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Gholam Najafi, il giovane scrittore afghano si racconta alla Consulta femminile e alla “meridiana” di Molfetta
Gholam, Zaccagnino, Pisani
18 aprile 2019

MOLFETTA - La vita di un afgano è breve: i bambini a 9 anni lavorano e sono considerati già uomini o donne, si sposano giovanissimi e hanno tanti figli, presto diventano nonni, attorno ai 25 anni, e verso i 45 anni la loro vita finisce. Non esistono né farmacie, né ospedali, si vive in un’epoca preistorica. Non esiste la doccia, per lavarsi, una volta alla settimana bisogna farlo con l’acqua fredda, all’esterno, anche quando l’ambiente è innevato. Non esiste il bagno in casa. I villaggi afgani sono chiusi: nascevamo, vivevamo e morivamo lì, senza aver aperto mai una carta geografica, racconta Gholam Najafi, un giovane scrittore afghano ospite della Consulta femminile e della casa editrice “la meridiana” di Molfetta.
Gholam, 27 anni, semplice, umile, dai modi distesi e contenuti con un sorriso sereno e accennato è qui a presentare il suo ultimo libro “Il tappeto afghano”, carrellata di storie di donne, di padri, di contadini e di pastori. Sedici storie diverse che rivelano aspetti particolari della vita afghana.

Gholam racconta di essere fuggito, poco più che bambino, dal suo Paese in guerra per evitare la morte. Arriva in Italia a soli 11 anni, come migrante non accompagnato.

Elvira Zaccagnino, direttrice delle Edizioni “la meridiana” conosce Gholam da tempo e ha già pubblicato il suo primo libro nel 2016. Il ragazzo arriva a Marghera sotto un camion, è un minore non accompagnato per cui allora, rispetto ad oggi, ha goduto di maggiori tutele da un punto di vista istituzionale.

Gholam affronta un percorso in comunità e poi viene adottato da una famiglia veneta. Mentre fa il portiere di notte, studia e si laurea in lingue e letterature orientali. Ama scrivere e questa capacità si è molto sviluppata dentro di lui. Con ciò che sogna e con ciò che ha dentro scrive e spesso si evince questa sua capacità di avere due mondi, di osservarli, di far incontrare tradizioni e protagonisti diversi ma assonanti.

Sara Pisani, presidente della Consulta, interviene sull’importanza della conoscenza dell’altro. Se non vi è condivisione nella conoscenza dell’altro, prevale la cultura dell’indifferenza, la stanchezza di fare un passo verso l’altro. La conoscenza dell’altro è un ponte che non sempre vogliamo vedere o sentire.

Io ho perso mia madre, dice lo scrittore, ma che fine hanno fatto le donne che in casa facevano i tappeti, quelle senza medici e ospedali, affaticate, stanche, quelle che abortivano. Con loro rivivo il dolore di mia madre che non è uscito dal mio cuore, posso raccontare il mio dolore senza uscire di casa, senza allontanarmi dalle zone rocciose e montagnose.

Uno dei suoi racconti parla di una ragazza scelta dai genitori del futuro sposo, che era distante ormai da due anni, non si sapeva se fosse tornato o se fosse morto o se avesse fatto un’altra scelta ancora. In ogni caso questa ragazza viene portata in casa di due estranei. Un giorno lui arriva e l’atto sessuale legato alle nozze viene consumato, ma il lenzuolo non viene macchiato, dunque la ragazza non è vergine e viene immediatamente ripudiata. La ragazza perde l’onore e viene rimandata a casa del padre. Poi diviene sposa di “secondo livello” con uomini che hanno altre donne o con vedovi. Ha il pregio di mettere al mondo un figlio maschio mentre il primo marito, che nel frattempo si era risposato, aveva avuto una figlia femmina che equivale quasi a dover affrontare una compravendita.

Altri racconti, altre storie e protagonisti. Avere un figlia bella da sposare è costoso, nel diritto non c’è un limite massimo o minimo sul prezzo del matrimonio, prima avveniva con lo scambio di animali ora con denaro contante.

La situazione della donna afghana è assurda sia dal punto di vista dei diritti che religioso, occorre far uscire il paese da questa situazione di arretratezza. Vi sono associazioni internazionali che lavorano in gran segreto per emancipare la condizione delle donne ma queste stesse donne muoiono in piazza, ammazzate.

Gholam non vede, in ogni caso grandi prospettive: «siamo un Paese frammentato, il colonialismo ha diviso male i nostri territori, non abbiamo una lingua unica, una cultura o una religione unitaria, il popolo afgano è diviso in tante etnie: indiani, turchi, tagiki, pashtun, turkmeni, uzbeki e kirghizi».

Forse, pensa lo scrittore, tra quaranta o cinquant’anni le cose cambieranno. Secondo lui non è realistica la possibilità che in uno Stato le varie etnie possano convivere.

Poi un breve accenno alla guerra. La guerra ti toglie tutto, afferma Gholam, le braccia, gli occhi e le orecchie, festeggi un matrimonio e si trasforma in un attentato, la felicità cade nel male.

L’incontro si conclude la soave declamazione di alcuni versi poetici da parte di Gholan Najafi.

Vincenza Amato

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