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Anche la marineria di Molfetta martedì alla manifestazione sulla pesca a Bari
05 ottobre 2019

 

MOLFETTA - Le marinerie pugliesi sono nuovamente in stato di agitazione, con i pescherecci tristemente ancorati

in porto, per risvegliare e sollecitare l’attenzione degli organi di governo verso questo settore,

ingiustamente criminalizzato e bistrattato, verso una condizione di insostenibilità economica e

sociale che rischia di desertificare un settore di grandi tradizioni e saperi, che, almeno in aree e

territori costieri sensibili alla pesca, ha rappresentato da sempre l’asse portante della loro economia

e dello sviluppo.

Il complesso e articolato quadro normativo comunitario e nazionale in materia di pesca, infatti, con

le accelerazioni degli ultimi anni, in termini di nuova politica gestionale della pesca, controlli e

relativo quadro sanzionatorio, sta mettendo a dura prova la sostenibilità del sistema pesca pugliese,

già fortemente debilitato da una condizione di crisi che, muovendo dall’impatto delle misure del

regolamento mediterraneo e dalle conseguenze del caro gasolio, ha ormai assunto carattere di

strutturalità.

Con il regolamento (CE) 1967/2006, in primis, recante “Misure di gestione per lo sfruttamento

sostenibile delle risorse della pesca nel Mediterraneo”, nell’intento di realizzare un contesto

gestionale specifico per il mediterraneo, e muovendo da una strategia precauzionale, sono state

adottate specifiche e assai impattanti misure volte a proteggere e conservare le risorse ittiche e gli

ecosistemi marini al fine di garantire uno sfruttamento sostenibile:

- gestione dello sforzo di pesca con piani di gestione nazionali e comunitari

- individuazione di habitat protetti e zone di pesca protette

- restrizioni e requisiti relativi agli attrezzi

- nuova dimensione minima delle maglie delle reti

- taglie minime di sbarco

Su questo complesso di regole di forte impatto per il nostro sistema pesca e mai completamente

compreso e accettato dai nostri pescatori, in quanto ritenuto non coerente con le caratteristiche,

anche ambientali, del nostro sistema pesca, ma anche perché, pur in un contesto di risorse

condivise, si tratta di misure cogenti e penalizzanti per i soli paesi comunitari, si è strutturata la

nuova politica comunitaria in materia di pesca e la nuova Organizzazione Comune dei Mercati, che,

in un complessivo approccio eco-ambientale tendente al massimo rendimento sostenibile, ha

imposto misure finalizzate ad una ulteriore riduzione dello sforzo di pesca e della capacità di pesca

dei pescherecci unionali, attraverso piani di gestione pluriennali, nuova disciplina dei rigetti, taglie

minime di riferimento per la conservazione, misure di adeguamento della capacità di pesca alle

possibilità di pesca disponibili, misure tecniche sugli attrezzi, metodi di pesca selettivi, misure di

fissazione e ripartizione delle possibilità di pesca, tracciabilità.

Tutto questo quadro normativo comunitario e nazionale è ulteriormente e gravemente appesantito

da una normativa sui controlli asfissiante e fortemente impattante, con una complessa ed articolata

serie di adempimenti, spesso inutili ma comunque oltremodo gravosi per unità di piccole

dimensioni, con un ridottissimo numero di lavoratori imbarcati. Il relativo quadro sanzionatorio si

sta rivelando sempre più devastante e destabilizzante, improntato com’è ad una funzione dissuasiva,

 

 

i cui effetti depressivi sono in ogni caso accentuati dalle disposizioni in ordine alla ammissibilità e

condizionabilità degli aiuti pubblici.

Si tratta, purtroppo, di un contesto ancora in evoluzione, in quanto è stato recentemente adottato, nel

nostro Paese, un nuovo piano di gestione pluriennale per la cattura delle risorse demersali e per i

piccoli pelagici, con ulteriori misure di riduzione spazio – temporali, mentre è in fase avanzata di

discussione una proposta della Commissione di profonda revisione, in termini ancora più

destabilizzanti, del regolamento controlli.

Il nostro settore è chiamato, quindi, a misurarsi con un nuovo scenario normativo e operativo, un

nuovo contesto veramente difficile e di forte impatto, che sta profondamente incidendo

sull’equilibrio economico delle imprese e dell’intero comparto.

Molte imprese di pesca sono in condizioni di forte debolezza economica e si vedono costrette,

purtroppo, a scelte depressive di abbandono nell’impossibilità di intraprendere i necessari ma

gravosi processi di adeguamento, ristrutturazione e riconversione, particolarmente difficili e

complessi in un contesto di profonda crisi strutturale del settore.

Non può negarsi, infatti, che le ulteriori, pur necessarie misure di riduzione dello sforzo e della

capacità di pesca, ritenute improcrastinabili a seguito di evidenze scientifiche che testimonierebbero

il forte stato di sofferenza di gran parte delle risorse ittiche in mediterraneo, associate ad una

eccessiva rigidità delle scelte gestionali ed a un programmato ma ingiustificato irrigidimento dei

controlli e delle conseguenti sanzioni stanno compromettendo seriamente la redditività delle

imprese di pesca e la loro capacità di resilienza. La funzione dissuasiva del penalizzante quadro

normativo sanzionatorio sul rispetto della PCP rischia di superare le stesse attese comunitarie

portando le imprese non tanto alla dissuasione dall’infrazione quanto alla dissuasione dalla stessa

continuazione dell’ attività di pesca.

“Tutelare il merluzzo non può e non deve voler dire mortificare il pescatore e la sua

famiglia”, come pure ”Diventare un pescatore responsabile non può e non deve voler dire diventare

un imprenditore irresponsabile incapace di creare reddito per se e il suo equipaggio”.

E’ forse giunto il momento di pensare ad un radicale cambiamento delle politiche comunitarie

e delle scelte gestionali nel mediterraneo ed in particolare in adriatico, ricercando una

maggiore coerenza con le specificità, anche ambientali del nostro sistema pesca e trovando

finalmente un delicato, difficile, ma necessario equilibrio tra sostenibilità ambientale e

sostenibilità economico sociale.

La marineria di Molfetta è anche disposta ad ospitare a bordo osservatori nazionali o comunitari che

verifichino l’impatto e la coerenza ambientale con il nostro sistema pesca delle nuove normative e

vuole partecipare alla costruzione di questo difficile, ma indispensabile percorso, verso nuovi e

moderni criteri di sostenibilità, basato su valori e principi di partecipazione, responsabilità e

autogestione del settore, per evitare o arginare le gravi ripercussioni di tipo occupazionale,

economico e sociale delle politiche e misure comunitarie fortemente improntate alla sostenibilità

ambientale ma poco attente alle esigenze delle imprese di pesca.

Questa, ne siamo consapevoli, è l’unica via possibile: quella dell’equilibrio, della partecipazione,

della responsabilità, capace di coniugare i prioritari valori di sostenibilità ambientale ed eco

sistemica con quelli non meno significativi e importanti di sostenibilità economica e sociale

dell’attività di pesca.

Dobbiamo creare un nuovo contesto normativo e gestionale capace di realizzare una nuova pesca,

responsabile, sostenibile, pronta ad accettare e sostenere le sfide di competitività che i nuovi

scenari, anche di mercato, impongono.

Martedì 8 ottobre la marineria aderisce alla manifestazione

prevista a Bari chiedendo la costituzione di un tavolo di

emergenza permanente al fine di analizzare le numerose

problematiche del settore.

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