde paura e provoca morte, una guerra epidemiologica che senza bombe fa più rumore che se ci fossero e senza proiettili mira a tutti indistintamente. Ed è proprio in momenti come questo che il valore della libertà muta, diventando prerogativa imprescindibile e tanto agognata. Di fatti si è soliti considerare la libertà come un aspetto naturale della vita salvo sentirne l’importanza, come l’aria quando ci viene a mancare. Mentre dimentichiamo che la Libertà, come la Giustizia e altri valori importanti sono dei lussi che la civiltà può permettersi solo quando ha consolidato alcuni risultati ancor più fondamentali come l’alimentazione, la salute, e la sicurezza. Uno Stato può infatti sopravvivere senza libertà e senza giustizia ma non può esistere senza il cibo perché muore, senza la salute perché si atrofizza, senza la sicurezza perché si disgrega.

Più o meno consapevoli di questo i governi e anche i cittadini di Molfetta hanno accettato – anche se non proprio di buon grado e ancora con qualche defezione - le limitazioni della libertà nell’interesse di beni superiori. E di fatti ci si ritrova oggi a non potersi più muovere liberamente nemmeno nella propria città, dovendo così giustificare gli spostamenti – solo per strette necessità, sia chiaro – per mezzo di una autocertificazione da portare sempre con sé.

Oggi che diventa complicato anche spostarsi nella città più vicina, a pochi chilometri di distanza, sembra di vivere da reclusi pur godendo “sulla carta” di piene libertà. È diventato difficile – se non impossibile (per motivi di pubblica sicurezza) - andarsi a fare una semplice passeggiata, fare un giretto in bici all’aria aperta o andare a far visita ai nonni o paranti. Per non parlare delle code al supermercato e degli scaffali vuoti nemmeno fosse scoppiata la guerra. E che dire delle farmacie, nuove frontiere dell’intrattenimento: file interminabili che si allungano ancor più per cercare di mantenere il famoso metro di distanza.

E nel frattempo – come se davvero non ci fossero altre opportunità di socializzazione – si cerca di recuperare proprio lì il contatto umano tra una parola di conforto e una pacca sulla spalla virtuale. Gente che si incontra per strada e si saluta a mala pena con un cenno della mano e per i più ferventi d’affetto ci si manda baci da un capo all’altro del marciapiede. Per non parlare delle strade che a mo di coprifuoco dopo una certa ora iniziano inesorabilmente a svuotarsi. Una realtà completamente ribaltata e quasi surreale.

E in questo scenario anche il tempo assume un sapore diverso. Siamo stati sempre abituati a sentirci dire “il tempo è denaro”, “chi ha tempo non aspetti tempo”, “il tempo fugge”: tutte espressioni tipiche della nostra cultura che esprimono per l’appunto la percezione del tempo stesso. Il nostro mondo va sempre di fretta alla ricerca di questo prezioso alleato che spesso però diventa nemico.

Ecco, oggi più che mai questo concetto si ribalta completamente a favore di una dilatazione del tempo dovuta ad un Paese che si ferma o meglio che si è dovuto fermare. Un Paese in cui chiudono – seppure temporaneamente - scuole, bar, ristoranti, negozi e anche qualche azienda di non primaria importanza nella filiera produttiva. E adesso il tempo diventa lungo, troppo forse per chi è abituato a non averne. Chiaro che questa riflessione non vuole togliere importanza alla situazione economica che si sta vivendo in Italia e neppure al più importunante quanto doloroso impatto sulla mortalità che ne deriva.

Sicuramente stiamo attraversando un periodo strano, un terremoto emozionale che ci fa tremare e che rende fragili le nostre sicurezze. Un brutto momento che colpisce i nostri attaccamenti più forti come la salute, la vita, gli affetti e perché no anche il lavoro e il vile denaro. Crea paura e incertezza e ci obbliga al cambiamento.

Ma se ci si attiene alle regole e si adotta una buona condotta – facendo leva solo ed esclusivamente sulla coscienza di ciascuno, sulla morale e il buon senso – presto torneremo a vivere a pieno.

Non ci saranno più solo lampeggianti blu ad illuminare la notte e finalmente potremmo riappropriarci di tutto ciò che questo virus con la corona ci ha tolto. Perché come diceva Madre Teresa di Calcutta, non bisogna arrendersi nemmeno quando sembra andare tutto storto: infondo al tunnel c’è sempre la luce.  

© Riproduzione riservata testi e foto

Autore: Angelica Vecchio
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