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Elezioni regionali c’è poco da esultare
15 ottobre 2020

La vittoria di Michele Emiliano, in Puglia, ci permette almeno di tenere lontani dal governo regionale Lega, Fratelli d’Italia e tutti quei pezzi della destra xenofoba e populista che si erano radunati attorno alla candidatura di Raffaele Fitto. Potrà sembrare una magra consolazione, invece è già un dato importante: le destre di Salvini e della Meloni avrebbero fomentato ulteriormente chiusura identitaria e odio verso i migranti, rinsaldando al tempo stesso i rapporti di forza determinati dall’attuale congiuntura economica. Una finta rivoluzione, insomma, giocata sulla pelle di migranti, poveri e minoranze di ogni sorta. Pericolo scampato, potremmo dire. Eppure il gruppo vincente attorno ad Emiliano risulta spuntato delle componenti più progressiste, del tutto affossate dai partiti e dalle liste più lontane da quella stagione vendoliana che pure Emiliano, in maniera in verità non troppo convincente, ha richiamato ribadendo la propria continuità. Lo ha fatto soprattutto negli ultimi giorni di campagna elettorale, quando Nichi Vendola è arrivato in Puglia per sostenere il governatore uscente contro l’incedere delle destre. Proprio la lista Puglia Solidale e Verde, che si richiamava alla stagione vendoliana con la presenza delle componenti legate a Sinistra Italiana, all’eredità di Guglielmo Minervini e di quella sinistra che, in dieci anni di governo regionale, tra il 2005 e il 2015, è stata promotrice di un vero e proprio “modello pugliese”, è rimasta fuori dal consiglio regionale. Sembra sia davvero finita un’epoca, ma si tratta probabilmente di un dato che va interpretato alla luce della situazione nazionale. A sinistra del PD, da alcuni anni, c’è difficoltà ad intercettare quel mondo di precari, disoccupati, non garantiti, che pure rappresenta una fetta importante delle nuove generazioni, ma che ha preferito, ad esempio, sostenere l’ascesa dei 5 Stelle. Oggi che quella narrazione dimostra già tutte i suoi limiti, è forse importante interrogarsi su come riaggiornare il proprio lessico e le proprie categorie, su come rispondere alle sfide del nostro tempo, piuttosto che provare a riproporre gli schemi del passato. Ma questo è un altro discorso. In questo quadro, c’è da segnalare però lo straordinario risultato del candidato molfettese della lista appena citata, Felice Spaccavento. Con quasi 4 mila preferenze a Molfetta e quasi 8 mila in Puglia è stato primo della lista e ha lanciato un segnale importante. Si è trattato, infatti, di un risultato assolutamente anomalo, che costringe a mettere a tema i motivi di tale successo per farne la posta in gioco per le sfide del domani. Probabilmente è stato proprio l’approccio concreto, l’attitudine del medico a confrontarsi direttamente coi problemi che toccano la carne della gente, lontano da astrazioni e petizioni a priori, a costituire la chiave di tale risultato. La sfida, allora, potrebbe essere quella di esportare tale approccio anche al di fuori dell’ambito della sanità – che ha costituito il campo privilegiato, quasi esclusivo, del candidato molfettese – attraverso l’apertura di un processo di partecipazione che inizi a costruire un terreno per l’immaginazione di un altro futuro per Molfetta, al di là delle scadenze elettorali. Per il resto, l’amministrazione molfettese sconta una pesante sconfitta, che potrebbe costare caro per il prossimo futuro. Saverio Tammacco è stato eletto con un importante risultato a livello regionale, ma sarà costretto all’opposizione insieme a quella destra antistorica e assolutista di cui parlavamo in precedenza. In tanti hanno provato a nascondere la vocazione politica di tale coalizione, sforzandosi di presentarla come l’atto di auto-determinazione delle comunità civiche. La gente, evidentemente, ha capito che si trattava di una maschera mal disegnata per celare i limiti e le mancanze di una prospettiva politica tutt’altro che “neutrale”. Le posizioni dei referenti nazionali di tali partiti – Salvini e Meloni – ne sono una evidente testimonianza. Quelle invece di Tammacco e compagnia non sono neanche tanto chiare, visto che nei comizi e nelle occasioni pubbliche i contenuti, oltre questo presunto “riscatto” di una generazione, sono sempre stati molto scarsi. Il sindaco Tommaso Minervini, che fino al giorno prima non si è risparmiato nel fare campagna elettorale per Tammacco e Fitto, ha poi fatto finta di niente, affrettandosi ad archiviare il risultato come una “festa della democrazia”. Avrebbe dovuto, più sinceramente, ammettere il fallimento di un’operazione che lo ha portato, in un batter d’occhio, ad abbandonare l’asse con Emiliano che vantava come valore aggiunto e come motore delle opere che stavano prendendo forma in città, e ad abbracciare Fitto, Salvini e la Meloni, dimettendosi dall’amministrazione della città. Ma pretendiamo troppo, probabilmente. Di certo, questa linea è stata bocciata con forza a livello pugliese, e anche a Molfetta ci sono i presupposti per cui possa essere in fretta archiviata. Ma è una magra consolazione, come dicevamo all’inizio, perché dall’altra parte è ancora tutto da costruire. © Riproduzione riservata

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