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Agenda XXI e le prospettive di rilancio del porto di Molfetta
18 maggio 2016

MOLFETTA – Con Agenda XXI si è tornati a parlare del futuro e delle prospettive di rilancio per il Porto di Molfetta. Dopo un primo incontro tenutosi alla fine di febbraio – incentrato sulle modalità di esecuzione dei lavori e sugli ostacoli oggettivi esistenti – è stata indetta una seconda Sessione intergruppo presso la Sala Finocchiaro della Fabbrica di San Domenico.

Questa volta però l’attenzione è stata spostata su un’altra tematica di assoluto interesse, ovvero sulla necessità di adottare delle scelte sostenibili di sviluppo del Porto che tutelino la salute dei cittadini. È stato un incontro utile a “dissequestrare” una discussione che sin dall’inizio è stata appannaggio di pochi addetti ai lavori, tagliando fuori quasi del tutto il parere dei cittadini molfettesi e dei gruppi di interesse.
Ad aprire la tavola rotonda – Cosimo Sallustio, coordinatore cittadino del Forum – che ci ha tenuto a specificare quanto articolata sia la materia che attiene le tecniche e le modalità di gestione e realizzazione del Porto commerciale cittadino. Dunque l’obiettivo primario risiede nel capire come tutte le idee partorite da associazioni ed esperti nel settore della pesca, del turismo nautico e dei trasporti possano impattare sulla qualità della vita dei molfettesi. Da qui anche gli interrogativi su che tipo di futuro riservare alla flotta peschereccia e su come gestire nel migliore dei modi le movimentazioni commerciali via terra. Degno di alta considerazione è anche il valore storico e culturale che il Porto riveste in quanto possibile volano per un tipo di turismo intelligente che non si riduca soltanto al classico mordi e fuggi.
Ad entrare nel vivo del tema il responsabile di Città Sane, il dott. Ottavio Balducci (nella foto con Leo Murolo e Cosimo Sallustio) che ha portato l’attenzione dei presenti sulla valutazione dell’impatto sulla salute urbana del nuovo Porto cittadino. Di fatti ci sono attività che più di altre hanno un’incidenza ambientale non da poco conto. Si tratta del movimento dei mezzi marini e terrestri, della produzione dei rifiuti (scarico a mare del lavaggio di cisterne e di acque di sentina, accumulo al suolo di sostanze contaminanti e rilascio a terra degli assimilabili ai rifiuti urbani prodotti in mare dalle navi), dei dragaggi che alterano i fondali e l’habitat marino e della cantieristica navale. Tali interventi non fanno altro che mettere a repentaglio la qualità dell’aria (emissione di particolato, gas effetto serra e inquinamento acustico), dell’acqua (sversamenti inquinanti), degli alimenti (contaminazione e accumulo di sostanze tossiche), del suolo e danneggiare al tempo stesso la salute degli organismi viventi. Non a caso in un documento sulla stima dei danni sulla salute provocati da fattori ambientali, l’OMS specifica che «i fattori di rischio ambientali determinano un’ampia gamma di decessi, malattie e disabilità e che le patologie o le morti da inquinamento possano essere effettivamente ridotte ogni anno attraverso una politica ambientale adeguata».
Ma sembra che queste indicazioni – in linea generale – non siano state del tutto prese in considerazione nella formulazione del Piano Regolatore del Porto di Molfetta, redatto nel 2004. Infatti – come ha suggerito Balducci – due sono le anomalie più evidenti. La prima riguarda un trafiletto nel quale si legge che «la realizzazione dell’opera in questione comporterà un aumento delle emissioni da attività portuali ma non determinerà un decremento della qualità dell’aria né nel vasto territorio urbano». La seconda riguarda un altro spezzone dal quale si evince che «sarà possibile osservare un miglioramento nell’area portuale della qualità dell’aria dovuto a minori concentrazioni di monossido di carbonio e di diossido di azoto per l’allontanamento dal centro urbano delle attività di carico e scarico delle merci e di manovra e parcheggio mercantili». Insomma si tratta di passaggi di dubbia attestazione di veridicità che, anzi trovano la loro smentita nelle stime sulla valutazione dell’impatto sulla salute.
Nella VIS, si sostiene che gli inquinanti outdoor più pericolosi sono l’anidride solforosa, gli ossidi di azoto, il particolato, l’ozono, il monossido di carbonio e altri composti organici volatili. Le conseguenze sulla salute sono dunque inevitabili, con danni che si riflettono in particolare sul sistema respiratorio, circolatorio, cardiaco e riproduttivo. E allora come fare prevenzione? In che maniera è possibile ridurre l’impatto ambientale? Come ha suggerito Balducci, bisognerebbe prestare attenzione a non superare i limiti di emissione previsti per legge anche e soprattutto attraverso mezzi di controllo come le centraline. Però in città ce n’è solo una e non è quindi sufficiente ad una rilevazione adeguata. Una soluzione, seppur palliativa, potrebbe risiedere nell’aumento di tali apparati di monitoraggio.

A dare un ulteriore contributo, l’ing. Leo Murolo – Project Manager Navale e referente Sailors – introdotto dal dott. Lino Renna. L’illustre relatore ha spiegato come delle navi ecologiche possano dare come risultante un porto sostenibile a differenza di quelle tradizionali. Certo è che di passi in avanti per l’implemento della sostenibilità marittima ne sono fatti, soprattutto da quando l’IMO (International Maritime Organization) ha introdotto la norma relativa alla prevenzione dell’inquinamento causato da navi attraverso una serie di importantissimi accorgimenti. Ad esempio sono stati studiati sistemi atti a prevenire sversamenti di idrocarburi in mare e metodi per ridurre l’inquinamento atmosferico prodotto dall’imbarcazione a seguito dell’emissione di zolfo. L’ultima frontiera in tale direzione è la produzione di navi a gas, prodotte al momento in 63 esemplari. Anche Murolo in qualità di massimo esperto del settore ha messo in campo brillanti progetti come la progettazione di una barca senza eliche realizzata a Singapore e della nave più ecologica del mondo che lambisce le coste di Santa Barbara, negli Stati Uniti.

In ultimo il dott. Renna ha ripreso la parola per spiegare l’importanza del divieto di rigetto, operazione partita da gennaio 2015. Ovvero anziché riversare in mare specie non commerciabili o pesci di taglia troppo piccola, si può adoperare tale scarto per realizzare altri prodotti come il cibo per animali, limitando così l’impatto sull’economia.
Procedura simile, definita rating ambientale marino, dovrebbe essere adoperata quando i pescatori tirano su insieme al pescato anche rifiuti di ogni sorta. Bisognerebbe piuttosto che riversarli in mare e creare un danno ambientale, raccoglierli e smaltirli a terra. Chiaramente i pescatori non chiedono un compenso monetario per mettere in atto tale operazione ma si affidano al buon senso delle istituzioni che quantomeno potrebbero garantire loro un riconoscimento d’onore per la sensibilità dimostrata rispetto al tema della salvaguardia ambientale e nella fattispecie marina. A seguire un nutrito dibattito che ha coinvolto tutti i presenti.

© Riproduzione riservata

Autore: Angelica Vecchio
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