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Benvenuto fra noi mons. Domenico Cornacchia, nuovo vescovo di Molfetta: abbiamo bisogno di sincerità e aiuto
17 gennaio 2016

Eccellenza mons. Domenico Cornacchia, benvenuto tra noi. Con sincerità. Ne abbiamo bisogno, di questa sincerità. E pure di essere aiutati.

Sa bene che veniamo da mesi di dolore. Due scomparse ci pesano. Con don Mimmo abbiamo avuto occasioni di approfondimento e discussione, godendo della sua intelligenza. Con don Gino, mons. Martella, abbiamo vissuto la sua signorilità e pure sofferenza in una situazione di brutta confusione di linguaggi che ha reso, tra l'altro, la politica, soprattutto a Molfetta, luogo di macerie di relazioni, progetti, risorse economiche.

Sa, veniamo da anni di impegno a non dimenticare don Tonino. Il primo saluto che lei ci ha rivolto riporta il ricordo di marittimi ed immigrati. E con quel santo Vescovo, che ha predetto il suo "ti voglio bene", ci siamo imbarcati in un’avventura di esigente richiesta di trasparenza ai nostri ed altrui atti. E dopo di lui nella città, nonostante i generosi sforzi e l’efficace azione di Mons. Donato Negro, abbiamo reciprocamente sofferto e pagato l'incomprensione che ci faceva scaricare sull'altro la mancanza di agio nei nostri quartieri, che sono progressivamente scivolati verso un degrado accresciuto dai nostri conflitti.

Sa, questi conflitti sono vecchi. Salvemini contro Pansini. Anticlericali e baciamanisti.  Radicali e opportunisti. Uomini onesti e faccendieri. Don Tonino ha instancabilmente cercato di metterci d'accordo con le sue carezze e piaghe, ma non siamo stati ancora guariti. Anzi il virus dell’opportunismo onnipotente ed intrusivo, almeno in questo ultimo decennio, non ha avuto alcun ritegno.

Lei ha chiesto la nostra preghiera.

E, penso, ci inviti a chiedere la sua.

Su una città frantumata, confusa, divisa.

Su uomini della politica che arrancano a parlare di bene comune, mentre primeggiano a delegittimare chi con disinteresse e fatica lo propone come traguardo assoluto.

Su intellettuali che sotto le lenzuola coltivano la propria febbre.

Su una città di marinai con un mare povero, di giovani vaganti, di adulti scettici.

Su cittadini anonimi laboriosi e tenaci – ce ne sono tanti e non fanno chiasso – di cui scoprirà i nomi.

Su una diocesi che cerca una mission e passion, anche per capitalizzare al meglio l'eredità dei suoi padri.

Su sacerdoti e laici che non si sono chiusi nelle sagrestie e che da adulti camminano, pur avvertendo il silenzio dei padri.

Su fedeli che la stanno aspettando, perché riconoscono nel suo volto il DNA delle loro radici.

Sui balbettii della nostra invocazione ad uscire da questo grigio, che attenta alla nostra ricerca di vivere un domani migliore.

Non sentiamo il bisogno di renderla il nostro martire, anche se abbiamo dimostrato di esserne capaci. Non cerchiamo complicità alla nostra blaterata eloquenza, ne conosciamo la saccente superficialità. Non vogliamo abbassare le sue aspettative su di noi, siamo capaci di essere migliori e di meritarla.

Vogliamo un soffio di spirito.

Quello spirito gratuito che la fa giungere per letizia in questa città, perché faccia vedere il nuovo giorno a noi e ai nostri figli migranti e marinai in un vasto ed agitatissimo mare.

Così, dentro la sincerità dei suoi occhi, riusciremo a ringraziare il cielo, perché potremo essere non la Chiesa che pretendiamo ma quella che, insieme e grazie a lei, cerchiamo.

Benvenuto veramente.

Autore: Lazzaro Gigante
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